LO STORNO, PARADOSSO DELLA CACCIA ITALIANA

Lo Storno Sturnus vulgaris è conosciutissimo rappresentante dell’Ordine Passeriformi, Famiglia Sturnidi. Volatile di dimensioni medio-piccole, caratterizzato da becco lungo e affilato e timoniere corte, dalla livrea scura con riflessi metallici, lo Storno colonizza un vasto ventaglio di habitat europei, dalle aperte campagne ai centri urbani, nei quali anzi si riunisce volentieri in colonie numerosissime soprattutto in periodo autunno-invernale. Rifugge soltanto gli ambienti alto montani, dai quali al limite transitano i contingenti di passo autunnale, ma senza fermarsi. È invece uno spettacolo consueto per gli abitanti di molte nostre città, osservare stormi a volte giganteschi, composti da migliaia di soggetti, che compiono evoluzioni sincrone nei cieli accesi dalle luci del tramonto, così preparandosi a calare sui dormitori notturni (piazze e viali alberati, piazzali di stazioni ferroviarie, parchi e giardini). Si è perso il conto di quante volte il piazzale della Stazione Termini a Roma, salì alla ribalta delle cronache per l’abbondantissimo numero di storni che, pernottando sui lecci colà presenti, rendevano l’asfalto una trappola scivolosa e pericolosa per il tanto guano sparso: problema risolto dal Comune sostituendo la maggioranza degli alberi con altri più piccoli, che al momento non attirano più gli uccelli per le ridotte dimensioni. Nelle città, gli storni amano anche affollarsi e alimentarsi sulle alberature urbane più tipiche, quelle a bagolaro Celtis australis, le cui bacche di colore nerastro e dal sapore acidulo sono ampiamente ricercate da molte specie di avifauna. Tuttavia, lo Storno è presente nel nostro paese anche durante il periodo riproduttivo, dunque come nidificante, costruendo i nidi e allevando la prole – da quattro a otto uova per covata e generalmente due covate l’anno – molto spesso negli anfratti dei muri, nei monumenti antichi o sotto le tegole dei tetti. Si può affermare, similmente a quanto avviene per molte altre specie di uccelli più o meno comuni, che lo Storno è presente con popolazioni miste, da quelle sedentarie a quelle migratrici, passando attraverso quelle parzialmente migratrici ossia che compiono movimenti migratori di raggio limitato, quasi sempre sollecitate dalle avverse condizioni climatiche e relativa scarsità di risorse trofiche. La letteratura scientifica attesta che le popolazioni nidificanti nel Sud dell’Europa, ivi compresa l’Italia, sono in aumento, mentre la tendenza opposta riguarderebbe i contingenti nidificanti nel centro-nord europeo, dando alla fine un bilancio complessivo non particolarmente favorevole alla specie, nonostante questo appaia contraddittorio per un osservatore medio, che si soffermi solo sulla situazione demografica della specie qui da noi. Lo spiccato istinto gregario dello Storno è pure quella caratteristica che lo rende potenzialmente una calamità per l’agricoltura, in particolare per i frutteti, i vigneti e gli oliveti, ossia le colture specializzate di maggior pregio commerciale. Questa specie infatti predilige l’uva, le olive e la frutta di stagione, mentre in primavera-estate, dato il suo regime onnivoro, si dedica maggiormente agli insetti, ai lombrichi e altri piccoli invertebrati, che cattura nei prati stabili e nei terreni erbacei incolti, meglio se dopo uno sfalcio recente, necessaria fonte di proteine per lo svezzamento delle covate. Altri alimenti appetiti dallo Storno sono le bacche e i frutti spontanei, come il bagolaro, l’edera, la fitolacca americana, l’uva canadese tanto per citarne alcuni, ma pastura pure nelle stoppie trinciate di mais, sui prati e pascoli e sui terreni recentemente arati. Uno spettro alimentare così vasto e la sua elevata plasticità ambientale, sono senz’altro punti di forza di questo volatile, che ne favoriscono la diffusione e hanno portato a classificarlo tra le specie oggi definite “opportuniste” o “invasive” per le quali possono essere approntati piani di controllo numerico anche al di fuori della stagione venatoria. Il discorso della caccia, con lo Storno è invece complesso. Cacciabile in Italia fino al 1997, quando venne escluso dall’elenco di cui all’art. 18 della legge 157/92 con DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) insieme ad alcune altre specie, lo Storno da allora è stato per lunghi anni al centro dell’altalenante vicenda del prelievo in deroga di cui alla Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”, sul quale ora non ci soffermiamo data l’aggrovigliata situazione normativa e la complessa giurisprudenza che si è consolidata, sia in sede di giustizia amministrativa, che di Corte costituzionale e della stessa Corte di Giustizia europea. Resta purtroppo sentito e presente il problema dei danni alle produzioni agricole, la cui riduzione sarebbe certo facilitata dal poter cacciare normalmente lo Storno, senza dover ricorrere a provvedimenti diversi, sempre esposti a ricorsi e che, con le loro mille prescrizioni, non invogliano i cacciatori a rendersi attivi nel controllo della specie. Lo Storno, fin quando fu cacciabile, diede luogo a forme venatorie tradizionali, specifiche e anche molto elaborate: ad esempio, recitò e reciterebbe tutt’oggi il ruolo di protagonista nella pratica della caccia cosiddetta “al prato”. Essendo una specie amante dei luoghi aperti, abituata a vivere in grandi gruppi, sempre vigile rispetto a quanto accade nei dintorni grazie anche alle “sentinelle” che si sistemano su posatoi elevati, si capisce come la caccia più redditizia sia quella da capanno, fisso o temporaneo, avvalendosi di richiami vivi (quando erano consentiti). Molto utili ulteriori ausili – sempre, ovviamente, quando si potevano utilizzare – come le giostre recanti appesi alle estremità degli storni impagliati ad ali aperte o stampi in plastica nella medesima postura, oltre che i medesimi stampi disposti opportunamente a terra in quantità generosa. Il capanno deve essere naturalmente dissimulato con perizia, proprio perché, trovandosi in terreno libero da vegetazione, risulterebbe molto disturbante se si ergesse all’improvviso allo scoperto: l’ideale sarebbe accostarlo a siepi o cespugli, oppure dissimularlo all’interno di fossi o avvallamenti del terreno. Un altro accorgimento suggerito dall’esperienza, che aiuta a convincere gli storni a calare sul gioco allestito con cura, è quello di posizionare opportunamente accanto agli stampi della specie anche altri stampi di uccelli legati alle zone aperte, quali la Cornacchia grigia e la Pavoncella, che abitualmente si alimentano negli stessi siti insieme allo Storno e viceversa. Negli appostamenti fissi ai Turdidi, grande efficacia assume il posizionamento artificiale di “secchi” sulle principali piante di buttata, che lo Storno sceglie per posarsi una volta attirato dai richiami. Questi ultimi rivestivano (e rivestirebbero) un ruolo importante, anzi vitale: tanto che non vi era capanno agli storni che non si avvalesse delle cosiddette “corridore”, tubi di rete lunghi e stretti posizionati al suolo, dentro i quali numerosi esemplari da richiamo erano lasciati liberi di muoversi correndo e svolazzando avanti e indietro, con grande effetto attirante sui selvatici. Altrettanto efficaci i gabbioni, di dimensioni generose, contenenti anch’essi molti esemplari da richiamo, liberi di muoversi e, soprattutto, di farsi sentire con forte e attirante cicaleccio. La caccia vagante, per contro, non darebbe che scarsissime possibilità di successo al cacciatore, a meno che le condizioni di visibilità siano tali – come avviene con la nebbia – da permettere un avvicinamento sino ad arrivare a tiro degli uccelli posati al suolo o sugli alberi. Semmai, individuate le pasture frequentate da questi diffidenti uccelli, per riuscire a ottenere qualche risultato è possibile allestire un capanno temporaneo o anche soltanto nascondersi tra la vegetazione naturale, in attesa che si presenti l’occasione di sparare e in queste condizioni, insieme allo Storno, si potranno incarnierare pure Merli o Tordi. In definitiva, trattare dello Storno come specie d’interesse venatorio non è semplice, visto il continuo intersecarsi dei piani di ragionamento tra ciò che appartiene al passato e ciò che appartiene all’oggi, tra quanto si faceva e quanto in futuro non dispiacerebbe di fare nuovamente. Anche nel caso in cui la specie sia concessa in deroga, i limiti di carniere devono essere rigorosamente rispettati in virtù della particolarità di tale regime di prelievo, benché questo apparentemente strida con la necessità di porre un freno alle popolazioni, il che esigerebbe di poterne abbattere numeri illimitati. Vedremo se, grazie al ritorno di un minimo di ragionevolezza, questo paradosso della caccia italiana potrà essere, prima o dopo, finalmente sanato. (Palumbus)
Fonte:anuu.org