L’ALLODOLA, ULTIMA PROTAGONSTA DELLA CACCIA AL PRATO

L’Allodola (Alauda arvensis), è un passeriforme migratore della Famiglia Alaudidi che visita copiosamente l’Italia nel corso della migrazione post-nuziale provenendo dai vastissimi quartieri riproduttivi posti nell’Est del continente. In verità, questo uccello non limita la sua presenza sui nostri territori al solo autunno-inverno, ma abbastanza comunemente si rinviene anche come nidificante, benché non ovunque e non con elevate concentrazioni di coppie. Anzi, purtroppo i dati raccolti su campo attestano una sua continua diminuzione a causa delle lavorazioni intensive delle campagne: un problema comune alla gran maggioranza delle specie nidificanti sui suoli agricoli, che rappresentano i loro habitat preferiti ma, al contempo, anche la loro condanna. Specie terricola, l’Allodola è infatti strettamente legata ai terreni coltivati di pianura e di bassa e media collina, prediligendo le colture erbacee e cerealicole. In autunno e inverno, le allodole si possono trovare nelle stoppie di mais, di riso se asciutte, nei terreni arati, nei coltivi di cereali autunno-vernini come frumento e orzo ove le piantine sono in emergenza, nei prati stabili, nei pascoli, nelle steppe e nelle lande: tutti o quasi, come si vede, ambienti creati e modellati dall’agricoltura. Questo, da indubbio punto di forza della specie, vista la diffusione dei terreni agricoli in Europa, con il passare dei decenni si è tramutato in un elemento di grande debolezza, poiché la rapida evoluzione delle tecniche agronomiche, la meccanizzazione sempre più esasperata e il diffuso impiego di sostanze di sintesi, impattano negativamente sulle popolazioni, in particolare nella stagione della riproduzione. Un destino analogo, come dicevamo, a quello di tutte le altre specie di avifauna che vivono nelle campagne coltivate e che presentano un regime alimentare prettamente insettivoro. L’equazione è elementare: calando le popolazioni di insetti, calano proporzionalmente anche quelle delle specie di avifauna che se ne alimentano. A ciò, si aggiungano le perdite di nidi provocate dai macchinari agricoli durante gli sfalci dell’erba o la trebbiatura dei raccolti. L’Allodola depone mediamente da tre a cinque uova di piccole dimensioni, di norma per due covate l’anno. I pulcini sono nidifughi, cioè acquistano rapidamente la capacità di abbandonare il nido, poiché il fatto di trovarsi al suolo li obbliga ad acquisire una precoce indipendenza, facendo poi del mimetismo, al pari degli adulti, la loro arma difensiva per eccellenza. Avvicinandosi le giornate di settembre, le allodole divengono irrequiete per l’istinto della migrazione post-nuziale, per poi, tra fine mese e ottobre, mettersi in viaggio prevalentemente in piccoli branchi, che lungo il volo sostano nei territori idonei distribuendosi un po’ dappertutto. Con l’avvicinarsi dell’inverno, i soggetti dispersi qua e là a gruppetti tendono a concentrarsi maggiormente nei siti più favorevoli per meglio superare i mesi rigidi e allora può capitare di imbattersi in branchi molto numerosi. Una tipica caratteristica di questo grazioso volatile, osservabile nelle giornate soleggiate di ottobre e novembre, è quella di librarsi in alto in modo da sembrare quasi immobile, come appeso a un filo, da dove emette un gorgheggio melodioso e continuo, un limpido trillare che si ode da distanze notevoli. È il medesimo atteggiamento che l’Allodola di passo assume sulla civetta da richiamo – una volta viva o impagliata, oggi meccanica – allorché, come si dice in gergo venatorio, fa “lo Spirito Santo” rimanendo sospesa ad ali aperte sopra l’oggetto della sua curiosità. Stessa reazione ha l’Allodola nei confronti dei famosi specchietti lucenti e girevoli, per i quali prova grande attrazione (non a caso esiste il notissimo detto popolare degli “specchietti per le allodole”). Questi trucchi per fare avvicinare le allodole a tiro di fucile, fanno comprendere come la caccia a questa specie sia sempre stata di notevole rilevanza e praticata da molti appassionati, da nord a sud dell’Italia, ma anche in altri paesi mediterranei. È sempre stata effettivamente una delle specie legate alla cosiddetta “caccia al prato”, cioè tipica delle distese aperte e prive di alberature e filari. Le norme attualmente vigenti, hanno molto ridotto o vietato l’uso di strumenti attrattivi (ad esempio, la civetta può essere esclusivamente meccanica, nei modelli in commercio con ali che ruotano attorno al proprio asse), tuttavia il complemento ancor oggi necessario e consentito per ogni cacciatore di allodole che si rispetti è una buona batteria di richiami vivi, che adempiono alla fondamentale funzione, attraverso il proprio canto, di convogliare verso il capanno (l’appostamento può essere fisso oppure temporaneo) gli uccelli in transito durante la migrazione. Naturalmente, con il trascorrere della stagione, le allodole ormai fermatesi per lo svernamento, esperte del territorio e delle sue insidie, credono molto meno agli allettamenti predisposti dall’uomo. Un altro strumento sicuramente utile, a patto di saperlo bene adoperare, è il richiamo a bocca in ottone, che funge da complemento o da sostituto dei richiami vivi, benché questi ultimi siano di per sé insuperabili. Vi sono cacciatori specializzati sulle allodole che sono autentici virtuosi nell’impiego di tale richiamo, esibendosi in entusiasmanti “dialoghi” con i volteggianti uccelli e riuscendo a condurli fino alla portata utile dal capanno. Certo, come accennavamo, le allodole vive da richiamo, posizionate nelle loro gabbie, sono ovviamente imbattibili. Vi è poi un altro metodo di caccia a questa specie, senza dubbio accessibile a chiunque poiché non richiede strumenti o attrezzature particolari bensì ottime gambe, che è quello della caccia alla borrita o al salto. Pratica venatoria vagante, la borrita consiste semplicemente nel percorrere con la dovuta accortezza e attenzione i terreni dove si presume sostino le allodole, reagendo con fulminee stoccate al momento del loro involo. I risultati possono essere interessanti soprattutto durante la migrazione, in quanto gli uccelli si lasciano maggiormente avvicinare, dando modo di sparare bene a tiro, per farsi man mano più avari con il procedere della stagione verso l’inverno, allorché le distanze di fuga diventano proibitive. Che si scelga l’appostamento, oppure la borrita, oggigiorno occorre rispettare le ulteriori restrizioni imposte dal Piano di gestione nazionale della specie vigente dal 2018, riportate nei calendari venatori regionali, riferite ad esempio alla durata della stagione venatoria (con inizio dall’1 ottobre e non più dalla terza domenica di settembre) o al limite massimo di carniere pro-capite, giornaliero di dieci e stagionale di cinquanta capi, ovunque sia conseguito sul territorio nazionale. Esisterebbe la possibilità di differenziare, innalzandoli, i limiti di carniere per i cacciatori definiti “specialisti”, ovvero che si dedichino esclusivamente a questa specie con richiami vivi, ma pare sussistano difficoltà di raccolta esaustiva dei dati che servirebbero alle Regioni per autorizzare tali limiti di carniere più elevati solo per questi cacciatori. Senza contare che gli interventi di miglioramento ambientale, ossia le misure gestionali prioritarie per l’Allodola come per qualunque altra specie selvatica (senza dubbio più importanti delle limitazioni alla caccia), molto difficilmente trovano applicazione per indifferenza, disinteresse o semplicemente per scarsità delle risorse economiche attivabili a tale scopo. Peccato però che siano una delle condizioni alle quali soltanto la caccia possa proseguire. È pertanto elevato il rischio che la gloriosa caccia a questa specie, carica di storia e di costume, a breve la si ritroverà solo nei libri e nei manuali venatori: l’avranno tutti ben compreso? (Palumbus)

Fonte:anuu.org