"Le piante ci vedono, hanno 'sensori' sulle foglie"
L'ipotesi è stata formulata in un articolo apparso sulla rivista scientifica "Trend in plant science" e firmato da Stefano Mancuso, il docente che per primo in Italia parlò di sistemi simil-neuronali nelle radici dei vegetali.
Le piante ci guardano. Non hanno occhi, ma ci vedono. Riescono a decifrare le cose che stanno intorno. "Siamo arrivati ad elaborare questa teoria osservando una serie di studi precedenti, raccogliendo indizi e mettendoli in fila" spiega Stefano Mancuso, il docente universitario fiorentino che qualche anno fa parlò per primo in Italia dei sistemi simil-neuronali nelle radici delle piante sollevando un'accesa discussione fra gli studiosi. La teoria della "visione nelle piante" è stata pubblicata su "Trend in plant science", una delle più importanti riviste scientifiche di fisiologia vegetale ed è firmata oltre che a Mancuso, da Frantisek Baluska, professore di Biologia Cellulare a Bonn. Che le piante potessero in qualche modo vedere quello che hanno intorno era un sospetto venuto già nel Novecento a Gottlieb Haberland, uno dei più importanti botanici tedeschi (ha inventato la coltivazione in vitro delle piante): fu lui a dire che le cellule epidermiche della faccia superiore di molte foglie erano fatte come fossero lenti convesse, quindi in grado di far convergere in un punto la luce o le immagini che venivano da fuori. Un concetto, ricordano oggi Mancuso e Baluska, che fu sostenuto anche da Francis Darwin e poi ripreso da Harold Wager attraverso esperimenti "dimenticati".
Ma cosa fa pensare che per davvero le piante possano "vedere"? "Prendiamo il caso della Boquilla trifoliata – spiega Stefano Mancuso – è una pianta che vive in Cile e il cui comportamento è stato descritto nel 2014: questa pianta ha una straordinaria capacità mimetica, si arrampica su un albero e le sue foglie prendono le sembianze delle foglie della pianta a cui si arrampica. Cioè cambia la sua morfologia, il colore, la consistenza. Le sue foglie possono diventare più grosse, più sottili, possono persino mettere le spine". Questo fenomeno, secondo Mancuso è un indizio importante: "Perché si possa imitare qualcosa bisogna conoscere quello che si vuole imitare".
Fonte:firenze.repubblica.it
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