CONGRESSO ARCICACCIA NAZIONALE – CHIANCIANO 8 – 9
FEBBRAIO 2013
SALUTO DEL PRESIDENTE DI FEDERCACCIA TOSCANA M.
PERICCIOLI
Soltanto un saluto, breve ma non formale.
Chi conosce il confronto in Toscana, a volte aspro ma sempre vitale,
sa che formale e neutro questo saluto non potrebbe essere.
Per rispetto reciproco e perché l’intento, sempre, è dare un
contributo ad una discussione di comune interesse come comune è
la passione che ci unisce.
Poche riflessioni, quindi, partendo da una, forzatamente sommaria,
sulla situazione così come si è venuta determinando negli ultimi
decenni.
Nel volgere degli ultimi venti anni la condizione ambientale e
faunistica ha conosciuto cambiamenti radicali: si è modificato, per
qualità e quantità, il rapporto fra le specie selvatiche e fra esse ed il
territorio, l’ambiente, le attività umane.
E’ cambiata anche la caccia, sempre più componente ed attrice
della gestione del patrimonio faunistico e dunque del territorio, dei
suoi equilibri, della biodiversità, della varietà faunistica ed
ambientale.
La gestione della fauna selvatica, il mantenimento di rapporti
ottimali fra le specie e fra esse e l’ambiente, l’agricoltura, l’uomo 2
con le sue attività è materia complessa, che non può prescindere
da più scienza e più conoscenza, che esige certezza delle norme, e
reclama la capacità della politica di dare tempestive risposte alle
problematiche ed agli scenari nuovi.
Nello scenario attuale non disponiamo di più scienza e conoscenza;
non c’è certezza delle norme, sempre più affidate
all’interpretazione dei tribunali amministrativi; non c’è una politica
che si misuri con serietà e capacità attorno a questi temi.
Sopravvive, nel dibattito attorno a questi temi, uno scenario
vetusto che continua a vedere contrapposti interessi ambientali ed
interessi venatori.
Il problema non è solo “caccia si-caccia no”, che è ormai troppo
perfino per i salotti, ma anche il concetto e la finalità della crescita
e dell’incremento della fauna “a prescindere”, indipendentemente
da specie, luoghi e sopratutto, sostenibilità col contesto ambientale
e produttivo: un immobilismo anacronistico in un mondo che si
evolve.
La fauna deve essere gestita, tutta e su tutto il territorio, su
esclusivi criteri di sostenibilità e compatibilità con l’ambiente, le
diverse specie, le attività umane.
Con una gestione capace di distinguere, fra specie, tipologia di
territorio e sua utilizzazione, fino a considerare fatto normale che vi
siano aree dove le densità o le presenze di alcune specie debbano
essere tendenti a zero, e poter agire di conseguenza.
Aggiungo, mi sia consentito, che fra le attività umane da tenere in
considerazione quando si tratta di gestione della fauna c’è anche la
caccia, e non per ultima, con tutti i suoi doveri e con la pienezza dei
suoi diritti. 3
Sono questi, tagliati con l’accetta, i concetti che ritengo debbano
fare da riferimento per l’iniziativa, la progettualità, l’azione di un
mondo venatorio moderno.
L’impressione è che in una certa misura il mondo venatorio sia
ancora, invece, succube di scenari vecchi, incapace di porre con
coraggio e fermezza – doverosi secondo me verso la società oltre
che verso i cacciatori – l’esigenza di una svolta prima di tutto sul
piano culturale, passaggio propedeutico a scelte nuove sul piano
politico.
Leggo così – francamente - approcci che, anziché in primo luogo
richiamare e sottolineare la realtà che ho appena tratteggiato,
premettono sempre e comunque la necessità di trovare intese con
il mondo ambientalista, in certo qual modo di scegliere i temi che
meno lo disturbano: se così non si fa, si dice o si sottintende, non è
possibile immaginare soluzioni, la politica non ci ascolterà, la caccia
diventa attività a rischio di esistenza.
A scanso di ogni equivoco e malinteso: le intese vanno perseguite e
cercate, equilibrate soluzioni di compromesso sono nell’ordine
delle cose, lo scontro frontale non porta da nessuna parte, non ha
cittadinanza la pretesa di verità.
A soluzioni il più ampiamente possibile condivise, ma equilibrate e
positive, tuttavia, non si arriva “giocando alla meno”: penso sia un
dovere confrontarsi con tutti e rispettare tutte le opinioni, ma che
sia un dovere, avere le proprie opinioni, un diritto sostenerle con
l’orgoglio di chi non rivendica benevolenze o favori, ma il dovuto
rispetto per i diritti di una attività utile all’ambiente ed alla
biodiversità, una attività importante per l’economia, un fenomeno 4
sociale di massa che affonda le proprie ragioni in una cultura
ancora viva e feconda.
In altri termini, non ritengo che nel confronto – e con le
componenti sociali e con la politica – paghi la subalternità
culturale: paga il rispetto sia delle opinioni che delle competenze,
ma unitamente paga la consapevolezza delle proprie convinzioni e
del proprio bagaglio culturale, supportati dal riscontro della realtà
dei fatti ed arricchiti dalla capacità di proposta.
La vicenda dell’innovazione delle norme e dei regolamenti regionali
della Toscana approvata nel 2010 con voto pressochè unanime del
Consiglio regionale è emblematica di questa lettura.
L’introduzione in legge di principi come la compatibilità della
presenza faunistica con le attività umane o di modalità gestionali
che assegnano puntuali poteri di intervento per assicurare equilibri
ottimali o della previsione che la gestione faunistica investe anche
le aree protette, non è stata indolore e non ha visto la convergenza
di tutto l’universo ambientalista.
Ma ci siamo arrivati; e quelle innovazioni mantengono tutto il loro
valore, nonostante che i limiti di un quadro nazionale incapace di
adeguarsi al nuovo ne ostacolino continuamente l’applicazione.
Ci siamo arrivati grazie a tanti fattori, certamente per la via di un
attento e continuo confronto, ma anche perché sui concetti di
fondo è stata mantenuta fermezza, coerenza ed unità d’intenti,
prima di tutto da parte del mondo venatorio.
Senza presunzione di suggerire a modello una esperienza che resta
regionale, è certo la stessa sfida di innovazione e modernità si pone
sul piano più generale: questo sollecita la capacità di elaborazione 5
ed azione del mondo venatorio nel suo insieme e degli strumenti di
cui dispone.
Facile dire, a questo punto, che si pone la questione dell’unità, per
moltiplicare le forze, l’impatto, la capacità ed il peso della
rappresentanza.
Non articolo il tema, ci sono proposte e percorsi in campo che
auspico siano accolti nel significato vero e trasparente che hanno,
rispettosi della storia di ognuno, una storia gloriosa che non deve
diventare pesante zavorra ma deve essere utile bagaglio nel viaggio
verso il futuro, verso una prospettiva nuova che inevitabilmente fa
della gelosia identitaria un fattore di conservazione e di
frammentazione e della frammentazione una debolezza.
Dico solo che ogni ambizione unitaria ha il primo passaggio nella
verifica e nella condivisione del modello culturale e progettuale,
delle finalità di fondo cui fare riferimento: diceva Seneca che non
c’è mai vento a favore per il marinaio che non sa qual è il suo porto.
Il mio augurio è che si possa cominciare da qui, fin dalle prossime
settimane, per costruire insieme la nuova casa dei cacciatori
italiani, consapevoli che all’unità si arriverà o per convinzione o per
consunzione; la differenza la faranno i gruppi dirigenti consapevoli
e responsabili.
In bocca al lupo a tutti noi.
Buon lavoro