Il sole entrò prepotentemente dalla finestra che la madre aveva appena spalancato di colpo nella sua stanza. Gigi aprì gli occhi,ma per la luce che in quel momento era accecante li richiuse di colpo. Li riaprì pian piano fissando il punto dove sapeva avrebbe trovato la sveglia,quando questa finalmente fu nitida,si accorse che le lancette segnavano le otto e venti,ricordandogli che di li a poco il padre,caposquadra dei Vigili del Fuoco, sarebbe rientrato dal turno di notte. Mancò poco che si rompesse l’osso del collo nel saltar giù dal letto. Si vestì in tutta fretta ,la camicia infilata in malo modo nei pantaloni che non riuscì ad abbottonare, e con le scarpe in mano,scalzo, cercò di guadagnare le scale,sperando di non trovarselo improvvisamente davanti. Gigi aveva passato da poco la ventina e nel rione quelli che lo conoscevano sapevano bene che non era certo uno stinco di Santo. Nato in una famiglia di cacciatori non aveva mai mostrato,però, un benché minimo interesse per questa. Finché un giorno il padre,stanco delle tante malefatte,decise che al mattino seguente lo avrebbe obbligato a seguirlo a caccia, – ” Così almeno per una volta starà lontano dai guai “- Avrà pensato. Erano le quattro,quando una mano gli scosse piano la spalla che appena gli spuntava dalle coperte. Ed anche se la luce era spenta, una volta sveglio riconobbe ugualmente la figura del padre, che in abiti da caccia lo fissava dall’alto con aria quasi minacciosa mentre con la testa gli faceva cenno di alzarsi. Gigi capì, e con fare seccato, visto anche l’ora, iniziò a vestirsi alla flèbile luce di una piccola lampadina votiva che illuminava appena la figura di S. Barbara,posta su un piccolo altarino collocato ad una parete della stanzetta ,e a cui la madre sempre si rivolgeva quando le sirene di quei giganteschi camion rossi, ululando chiedevano strada,per sottrarre al pericolo chi in loro aveva riposto speranza, facendola rabbrividire, mentre a mani giunte invocava protezione per il marito. E come ogni giorno faceva,seppure in modo diverso, anche per quel figlio scapestrato. —– ” La prima colazione la faremo al bar lungo la strada, per il tardi ho portato dei panini,se avrai fame li troverai nello zaino insieme all’acqua “.- Fu quanto si senti dire,mentre ancora assonnato aiutava a caricare tutto l’occorrente, comprese le stampe di pavoncella,sui sedili posteriori della vecchia FIAT 850. Poi vi salì, sedendo davanti accanto a lui,e fu solo per il senso di soggezione provato in quel momento, che non si addormento subito. Strada facendo ad ogni lieve salita della Statale 18,che da Nocera porta a Cava il motore della vecchia auto sembrava che a momenti dovesse perdere pezzi, tanto si faceva rumoroso,per poi,una volta superata quest’ultima,diventare silenzioso e fluido nelle curve in pendenza di Molina di Vietri Subito dopo compariva il mare. Il Bar Marconi sul litorale di Salerno,era a quei tempi l’unico aperto anche di notte,ed era diventato per questo l’ultimo avamposto per i tanti cacciatori che allora si recavano per quella piana vasta e desolata, che dalla foce del Picentino, appena fuori il centro abitato di Salerno, si estendeva fino a quella del fiume Alento alle pendici dei monti del Cilento. Giusto nel mezzo,come a spadroneggiare in tanto spazio, il “ grande fiume ”,il Sele, che nel solcare la sconfinata piana nello stesso tempo la divideva anche a metà. Quel cornetto appena sfornato, e il latte caldo,resero più sopportabili la noia e il torpore che lo avevano accompagnato fin dalla partenza. Il padre sorseggiò il suo caffè, poi con gesti oramai abituali accese la solita “ President “ uscì dal bar,e si fermò per qualche minuto sul marciapiede, dove rimase a contemplare il cielo ancora per un pò . Quando si apprestò a salire in auto Gigi era già li che lo aspettava da un pezzo. Ripartirono, ancora mezz’ora e sarebbero giunti a Santa Cecilia,poco distante dal Sele e dalla sua foce,dove su alcuni prati umidi pascolava allo stato brado una piccola mandria di bufale. Era ancora buio quando calzati gli stivali,carichi di tutto l’occorrente,silenziosamente scavalcarono il fosso dove poco dopo avrebbero dovuto appostarsi,quando all’improvviso si accorsero di due masse scure,dai contorni non ben definiti, che minacciose andavano man mano avvicinandosi. Gigi sbiancò,il padre guardandolo si lasciò sfuggire un mezzo sorriso,poi senza parlare,per non allarmare eventuali uccelli in pastura, a gesti allontanò le due bufale,che come se nulla fosse tornarono a brucare i teneri germogli che affioravano dall’acquitrino. La luna,che a guardarla sembrava anch’essa sorridere a ciò,lentamente calava dietro la pineta di Campolongo. Gigi tolse una per volta dal sacco, porgendole al padre, le stampe di pavoncella,che questi conficcò con ordine e sapienza nella grassa terra,poi si appostarono. Al continuo e sempre più evidente nascere del nuovo giorno le vette degli Alburni iniziarono a tingersi di svariati colori,prima di viola,poi d’arancio di giallo,infine amalgamandosi tra loro di un rosso infuocato che sembrava volesse incendiare l’intera valle, mentre un po’ più in alto,in un azzurro appena accennato brillava ancora qualche stella dal colore del ghiaccio. In quel mentre alcune Pavoncelle sorvolarono alte le stampe. Il vecchio sovrapposto tuonò due colpi in rapida successione,provocando il gracchiare e nel contempo la messa in ali di alcuni Corvi appollaiati su un secco ai margini dell’acquitrino,ma null’altro. Altri uccelli sorvolarono alti le stampe quella mattina,ma nessuno vi si fermò. Il sole ormai alto nel cielo illuminava l’intera piana,nella quiete assoluta si udiva in lontananza il canto antico di una contadina intenta nei lavori dei campi,mentre le allodole con il loro gorgheggiare, sembrava volessero farle da coro. Si sentì sul tardi il verso lamentoso e malinconico di un chiurlo cui fecero seguito i soliti pigolii di pispole e allodole. Tutto sapeva di pace. Quando verso mezzogiorno fu ora di andare, la tramontana era sul nascere,portando con sé le prime avvisaglie del cambiamento. Quella sera un vento sferzante inarcava la cima degli alberi come ad obbligarli ad inchinarsi al suo cospetto.-” Sicuramente con questo vento domani voleranno basse”- mormorò il padre, mentre calava il cucchiaio nella calda minestra.-” E forse,chissà, potrebbero passare anche le anitre”- aggiunse. Gigi ripensò alla giornata appena trascorsa,ammettendo,anche se solo in cuor suo,che in fondo era stato piacevole,e se non fosse stato per la stanchezza,che in quel momento gli attanagliava le gambe,forse avrebbe chiesto lui se al mattino seguente avrebbe potuto seguirlo nuovamente a caccia. Altro tempo passò,e tante altre giornate di caccia si ripresentarono,e quando una mattina fu Gigi a disporre le stampe, il padre capì che ormai la passione era in lui e che mai più questa l’avrebbe lasciato. Ora non c’era più bisogno di uscire a notte fonda per andarlo a cercare per strada o in qualche malfamato Bar nella speranza di allontanarlo da cattive compagnie,ora il pensiero della caccia faceva si che rientrasse sempre più presto,e che la strada,che sempre l’aveva avuta vinta, restasse solo un lontano ricordo. Presa la licenza iniziò a frequentare assiduamente quei prati,dove di primissimo mattino oltre le pavoncelle e i soliti beccaccini a volte vedeva involarsi anche qualche anitra,o più di frequente le vedeva di giorno, mentre veloci sfioravano le cime degli alberi, che nel Novembre ancora ombreggiavano le rive del fiume. Poi venne Marzo,e la sua prima stagione di caccia stava per volgere al termine,quando una mattina arrivò anche il suo primo ” becco piatto”. Gli sembra di rivederla ancora, quella Marzaiola maschio,che come una saetta sbucò tra le ramaglie dei salici spogli,mentre i primi chiarori del giorno a forza si facevano strada tra enormi ammassi di nuvole. Gli passò sulla testa a non più di venti metri. Gigi accompagnò bene con le canne del fucile l’uccello,così come gli aveva insegnato il padre,poi lasciò partire il colpo,ma si accorse di averla guardata troppo,e aver tirato dietro, alche la marzaiola iniziò a salire e arrancare,come a voler nascondersi tra le vicine nuvole. Il secondo colpo ne fermò la fuga. In quel momento anche il suo cuore sembrò fermarsi. Cadde poco distante,dove la vegetazione si faceva più rada e il chiarore più evidente. Gigi avrebbe voluto gridare dalla gioia, invece si trattenne, per la presenza di alcuni cacciatori che si erano appostati poco distante,e che ai colpi sentiti avevano rivolto lo sguardo verso di lui. Con passo lento e misurato e l’aria da vero cacciatore d’anatre, quale già si sentiva,andò a raccoglierla ,la prese, gli ricompose le penne, e dopo averne osservato bene le forme e i colori, delicatamente l’ appoggiò sul grosso tronco che era stato trascinato lì dal fiume in piena, dove pocanzi aveva trovato riparo per nascondersi alla vista degli uccelli. A tratti piccoli drappelli di marzaiole senza una precisa meta risalivano il fiume, per poi ridiscenderlo repentinamente,le più numerose invece,come a voler indicar alle altre la giusta direzione,alte e veloci nel cielo verso un unico varco che si apriva a Nord e che lasciava intravedere tra le minacciose nubi uno squarcio di azzurro. Alle già numerose marzaiole,altre specie si accodarono a queste. Le più belle ed eleganti, dal collo lungo e sottile, sembravano croci bianche stagliate sul grigio piombo delle nuvole,altre si rincorrevano sfarfallando e di tanto intanto,emettevano dei sonori fischi,altre ancora silenziose,con i maschi che sembrava indossassero il saio dei frati Domenicani, con rapidi battiti d’ali appuntite dritti e sicuri verso orizzonti lontani. Ma nessun uccello,dei tanti che ne girarono quel giorno, gli passò più a tiro, così, quando sul tardi un improvviso acquazzone lo colse di sorpresa ricordandogli solo allora di non aveva portato con se l’ombrello,e le anatre, che avvertito il temporale avevano già preso per altri lidi, si tiro su il cappuccio dell’incerata e si avviò. Quando imboccò lo stretto sentiero già fremeva nel pensare all’alba del giorno seguente e alle tante degli anni a venire.—— L’odore acre della sigaretta appena accesa rievoca il ricordo di quelle gelide mattine,risento lo stesso odore pungente delle tante,troppe “President” da te fumate,e che in auto creavano tra noi come una barriera di nebbia,la stessa nebbia che persisteva anche quando il cielo era terso e il sole accecante. Poi col tempo una leggera brezza la stava finalmente dissolvendo,ed io un po’ per volta incominciavo a intravederti tra questa,quando all’improvviso scese la notte,e fu la notte più buia. Ora non resta altro che il ricordo di quell’alba ormai lontana,quando la luna sorridendo calava dietro la fitta pineta,il canto antico di una contadina,e il ricordo mai sopito di colui che nella caccia aveva intravisto la mia salvezza,e che di notte veniva a cercarmi in malfamati Bar per togliermi dalla cattiva strada .Questa notte nel solito appostamento, sarò io a cercarti fra queste stelle,ma so che non ti troverò. Il fiume, nella sua affannosa corsa alla ricerca del mare,sembra rispecchiare in parte il mio stato d’animo. Tutto è silenzio,poi un fruscio d’ali, una coppia di uccelli cala oltre le prime stampe. Ora sono lì fermi,sospettosi,pronti a levarsi, poi persuasi dal continuo borbottio dei richiami avanzano lentamente,un sibilo del maschio a cui fa pronta risposta il verso della femmina. La mente ora è vuota,i pensieri altrove, porto il fucile alla spalla e il buonumore sembra tornare in me. Anche la luna sembra accorgersene e sorride come allora mentre lascia la piana del Sele per calare dolcemente dietro la pineta di Campolongo.

 Fiorenzo Luigi Agosto 2011

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