Il telefono squillo’ alle dieci di sera di un Venerdi’ d’Ottobre. Fulvio, gia’ mezzo addormentato davanti alla TV, rispose con un biascicato “Pronto, si’ sono io, Fulvio…”

“Ciao Fulvio, ce venghi a caccia da me domani? Ne so’ vista una, su lu pratu dietro casa mia. Ereno tre anni che nun se vedeveno piu’ su li terreni mii…”

“Davvero? Mannaggia! Io volevo passare il weekend con moglie e figli, ma se mi dici questo, al diavolo moglie e figli! Vengo a caccia da te. Sono almeno dieci anni che non ne incarniero una. Mi feci una foto con l’ultima che presi e la pubblicarono su Diana: io, la Lea, Dick, e la bella preda stesa sull’erba davanti a noi. Poveri cani, sono morti di vecchiaia senza trovarne piu’ neanche una. Ma spero che Black e Scout riescano a scovarla, domani, e a farmela incarnierare…’

“D’accordo. Domani a le sei, soname a la porta, che tantu devo da bada’ a le bestie e da zappa’ la vigna. Mojema te fara’ trova’ ‘na bella colazzione.”

Fulvio non rfiusci’ a dormire bene, quella notte. Il suo dormiveglia fu funestato da strane visioni. In una la preda si mostrava a tiro, ma il grilletto era durissimo e lui non riusciva a premerlo. In un’altra, allo sparo i pallini rotolavano lungo la canna e cadevano in terra davanti a lui. In un’altra ancora, lui centrava e stroncava l’ambita preda, ma quando andava a raccoglierla s’era trasformata in un insetto gracile e schifoso. Alle tre si alzo’, tanto di dormire non se ne parlava, e ando’ a prepararsi un caffe’. Poi con gli occhi impastati di sonno entro’ nel suo sancta santorum, seleziono’ il fucile piu’ affidabile, le cartucce piu’ potenti ed efficaci che aveva, e comincio’ a vestirsi. Alle quattro e mezza era gia’ pronto. La fattoria del suo amico era a mezz’ora di macchina.

Usci’ piano piano per non svegliare moglie e figli, fece uscire Black e Scout dal canile, li fece montare nel retro della sua Jeep Cherokee, e parti’. Percorse il tragitto fino alla sua destinazione in venti, non trenta minuti, e parcheggio’ nell’aia. Fulvio era divorato dall’impazienza. Accese e fumo’ una sigaretta dopo l”altra per ingannare l’attesa. Usci’ dall’auto a guardare il cielo, pieno di stelle, che presagiva una magnifica giornata ottobrina. Una tramontanina frizzante lo solletico’ stimolandolo con tanti ricordi di simili mattinate.
Finalmente, come Dio volle, arrivarono le sei. Un vago chiarore cominciava a spargersi dietro le cime delle montagne che circondavano la vallata ubertosa.

Fulvio suono’ il campanello dell’amico, che venne immediatamente ad aprirgli la porta. Un buon odore di salsiccia e cipolle fritte e di pane appena sfornato lo investi’, facendogli quasi per un momento dimenticare la ragione per cui era venuto. La moglie dell’amico lo saluto’ con sincero piacere di averlo li’ con loro, e quando si fu seduto a tavola gli mise davanti una frittata con cipolla e salsiccia di ben sei uova che traboccava dal piatto. Poi, appoggiando la pagnotta ancora calda al suo seno prosperoso coperto da un rozzo ma pulitissimo grembiale ne stacco’ con un movimento destro della mano che teneva il coltello una fetta poderosa. “Magna, Fu’, che quissa e’ tutta robba bona, de produzzione propia nostra, e le ova so’ appena sortite da lu culu de le galline nostre!.”
“E voi non mangiate?” domando’ Fulvio.
“Eh, lallero! Noi semo magnatu ‘n’ora fa. Mica semo gente de citta’ come a ti, Fu’,” lei rispose ridendo.

Fulvio si ingozzo’ il piu’ veloce possibile. Voleva essere gia’ fuori, nei campi, in cerca della rara e fantomatica preda. Quando alla fine usci’, dopo aver ringraziato la donna della sua ospitalita’, il suo amico usci’ dalla stalla e gli indico’ dove aveva visto per un fugace momento la quasi mistica apparizione dell’oggetto della bramosia venatoria di Fulvio. “Passa lu maggese innanzi a chillu pezzettu de macchia ssa’, e metti li cani su lu pratu, che mo’ che ha fatto luce deve da esse ita da lu maggese ‘ndove ha passatu la notte a lu prato a trovasse da magna’.”
Ed e’ cio’ che Fulvio fece. Black e Scout cominciarono ad incrociare sul prato in lacets perfetti, naso al vento. In mezz’ora avevano coperto tutto il prato, senza scovare nulla. Ma poi, all’improvviso, Scout si blocco’ e taglio’ diritta verso il maggese. Black la segui’. Poi ambedue cominciarono a cercare freneticamente, incrociandosi. Black si inchiodo’ in una ferma magistrale, fremendo. La sua bocca sembrava che masticasse il sentore della preda. Scout onoro’ la ferma del compagno a sette metri da lui.
Fulvio, che era a cinquanta metri dai cani si affretto’ a raggiungerli, temendo che la preda tentasse di fuggire fuori tiro, prima che lui arrivasse. Ma i cani non ruppero la ferma, e la preda rimase anche lei ferma sotto il loro sguardo ipnotico. L’arrivo di Fulvio fra i due cani, pero’, fu piu’ che l’animale potesse sopportare, e tento’ di scampare ai suoi persecutori.

Fulvio, strapieno di adrenalina e ansioso di abbatterla, di farla sua, avvento’ la prima schioppettata troppo presto, e non fece altro che sollevare una nuvola di polvere e terriccio dal maggese. La seconda schioppettata ando’ allo zig quando l’animale viro’ in uno scarto improvviso verso lo zag.
In tali momenti il tempo sembra rallentare quasi fino a fermarsi. Immagini dell’ultimo colpo andato a vuoto anch’esso, l’otturatore che rimaneva aperto dopo l’ultima cartuccia era stata sprecata inutilmente, la delusione dell’occasione mancata, la fuga dell’animale verso orizzonti ignoti, la vergogna della triplice padella, il mesto ritorno prima alla fattoria dell”amico che lo avrebbe guardato con commiserazione, e poi il ritorno a casa, con le recriminazioni di moglie e figli lasciati a casa a dispetto della promessa di una gita–tutte queste visioni scorsero come scene di un film visto al rallentatore, sebbene fossero tutte trascorse nella sua mente in una frazione di secondo. Una frazione di secondo, pero’, che sferzo’ Fulvio, inducendolo a correggere la mira. Ed al limite della sua portata, il fucile, come se si fosse mosso da solo, raggiunse il punto magico e la schioppettata colse la preda in pieno. Fulvio rimase come impietrito, sommerso da uno tsunami di emozioni. Scout abbocco’ il corpo inerte, glielo riporto’ e si sedette di fronte a lui, chiedendosi perche’ il suo umano non si chinasse a prenderla dalla sua mano, mentre Black saltellava eccitato tutto intorno a Fulvio. Fulvio finalmente si riscosse, cadde in ginocchio davanti a Scout e le tolse la preda dalle fauci con mani tremanti lentamente, teneramente, religiosamente. La liscio’ a lungo, felice e triste allo stesso tempo–felice di aver annullato la scaltrezza e la velocita’ della sua preda, triste perche’ le aveva tolta la vita.

Lentamente, pesantemente, stremato dalle tante emozioni, ritorno’ alla fattoria, dove il suo amico e sua moglie lo complimentarono a lungo per il suo successo. Poi il ritorno in auto, che sembrava non finisse mai, tanto era grande il suo desiderio di mostrare a moglie e figli cio’ che aveva preso e che ogni tanto guardava orgoglioso mentre giaceva sul tappetino di gomma del sedile di destra. Avrebbe voluto metterla sul sedile stesso, per onorarla di piu’ ma guai se la moglie ci avesse trovato una goccia di sangue!

Arrivato a casa, mise i cani nel canile, la macchina nel garage, e con la preda in mano corse su per le scale, gridando come un ossesso: “Martaaaa! Pieroooo! Andreaaaa!!! Venite a vedere che bellissima allodola ho incarnierato!

Autore del racconto
Giovanni Tallino