Oggi sul Bresciaoggi è stato pubblicato un bellissimo articolo sull'affascinante mondo che fù(purtroppo [tenerezza.gif] ) quello della caccia con la civetta....sono sicuro che a molti di voi, nel leggere questo articolo, si struggerà il cuore ripensando ai tanti ricordi che ha lasciato questa bellissima forma di caccia.
Ciao
REMO ZANARDINI. Ha cominciato a setto-otto anni, seguendo il genitore. «Poi le nuove leggi mi hanno obbligato a smettere»
Una vita da cacciatore di civette
«Per mio padre era un modo d’arrotondare lo stipendio: le rivendeva ai cacciatori. Per me era soprattutto un divertimento»
Di Gian Battista Muzzi
Nel 1983 fu proibita la caccia con la civetta quale zimbello per le allodole e altre specie cacciabili di passo. Solo i cacciatori che già detenevano una civetta potevano continuare per altri cinque anni quel tipo di caccia; bastava ottenere una dichiarazione dall'assessorato Caccia e Pesca, che allora aveva la sua sede in via Galileo Galilei, accanto all'Archivio di Stato.
Finiva così una millenaria tradizione venatoria, venuta dall'oriente e magnificata dall'imperatore Federico II di Svevia con il famoso trattato «De arte venandi cum avibus», l'arte di cacciare con gli uccelli (rapaci), la falconeria; ma si poneva fine anche alla tradizione della zimbellatura.
Le cause di questa fine sono molteplici, non ultime la battaglia proibizionista di certi movimenti animalisti e le difficili condizioni di alcune specie dell'avifauna. Finiva anche una fase della vita per Remo Zanardini che, della cattura delle civette, aveva fatto un divertimento e una professione; più ancora che della caccia, della quale è rimasto un appassionato.
«Ho cominciato a catturare le civette quando avevo sette o otto anni - dice Zanardini -, andavo alla scuola elementare. È stato mio padre ad insegnarmi. In verità, ha tentato di insegnare anche ai miei fratelli, ma io sono stato l'unico che ha continuato sulle sue orme. Visto che i miei fratelli avevano paura, lui, per forgiarmi, mi portava davanti ai cimiteri di notte e mi lasciava là delle ore, intanto che andava a prendere le civette; poi veniva a ritirarmi. E questo l'ha fatto fino a quando non gli ho più detto che avevo paura. Ma non avevo mai avuto paura».
Suo padre usava le civette per la caccia alle allodole?
«Anche, ma soprattutto le vendeva ai cacciatori e cercava di arrotondare il suo stipendio. Per me, invece, era un divertimento. A circa 14 anni, cogliendo l'occasione di una sua assenza temporanea, ho cominciato ad andare per civette da solo. La prima volta sono andato a Capo di Monte, frazione di Castenedolo, e in quell'uscita una delle reti è andata a picche perché invece di una civetta mi è entrato un grosso cane. È fuggito strappando tutte le maglie... Il problema fu dirlo a mio padre».
«In seguito andavo anche dietro l'ospedale psichiatrico di viale Duca degli Abruzzi, dove c'erano le cascine dei Gussago e degli Apostoli: c'erano dei bellissimi luoghi adatti per dispiegare le reti. Allora non c'erano tutte le auto di oggi. Oppure, alle sei del pomeriggio, dopo essere uscito dall'officina meccanica dove lavoravo, partivo con la moto ed i miei attrezzi e me ne andavo più lontano; stavo fuori fino alle due-tre di notte».
I cacciatori abbattevano la selvaggina con l'aiuto della civetta. Lei come catturava le civette?
«Le tecniche per la cattura delle civette sono semplici ma anche complesse. La rete è alta un metro e 60-80 centimetri ed è lunga 25 metri. È una semplice rete rettangolare e diritta, usata solo ed esclusivamente per i rapaci notturni, che vi sbattono e tentano di afferrarla con gli artigli, ma vi si ingarbugliano; il suo nome dialettale è antanèl. Le reti erano dipanate e tenute tese, parallele ai filari dei gelsi e delle viti, sollevate una ventina di centimetri da terra».
Ma non è bassa rispetto alla posizione nella quale si trova la civetta sull'albero? Come faceva a farla entrare?
«La civetta può appoggiarsi sui tetti delle case, sui pali o sulle piante non esageratamente alte. Quando spicca il volo, s'abbassa repentinamente e vola circa ad un metro da terra, vola raso. Perciò quella è all'altezza giusta perché c'entri la civetta».
Chi spinge le civette ad entrare nella rete; da che cosa vengono attirate?
«Vengono ingannate, come loro ingannano gli uccelli quando sono sulla zimbelliera, sul trespolo. Per attirarle si fa il verso del maschio, attraverso uno strumento detto il richiamo. Lei non resiste al richiamo e spicca il volo, finendo nella rete. Mio padre aveva un richiamo per le tortore, rimodellato per le civette. Lo conservo ancora».
Girando, solo, nelle campagne di notte ha avuto delle sorprese?
«Ho incontrato spesso le guardie venatorie e talvolta mi hanno fatto il verbale. Multe ne ho mai pagate perché ho sempre dimostrato di essere in buona fede. Sono stato bersaglio di alcune fucilate, piuttosto. Purtroppo la gente superstiziosa pensava, e pensa ancora, che quando la civetta canta vicino ad una casa qualcuno della famiglia dovrà morire. Così m'è capitato che, per scacciare la civetta, sparassero anche contro di me. M'hanno lanciato contro anche sassi, e, addirittura, un badile».
Qual è il periodo più propizio per la cattura delle civette?
«Cominciavo le catture a metà agosto. Le nuove nidiate erano ormai cresciute e i pulcini completamente sviluppati. Se catturavi al primo colpo la femmina, era facilissimo catturare anche i novelli che le stavano intorno. Dirò di più: delle civette catturate entro la fine di agosto ne muore forse l'1 per cento. Tra quelle catturate dall'inizio di settembre al 20 c'è una moria del 20-25%, causata dallo stress di cattività. Delle civette catturate durante il mese di ottobre ne muoiono più del 50 per cento».
Come si nutrono le civette in cattività?
«Per mantenerle in gabbia fino all'inizio della stagione venatoria le nutrivo con la carne, il cuore di cavallo o di bue, uccellini e topolini. I topolini li prendevo allo Zooprofilattico, quelli che erano serviti da cavie, oppure i pulcini che scartavano le grande aziende tipo la Cibazoo>>
IL RICORDO. «Ho una certa nostalgia per le notti passate tra i filari dei gelsi. Quegli animali erano uno dei grandi amori della mia vita»
«La sera al parco di S. Polo le chiamo e rispondono»
«Sono riuscito a catturarne anche 44 in una sola uscita»
Remo Zanardini ha ormai 69 anni e la cattura delle civette se l'è scordata. Però, la sera, con la moglie parte in cerca del silenzio anche nel parco di San Polo e azzarda qualche richiamo. Le civette, che come i merli si sono inurbate, gli rispondono.
«Dopo averle sentite sono contento e vengo a casa con una certa nostalgia per le notti passate tra i filari dei gelsi. Le civette, con mia moglie e le mie figlie, costituiscono i tre grandi amori della mia vita».
Quante civette catturava, per notte?
«Dipendeva dalla notte. Se era tranquilla, senza vento, potevo catturarne in media una ventina. Ma anche di più. M'ero posto l'obiettivo di catturarne cinquanta; invece, la migliore mia cattura è stata di 44 in una notte».
Anche se era munito di permesso per la cattura della civetta nel territorio provinciale, spesso, a suo rischio e pericolo migrava, come lui stesso sostiene, verso altri lidi. Ha frequentato il Friuli, la Toscana, la Sicilia e la Puglia: tutte regioni nelle quali faceva un buon bottino.
Le civette dovevano essere consegnate ai Centri di raccolta per essere distribuite ai cacciatori che ne facevano richiesta. Il nostro civettaro dichiara che ha sempre trovato chiuse le porte di questo centro situato in Borgosatollo.
E delle civette che faceva?
«Le regalavo ai miei amici - mi risponde con un sorriso che cela un'altra risposta -. Ne avevo tanti e le civette non erano mai sufficienti. Sulla carta dell'autorizzazione di parla di "cattura e cessione" di civette. Io, perciò, ero in regola».
Lei ha cacciato molto con la civetta. Com'è questo tipo di caccia?
«Le si mette una braghetta e la si lega al palo sulla cui punta è fissato uno gabellino, la zimbelliera. La corda, di solito è lunga 50-60 cm o anche di meno. Quando, per esempio, era ferma e non aveva voglia di volare sul trespolo, per farla muovere le dicevo: "dai, ciccina, su..." e lei, trac, faceva il volo e si posava in vista per le allodole. Era un piacere parlarle e una compagnia. La civetta serviva per attirare le allodole o altri uccelli che amavano giocare con lei. La preda, insomma, veniva portata a tiro. Prima di concludere, però, voglio dire che la civetta era liberata, alla fine della stagione di caccia e ritornava in libertà. L'affermazione degli animalisti che noi la facevamo soffrire era infondata».G.B.M.
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