si mantengono bene però, se qualche giorno c"incotriamo per un caffè ti faccio raccontare dal socio i miei bomboloni ma grossi in 2 giornate di caccia nello spazio di una settimana sono passati 4 anni ma ancora lui pesta sempre
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Si dorme qui?......
Beh, parliamo di cose recenti, circa trentacinque anni fa, IL PRIMO CINGHIALE
Il lavoro mi teneva lontano dalla mia terra ormai da troppi anni. Dedicavo alla mia amata caccia solo i pochi giorni all’anno nei quali potevo tornare ai luoghi natii. Per il resto vivevo di ricordi e di fantasie.
Da quando avevo conosciuto Lorenzo, alcuni anni prima, utilizzavo le poche uscite per la caccia al cinghiale. Lorenzo, di alcuni anni più vecchio di me, aveva per questa caccia una vera e propria fissazione. Lui riusciva tutti gli anni ad abbattere almeno un animale, io invece ero ancora all’asciutto.
Veramente l’anno prima, un giorno maledetto, per due volte i cinghiali erano passati dalla mia posta, ma le fucilate avevano lasciato solo pochi segni nella macchia mediterranea. C’ero rimasto così male che non ero più uscito.
L’insistenza di Lorenzo e la passione mi avevano convinto, dopo un anno, a tentare di nuovo la bestia nera.
Il giorno dopo la Befana la sveglia mi colse ad occhi aperti, i due cinghiali dell’anno prima mi avevano tormentato per quasi tutta la notte. Così non fu duro alzarsi. Mi vestii pesantemente, sapevo che la giornata sarebbe stata fredda, speravo solo che ci fosse un po’ di sole. Guidai con prudenza, la campagna era totalmente gelata.
L’inconfondibile sagoma di San Gimignano con le sue torri si stagliava contro il poggio del Comune, un’enorme collina ricoperta di macchia mediterranea e di boschi di cerro.
Passai la cittadina ed il poggio, una leggera nebbia aveva invaso la scena, le piante sembravano sculture di ghiaccio. Dopo alcuni chilometri di strada sterrata, dietro una curva apparve un enorme falò con numerosi cacciatori che gli si stringevano intorno.
Lorenzo mi venne incontro sorridendo, intorno al fuoco le canizze e le fucilate si inseguivano veloci nei racconti dei cacciatori. I cinghiali padellati erano sempre i più grossi.
Salsicce, bistecche e fette di pancetta arrostivano alla brace. Un generoso fiasco di grappa girava a scaldare lo stomaco.
Dopo circa una mezz’ora dalla nebbia si materializzarono tre figure, erano i tracciatori, subito ci stringemmo intorno a loro per conoscere l’esito del loro lavoro. I due più giovani scuotevano sconsolati la testa, tutto era così gelato che era impossibile rilevare anche la minima traccia.
Il più vecchio, con un mezzo toscano spento perennemente in bocca, parlò per ultimo. Da alcuni graffi in un greppo sembrava che un animale fosse entrato nella “cacciatina” (un immenso oceano di macchia), anche se era veramente difficile essere certi.
Il capocaccia decise subito che si sarebbe battuta la “cacciatina”, conosceva troppo bene Beppe, il tracciatore più anziano, e sapeva che non aveva mai padellata una traccia, mentre con il fucile …….. era meglio lasciar perdere.
Silenziosamente le poste iniziarono a sgranarsi come fantasmi nella nebbia lungo un viottolo che tagliava il bosco. Il capoposta con pochi efficaci gesti indicava dove fermarsi e dove si poteva sparare.
All’inizio il bosco rimase irrealmente silenzioso, poi piano piano la vita riprese il suo ciclo. Anche un timido sole inizio a scaldare le nostre ossa infreddolite. Un topino attraversò veloce il sentiero, dopo un po’ una donnola si affacciò dal bosco con il topo in bocca. Un merlo razzolava fra le foglie gelate alla ricerca di qualche verme.
Per fortuna le poste a me vicine restavano immobili, era come se fossimo stati assorbiti dal bosco.
Molto lontano un cane abbaiava, trattenni il respiro per sentire meglio, sembrava Stella detta la Lupa che abbaiava a fermo, dopo un po’ ecco anche Zorro, era la conferma. I cani avevano agganciato il cinghiale, qualche altro cane si univa timidamente all’abbaiata a fermo.
Certo erano lontanissimi, impossibile che il cinghiale venisse a passare proprio da queste parti.
Erano passate alcune decine di minuti che una coppiola ruppe il coro dei cani. Un canaio sparava e faceva scoppiare petardi per forzare il cinghiale a partire, probabilmente urlava anche, ma da quella distanza le urla non si sentivano. Infine il cinghiale lasciò la lestra, subito si scatenò una furibonda canizza, anche gli altri cani che fino a quel momento si erano ben guardati dall’avvicinarsi all’animale adesso si univano alla canizza riempiendo il bosco di latrati.
Ben presto la canizza sparì dietro il poggio che avevo di fronte. Pensavo che si fosse persa chissà dove quando una serie di fucilate dietro il poggio mi avvertì che erano entrati in azione i paratori. Erano coloro che, posizionati ai lati della cacciata cercavano di spingere il cinghiale verso le poste sparando a salve ed urlando come matti quando la canizza si dirigeva verso di loro.
Dopo un po’ su di un lato del poggio ecco riapparire il coro dei cani. Era ancora lontano, ma adesso puntava decisamente verso le poste scendendo verso il fosso. Ad un certo punto il cinghiale si fermò, come per incanto i cani si zittirono, solo la Lupa, Zorro e pochi altri rimasero ad abbaiare a fermo.
Adesso li sentivo benissimo e mi sembrava di vederli che nel fitto cercavano di mantenere il contatto con la preda senza avvicinarsi troppo per non buscarsi una zannata, ogni tanto qualche cucciolo tentava di addentarlo ma veniva dissuaso da furiose cariche.
Un canaio iniziò ad urlare a poche decine di metri da dove era fermo il cinghiale, ma questo sembra non decidersi a partire; la solita coppiola lo convinse e la canizza riesplose più violenta di prima.
Ma il cinghiale non ne voleva sapere di venire alle poste, prese lungo il fosso e la canizza si affievolì sul lato destro.
Questa volta pensavo proprio che la cacciata fosse svanita chissà dove. Mario, indomito canaio, iniziò ad urlare e sparare come un matto davanti alla canizza.
Il cinghiale si fermò e dopo poco iniziò a salire la costa verso le poste.
Sembrava veramente fatta, difficilmente sarebbe riuscito a farla franca senza buscarsi qualche fucilata.
Cominciai a rendermi conto che puntava decisamente verso l’angolo di bosco in cui anche io ero alla posta.
Una ghiandaia e due merli sfrecciarono chiocciando attraverso al viottolo.
Lentamente l’ambiente circostante scomparve, esistevamo solo io, il fucile ed il trattoio dove sarebbe potuto apparire.
Un rumore di rami rotti e poi di zoccoli che battevano sui sassi si avvicinava velocemente.
Violente ondate di brividi mi salivano lungo la schiena.
Mezzo animale apparve bloccandosi prima di attraversare lo stradello.
L’istante in cui ci guardammo sembrò dilatarsi all’infinito.
Le due fucilate ruppero l’incantesimo.
Il cinghiale proseguì imperterrito la corsa.
Rimasi imbracciato, negli occhi avevo ancora il mirino sulla spalla pelosa.
Frotte di cani irruppero da ogni dove abbaiando.
Mi sembrava di non riuscire nemmeno a respirare quando il cacciatore della posta vicina mi disse: “abbaiano a fermo”.
Il sangue lentamente tornò a scorrermi nelle vene e mi resi conto che una furibonda abbaiata a fermo si era scatenata a non più di cinquanta metri nella macchia.
Ora anche i cani meno coraggiosi abbaiavano.
Mario, il canaio, sbucò dal bosco, ci avrei scommesso che era passato dallo stesso trattoio del cinghiale e conoscendo quelli come lui non ci sarebbe stato da stupirsi.
“Vieni con me” mi disse. Scaricai il fucile e mi gettai carponi dietro a lui. Sembrava impossibile passare per quell’intrigo di ramaglia ma Mario avanzava.
I cani non abbaiavano più a fermo, ma si sentivano bene azzuffarsi per mordere il cinghiale.
La macchia e gli strappa-borse si attaccavano ai vestiti e mi graffiavano le mani ed il viso, ma non sentivo niente.
Iniziammo ad intravedere i primi cani e dopo qualche metro, sotto un groviglio di gambe, di bocche, di code giaceva il cinghiale morto. La scena era abbastanza comica, tutte le volte che qualche cane addentava la bestia tirandola e facendola muovere gli altri cani schizzavano via come molle, l’istinto diceva loro che c’è sempre da fidarsi poco.
Il cinghiale giaceva riverso in un cesto di scope, subito cercai i segni delle fucilate e li trovai un po’ più indietro di dove me li aspettavo, ma fortunatamente abbastanza alti da risultare mortali. Evidentemente il cinghiale era partito un istante prima che stringessi il grilletto.
Mario prese uno zampuccio ed iniziò a trascinarlo verso il viottolo delle poste, per fortuna la strada era in discesa perché l’animale non era enorme, ma neanche troppo piccolo. Era un maschio e già pensavo a dove posizionare lo scudetto con il trofeo, le difese e le coti.
Dopo qualche difficoltà arrivammo nel sentiero. Le poste, dopo il segnale del capocaccia, stavano tornando verso il ritrovo.
Lorenzo stava tagliando il classico palo per trasportare il cinghiale, come mi vide mi venne incontro abbracciandomi, poi mi sporcò il viso con il sangue della preda. Era il battesimo del primo cinghiale.
Arrivati al fuoco tutti mi vennero incontro per sapere i particolari del tiro, raccontai la stessa scena diverse volte, ma alcuni particolari li tenni per me.
Era l’ora di pranzo, bistecche, salsicce e pancetta ripresero il posto sulla brace. Qualcuno, perfettamente attrezzato aveva anche dei pentolini con la pasta o con il pranzo preparato dalla moglie.
Verso la fine del pasto apparve anche una moka per il caffè.
Il fiasco di grappa volgeva alla fine.
Nel pomeriggio fu deciso di cacciare in un bosco circondato da campi, circolava la voce che Beppe avesse individuato in quel bosco un branchetto di animali.
Effettivamente furono trovati cinque cinghiali, di cui due furono uccisi, uno da Lorenzo che evidentemente non voleva rimanere indietro nemmeno per un giorno.
Quando tornammo verso le macchine guidava il gruppo un ragazzo a capo basso, tre cinghiali erano usciti nel campo dove era alla posta, aveva scaricato il fucile, ma dai cinghiali nemmeno una goccia di sangue.
Mi faceva pena e sapevo bene cosa provava, ma sarebbe stato inutile cercare di consolarlo, il tempo e tiri più fortunati avrebbero attenuato la sua amarezza.
Claudio - siena
Saluti a tutti. Nessuno scrive niente? Strano! Io veramente ho poco da scrivere, in quanto all'apertura, (il 4 ottobre), si sono verificati degli eventi che non hanno portato a niente di concreto e ce ne siamo andati a casa lisci lisci.
In primis troppo caldo, 36° alle 10,00, quindi i cani dopo 20 minuti non ce la facevano più. Uno addirittura si è collassato, quindi corsa dal veterinario, che poi si è risolto per il meglio. I cinghiali non erano dove dovevano essere, (e te pareva).
Abbiamo appreso la notizia che "l'altra" squadra ci ha fregato un territorio dove battevamo noi, facendoselo assegnare, accampando scuse che non stanno ne in cielo ne in terra.
Saputi i resoconti delle altre squadre sparse nel territorio calabrese, siamo l'ultima ruota del carro. Chi 18, chi 12, chi 9, chi 6....insomma si sono divertiti. Si spera per le prossime battute.
Comunque, spero che almeno a voi sia andata meglio.
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