Quando dissi a mio padre che quest’anno avevo voglia di portarlo in Armenia, non mi chiese notizie sulla caccia (anche se era scontato che si trattasse di anatre), ma iniziammo a parlare di che tipo di esperienza avremmo vissuto: probabilmente difficile, in una realtà povera, priva di comodità, lontana e sconosciuta. Fummo d’accordo che quello sarebbe stato il suo bello ed approfondii i contatti che avevo già preso, fissai le date e presi i voli. Per raggiungere Yerevan da Milano a costi sostenibili, bisogna scegliere tra gli scali intermedi di Atene, Vienna o Mosca; queste opzioni sono accomunate dalla particolarità di arrivare la mattina molto presto, ma l’unico volo ammissibile se volete cacciare anatre e non volete perdervi l’alba sull’acqua è quello via Mosca con arrivo alle 3 e 10. Le formalità di sbarco sono brevi e semplici, poi ci vuole circa 1 ora e un quarto per raggiungere in macchina la casa di caccia. Questa è all’interno della valle da pesca in cui cacceremo, 23 laghi di cui 18 adibiti alla caccia, circa 6000 ettari di ambiente acquatico all’interno dell’unica pianura armena, lungo il corso del Araks, a pochi chilometri dalla Turchia e dall’Iran. La casa è accogliente benché estremamente spartana, siamo isolati in piena “campagna” ad un quarto d’ora di strada dissestata dalla “civiltà”, c’è la corrente elettrica, un camino, termosifoni elettrici nelle camere e acqua calda da caldaie alimentate con gas in bombola. TV satellitare e niente WiFi. Facciamo giusto in tempo a far colazione e si parte. Avete voluto l’avventura? E adesso ve la beccate! Mentre ci dirigiamo verso il lago in cui avremmo cacciato, l’autista perde il controllo della Lada Niva sulla strada dissestata e resa scivolosa dalla pioggia, sbanda a sinistra, corregge, ma la macchina esce di strada e si inclina. Scendiamo nel buio e sotto la pioggia e ci rendiamo conto di essere sul bordo di un terrapieno e non ci siamo cappottati di sotto per puro intervento divino (sarà che sono tutti cattolici in Armenia, i turchi li hanno mandati via). Insomma, ci si poteva far male e la vacanza sarebbe finita prima di cominciare. Dopo minuti di riflessione di vani tentativi di riportare su la macchina, Nver, il nostro autista-accompagnatore-capo valle scende a tastare il terreno di sotto: un canneto alto tre metri, ma per fortuna –scopriremo a breve- asciutto e compatto. Ok si tenta. Invece di provare di nuovo a risalire, gira la macchina e scende di sotto, spiana un po’ di canneto, prende la rincorsa e con un salto, che prima di allora pensavo possibile solo al Generale Lee dei cugini Duke o alla Blues Mobile, riporta la Lada Niva sulla carreggiata. La paura è passata e subentra lo stupore. Bravo! Dai, su che si va a caccia! Arriviamo al lago (il n. 14) e ci posizioniamo su un palchetto comodo e ben mimetizzato. Purtroppo non ci mettiamo molto a renderci conto che il movimento di becchipiatti è veramente scarso e nonostante gli uccelli in zona sono ben disposti verso i nostri stampi, il carniere sarà proprio misero e composto da morette, moriglioni e un fistione turco. Anatre di superficie non pervenute. Non siamo degli sprovveduti e conosciamo benissimo le insidie e l’aleatorietà della caccia ai migratori, ma sinceramente mi aspettavo qualcosa di più. Eravamo delusi non tanto dal carniere, quanto dal fatto che non si vedevano uccelli in volo, nonostante un ottimo raggio di visibilità e nonostante la pioggia, che avrebbe dovuto tenere in ala le anatre anche a giorno fatto. Questo era un brutto segnale per le prossime mattine. Rientrati in casa di caccia, approfittiamo dell’oretta che ci separa dal pranzo per riposarci dalla nottata di viaggio, ma poco dopo sono infastidito da un odore acre di gomma bruciata. Temo di aver avvicinato troppo qualche indumento bagnato al termosifone elettrico, ma mi accorgo che è spento. Sarà saltato, mi dico. E invece è saltata la corrente, in tutta la casa. Controllo in salone, niente, tutto spento. Rientro in camera e mi accorgo che il fumo è aumentato ed è ora visibile. Apro la finestra e vado da mio padre che si era appisolato: c’è fumo anche in camera sua, lo sveglio e apro anche la sua finestra. Nver non c’è, c’è la cuoca, ma non parla italiano; trovo il figlio di Nver e cerchiamo di far tornare la corrente. Usciamo e ci accorgiamo del disastro: nel “locale caldaia” (per modo di dire) si è sviluppato un incendio ad una pompa elettrica che si è propagato a quello che dovrebbe essere stato il salvavita e da lì alle tubature di plastica nonché alla copertura del soffitto. Un vero casino, a un metro da una bombola del gas. Per fortuna le fiamme si sono spente senza dover intervenire, ma tutta la casa era senza corrente elettrica. Ora di sera vengono eseguite le riparazioni e le sostituzioni delle parti andate distrutte ed abbiamo di nuovo la corrente; ci mancherà soltanto l’acqua calda fino al giorno dopo. Ci distraiamo andando a caccia un paio d’ore attorno a casa, ma, ripensandoci a mente fredda, se l’incendio fosse successo di notte, temo ci sarebbero state conseguenze ben più spiacevoli. Anche stavolta è andata bene. La caccia, dicevo. Ebbene, se alla mattina ci ha sorpreso la scarsità di anatre, nel pomeriggio restiamo sbalorditi dal quantitativo di beccaccini e, soprattutto frullini, presenti nei prati allagati e nelle paludi. Ci accompagnano due ausiliari, un setter ed un pointer, che a detta di Nver sono fenomenali su coturnici, starne e quaglie, ma sembra subito evidente che sui beccaccini non ci capiscano nulla: sarà come cacciare con due springer a duecento metri. Nonostante ciò, abbiamo modo di esplodere diverse fucilate e di rientrare con un carniere molto soddisfacente, aiutati dal fatto che i cani brocchi alla fine si rivelano ottimi recuperatori e non perderemo alcun uccello abbattuto. Ceniamo con dell’ottimo maiale alla brace, patate alla brace, vino armeno, birra armena, vodka russa e caffe con la moka. Ci ritiriamo piuttosto presto e puntiamo le sveglie per la mattina successiva. Ero piuttosto di malumore perché mi chiedevo come avremmo potuto raddrizzare la situazione sulle anatre e, purtroppo, avevo ragione a preoccuparmi. La mattina seguente cacciamo in un chiaro abbastanza ristretto e tiriamo a qualche alzavola sul cambio di luce, ma poi si ferma tutto di nuovo. A giorno prenderemo una morigliona, due pavoncelle e finiremo così. C’è stato un curioso movimento di morette, singole o a coppie, che entrate di fronte a noi sfiancavano tutte alla medesima distanza con la stessa direzione senza passare a tiro. Tentammo in un paio di occasioni, ma una volta tirammo a vuoto, un’altra ferimmo una moretta che si nascose nel canneto rendendosi irrecuperabile e quindi decidemmo di evitare quei tiri così sforzati, anche perché era evidente che le nostre Fetter russe da 36 grammi con Pb 5 non erano idonee a distanze che erano già quasi proibitive per caricamenti più importanti. A fine cacciata, con stupore ci accorgemmo che tra le alzavole della mattina, c’era una marzaiola. Al pomeriggio ripetiamo il giro a piedi, ma gli uccelli sono meno propensi a farsi avvicinare e il carniere, benché ancora divertente, sarà circa la metà del giorno precedente, completato –come anche il giorno prima- da una quaglia. Questa ridondanza di prede inconsuete, due quaglie, la marzaiola, ci fa pensare che la scarsità delle anatre sia dovute ad un ritardo del passo. Chissà? La terza mattina ci prepariamo con davvero poco entusiasmo e infatti la cacciata ricalcherà le precedenti: qualche alzavola singola sul cambio di luce (due delle quali ci verranno “rubate” dagli onnipresenti falchi di palude) ed un’unica occasione a giorno fatto su tre germani che riusciamo ad incarnierare. Fine. Al pomeriggio ci limitiamo a metà del giro a piedi, siamo stanchi e gli uccelli sono intrattabili, riuscirò a riportare un unico beccaccino. Prima di sera chiediamo a Nver di farci vedere il villaggio vicino che, a parte un piccolo supermercato ed il benzinaio, si mostra come una realtà proprio depressa. Ho avuto modo di vedere, tanto per fare un paragone, la Romania quella rurale, quella profonda, ma confronto a qui, quella Romania la è come San Francisco. Ne approfittiamo per acquistare uno dei prodotti di nicchia più curiosi in Armenia, un brandy, che loro chiamano cognac, che conta numerosi produttori e pare sia di buon livello. Anche il vino armeno non è da sottovalutare; in fondo se è vero che Noè, sceso dall’arca, si mise a coltivare la vite, stai a vedere che siamo di fronte al vino più antico del mondo. Nella zona si producono, inoltre, ottime e rinomate albicocche. L’ultima sera la dedichiamo ad un barbecue armeno su cui sono infilzati coturnici, starne, quaglie e beccaccini: sarà un ricordo indelebile, con l’ausilio della vodka che, per l’occasione, scorrerà più copiosa del solito. E così, troppo breve come sempre, finisce la nostra vacanza che ci lascia non solo la delusione per gli scarsi carnieri che eravamo venuti a cercare, ma anche tante immagini di una realtà talmente lontana dalla nostra, ma talmente bella ed affascinante che dentro di te ti resta la voglia, nonostante tutto, di tornarci. Un giorno, chissà?
PS
Ultimo acquisto volante in aeroporto a Mosca: salame di Cedrone e salame d'Orso. Vi farò sapere