Alberto 69

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Mercoledì 20 Maggio 2015

Analisi delle principali indicazioni legislative in materia di detenzione e trasporto d'armi per uso sportivo, venatorio, di difesa o di collezione in un'ottica di bilanciamento tra interesse privato e incolumità pubblica, come evidenziato dalla sentenza n° 635/2015 del Tar della Toscana che ha negato la licenza sulla base di un "fatto storico" indicativo di pericolosità del soggetto, anche se non sfociato in una condanna definitiva.

1) Inquadramento generale e cenni storici
2) Il sistema odierno: nula osta e porto d'armi
Uso sportivo
Difesa personale
Uso venatorio
​Collezionismo
3) Limiti quantitativi e accertamento medico dell'idoneità
4) La sentenza n° 635/2015 del Tar della Toscana


1) Inquadramento generale e cenni storici

La tematica del porto d'armi oscilla storicamente tra aspirazioni di libertà dei singoli, connesse principalmente ad esigenze di difesa personale, e garanzie di sicurezza generale che costituiscono la preoccupazione preponderante dell'ordinamento. Se in tempi antichi l'uso di armi per autotutela era generalmente riconosciuto (per usare le parole del giurista latino Paolo non manifesta un animus occidendi chi porta un'arma tutandae saluti), con l'età moderna e il diffondersi delle armi da fuoco lo Stato di Diritto inizia a prendere coscienza della necessità di regolamentare l'utilizzo privato di strumenti atti ad offendere l'incolumità altrui: e così nella Francia di Luigi XV era vietato il porto d'armi a chiunque non fosse nobile o dipendente reale, mentre nel Regno di Sardegna il suddito trovato in possesso di archibugi o fucili rischiava una pena detentiva fino a due anni.

Il legislatore italiano di epoca liberale fa proprio questo retroterra culturale sposando la teoria secondo cui la convivenza nella società moderna non richiede, in linea di principio , il libero possesso di armi per tutelare la propria incolumità, essendo lo Stato (e, nello specifico, gli organi di polizia) un guardiano sufficientemente vigile: la legge di pubblica sicurezza del Regno d'Italia (1865) sottopone dunque l'acquisto di armi al possesso di una licenza, come d'altronde fa lo stesso codice Zanardelli (1889) laddove dispone che "chiunque, senza licenza dell'Autorità competente, e fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta armi per le quali occorra la licenza è punito con l'arresto sino ad un mese o con l'ammenda sino a lire duecento." In continuità con tale disciplina il Codice Rocco (1930) accentua il regime autorizzatorio e, all'art. 585, pone una distinzione tra armi proprie ed armi improprie, disponendo che:

Si definiscono armi proprie "[...] quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona";
Si definiscono armi improprie "[...] tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo." (ovvero forbici, coltelli da lavoro, utensili etc.)
Il quadro normativo, in verità ampio e disorganico, è completato nelle sue linee essenziali dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, promulgato con regio decreto n° 773/1931 e tutt'ora in vigore (seppur con molte modifiche), e dalla L. 110/1975, dettante "Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi". In particolare il TULPS dispone norme particolarmente rigorose in materia di commercio d'armi (art. 34), permessi (art. 35) e poteri prefettizi (artt. 39-40), mentre la L. 110/75 pone la disciplina di dettaglio del regime autorizzatorio cui è sottoposto il possesso legittimo di armi nel nostro paese.

2) Il sistema odierno: nula osta e porto d'armi

L'ordinamento vigente in materia di armi segue due direttrici ben delineate: la sicurezza della collettività, garantita da una serie di controlli su armi, richiedenti autorizzazioni, commercianti e operatori del settore, e la libera scelta del cittadino che, rispettando i requisiti di legge, può legittimamente possedere un'arma per uno degli scopi predeterminati dallo Stato. Tali scopi sono:

Uso sportivo
Difesa personale
Uso venatorio
Collezionismo

Ciascun ambito è astrattamente riconducibile al modello del "porto d'armi" ma, in realtà, presenta specificità tecnico-pratiche che costringono ad un'analisi sostanzialmente separata. A monte, però, è comunque rilevante la distinzione tra porto d'armi e semplice nulla osta: quest'ultimo, infatti, è una mera autorizzazione all'acquisto e alla detenzione di armi e, come tale, non consente di portarle fuori dalla propria abitazione. Il nulla osta è rilasciato dal Questore su istanza dell'interessato, laddove questi presenti la documentazione richiesta, che consiste nel certificato di idoneità al maneggio di armi (rilasciato da una Sezione di Tiro a Segno Nazionale o comprovato dal servizio militare o di polizia entro i 10 anni precedenti), in un attestato di idoneità psico-fisica rilasciato dall'ASL e in ina dichiarazione sostitutiva nella quale il richiedente attesti di essere nelle condizioni previste dalla legge e, dunque, nel non essere obiettore di coscienza e nel non aver commesso un reato che costituisce condizione ostativa al rilascio del nulla osta. La disciplina del porto d'armi, invece, è decisamente più articolata e, come tale, merita un'analisi dettagliata.

Uso sportivo. Il porto d'armi per uso sportivo costituisce un'autorizzazione necessaria per esercitare quelle discipline sportive che richiedono l'utilizzo di armi da fuoco (principalmente il tiro a volo, il tiro a segno e gli sport collegati). L'organo competente al rilascio è il Questore e l'autorizzazione ha una validità di 6 anni rinnovabili. In prima istanza il soggetto richiedente deve presentare la dichiarazione di idoneità psico-fisica rilasciata dall'ASL e il certificato di idoneità (nelle forme già esaminate), che costituiscono la documentazione di base, e in più deve risultare iscritto presso una federazione di tiro affiliata al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). L'utilizzo dell'arma è limitato sia nello spazio che nelle modalità: il soggetto può infatti avvalersene solo per le finalità sportive certificate dall'autorità di pubblica sicurezza, nella fase di trasporto dall'abitazione al poligono di tiro deve mantenere l'arma scarica all'interno della custodia e per di più è tenuto (*) ad avere sempre con sé la c.d. "carta verde" vidimata che autorizza il trasporto stesso.

Difesa personale. Il porto d'armi per difesa personale, che costituisce la base logica di qualunque ragionamento in materia, è soggetto ad una disciplina molto stringente che tende a concedere al privato la possibilità di detenere un'arma solo dopo una valutazione discrezionale dei motivi della richiesta, restringendo la concessione ai casi di stretta e comprovata necessità. Tale valutazione è operata dal Prefetto e costituisce documento integrante della procedura di rilascio del porto d'armi, unitamente ai documenti generali richiesti per le altre procedure. La particolarità del porto d'armi per difesa personale e le legittime preoccupazioni in ordine a un utilizzo eccessivamente liberale dello stesso ne giustificano la contingentazione temporale (la validità è infatti limitata a un anno) e procedurale (per il rinnovo è necessario seguire lo stesso iter per il rilascio, esclusa l'idoneità al maneggio già comprovata in sede di prima concessione): il soggetto che intende ottenere il rinnovo dovrà dunque dimostrare all'autorità prefettizia la continuità dei gravi motivi che giustificano il porto d'armi o la sopravvenienza di altri altrettanto gravi.

Uso venatorio. La principale specificità del porto d'armi ad uso venatorio è la necessità del richiedente di essere in possesso di un'abilitazione all'attività venatoria ai fini della richiesta dell'autorizzazione all'autorità di pubblica sicurezza (ovvero il Questore). Tale abilitazione è rilasciata in seguito al superamento di un esame pubblico nel quale l'organo giudicante è un'apposita commissione regionale: il candidato deve dimostrare di conoscere le norme di settore sia sull'utilizzo delle armi che sul rispetto dell'ambiente e degli animali, dando in questo modo prova di voler esercitare l'attività venatoria in modo cosciente e responsabile. L'abilitazione alla caccia non sostituisce in alcun modo né la dichiarazione di maneggio di armi (rilasciata dalla Federazione del Tiro a Segno o sostituita da dichiarazione di servizio militare entro i 10 anni dalla richiesta) né il certificato di idoneità rilasciato dall'ASL. Il porto d'armi ad uso venatorio ha una durata di 6 anni ed il rinnovo prevede lo stesso iter previsto per l'uso sportivo.


Collezionismo. Una forma particolare di concessione è la licenza per concessione. Dal punto di vista strettamente tecnico tale licenza non costituisce un vero e proprio "porto" d'armi in quanto al suo titolare non è concesso di portare con sé le armi al di fuori dall'abitazione o dal luogo designato per la collezione. Nondimeno, in virtù del regime per il rilascio, è utile classificarla con i regimi di porto d'armi: è infatti necessaria la certificazione dell'ASL, così come l'autodichiarazione di idoneità, mentre non è richiesta la capacità di maneggio, considerato anche il divieto di tenere munizioni. La licenza per collezione ha normalmente ad oggetto armi artistiche, antiche (anteriori al 1890) o rare ma può essere rilasciata anche per armi ad uso comune e non è soggetta a scadenze temporali.

3) Limiti quantitativi e accertamento medico dell'idoneità

L'art. 10 della L. 110/1975 detta delle tassative limitazioni alla quantità di armi che un privato può legittimamente possedere. Il soggetto può infatti avere nella sua disponibilità un numero di armi comuni da sparo non superiore a 3 e un numero di armi sportive non superiore a 6, mentre il numero di armi da caccia è illimitato. L'indicazione quantitativa può tuttavia essere derogata col rilascio di una licenza di collezione che permette di possedere un numero superiore di armi ma sempre entro i limiti oggettivi di un esemplare per ogni modello.

L'esame medico per accertare l'idoneità psico-fisica è svolto dall'ASL secondo i criteri fissati dal Ministero della Sanità nel D.M. 28 Aprile 1998. Il decreto distingue i requisiti necessari per attività sportive e di hobby da quelli per la difesa personale, e in particolare:

1. Per le attività sportive e venatorie una capacità visiva non inferiore a 8/10 anche mediante l'ausilio di supporti ottici dall'occhio che vede : meglio, una corretta percezione sensoriale, l'assenza di disfunzioni neurologiche e fisiche (anche mediante l'utilizzo di protesi). Le capacità uditive devono essere contenute entro un certo range, il cui superamento permette l'esercizio della caccia solo in appostamento.
2. Per la difesa personale aumentano sia i requisiti visivi (è necessaria la binocularità e i 10/10, con limitazioni stringenti nell'uso di lenti) sia quelli uditivi. Sul piano psicofisico l'autorizzazione non può essere rilasciata a soggetti che abbiano sofferto di crisi epilettiche nei due anni precedenti la richiesta.

Per entrambi gli ambiti il rilascio dell'autorizzazione è comunque subordinato all'assenza di disturbi di personalità, comportamentali e psichici, nonché di dipendenze da alcol, droghe e psicofarmaci. Il controllo è effettuato da un medico monocratico e contro il suo giudizio è sempre ammesso il ricorso a un colleggio medico istituito presso l'ASL provinciale.

4) La sentenza n° 635/2015 del Tar della Toscana

L'analisi della disciplina ha permesso di evidenziare come ogni fase del procedimento di concessione delle autorizzazioni in materia di armi ai privati sia ispirato ai principi di tutela e sicurezza pubblica. Al di là di poteri speciali in materia affidati dal TULPS al Prefetto (art. 45 "Qualora si verifichino in qualche provincia o Comune condizioni anormali di pubblica sicurezza, il Prefetto può revocare, in tutto o in parte, con manifesto pubblico, le licenze di portare armi.") è più in generale l'intero impianto procedimentale a farsi carico delle esigenze di garanzia generali che l'utilizzo di armi da parte di un privato finisce irrimediabilmente per generare. Alla luce di quanto detto è dunque più comprensibile la sentenza del Tar della Toscana che in data 20 Aprile 2015 ha respinto il ricorso di un soggetto che si era visto revocare il porto d'armi per uso venatorio in conseguenza di un episodio di molestie sessuali a carico di una minore di anni 15 che non era sfociato in una condanna penale per mancanza di querela di parte. Nello specifico, argomenta il Tar, "la giurisprudenza ha più volte rilevato come in materia di rilascio del porto d'armi, l’Amministrazione [...] abbia un’ampia discrezionalità nel valutare l'affidabilità del soggetto di fare buon uso delle armi [...] , onde il provvedimento di rilascio del porto d'armi e l'autorizzazione a goderne in prosieguo richiedono che l'istante sia una persona esente da mende e al disopra di ogni sospetto e/o indizio negativo [...]". Il giudice amministrativo segnala dunque come il potere dell'amministrazione sia sostanzialmente discrezionale in quanto l'interesse privato al porto d'armi resta sempre e comunque subordinato a quello pubblico, del quale è tutore e garante l'autorità stessa.

Il giudizio della Questura di Siena sull'idoneità del soggetto assume dunque carattere prognostico e può essere contestato solo sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza, mentre non è sindacabile l'aspetto puramente discrezionale che può comportare "[...] valutazioni della capacità di abuso fondate su considerazioni probabilistiche e su circostanze di fatto assistite da meri elementi di fumus, in quanto nella materia de qua l'espansione della sfera di libertà dell'individuo è, appunto, destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva [...]" (Consiglio di Stato, sezione IV, n° 4604/2006, come richiamata dal Tar della Toscana).

Anche in questa pronuncia è dunque evidente il carattere manifestamente autorizzatorio della procedura, che mantiene aspetti discrezionali non sopprimibili e che non di rado possono portare a sacrificare le aspirazioni dei privati in nome del benessere collettivo. La delicatezza e l'importanza della tematica rendono poi giustificato il timore dell'autorità di pubblica sicurezza nel concedere troppo facilmente il porto d'armi e legittimano il rifiuto dello stesso sulla fase di mere presupposizioni o indizi non qualificanti in altri ambiti dell'ordinamento, laddove, al contrario, sul piano privato è sempre e comunque richiesta la correttezza formale e sostanziale della documentazione prodotta senza che siano lasciati ambiti di valutazione discrezionale al richiedente.



(*) In virtù di una circolare ministeriale del 1998 (GU Serie Generale n.48 del 27-2-1998) la carta verde non è più il solo strumento che autorizzi al trasporto di armi per uso sportivo ex art. 3 della legge 25 marzo 1986, n. 85, costituendo la licenza di trasporto già titolo per trasferire l'arma da un luogo ad un altro. La carta verde altrettanto consente di "trasportare dal luogo di detenzione alla sezione (o sezioni) del tiro a segno nazionale cui sono iscritti tutte le armi comuni da sparo utilizzabili nella o nelle sezioni di appartenenza".





fonte:camminodiritto.it
 
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