London School of Economics: entro 10 anni l'Italia sarà morta
Trend OnlineScritto da Rossana Prezioso
E poi ci troveremo come le star... a ballare sul ponte di questo gigantesco transatlantico chiamato Italia, brindando allegramente in attesa di quella fine di cui tutti abbiamo intuito l’arrivo. Qualcuno tirerà fuori il suo iPhone (bisogna fare bella figura comunque...), i più facinorosi prepareranno i caschi per proteggersi dalle cariche dei celerini (caschi rigorosamente leopardati perchè pare vada di moda lo stile animalier in chiave sauvage chic e sia sa, la crisi va affrontata con stile...) in attesa di una manifestazione che non arriverà mai, perchè il popolo italiano è pacifista e pacifico, amante dei cortei colorati. In fondo perchè rispondere con della violenza fisica che ha il solo risultato di far passare dalla parte del torto chi è stato ridotto all’esasperazione suicida da altri, economicamente ben protetti, che invece hanno esercitato un’altro tipo di violenza, più subdola, silenziosa ed efficace: quella del parassitismo politico e della sudditanza all’Unione Europea. Un placido e indifferente menefreghismo che ha operato nell’ombra per decenni a proprio favore e, ovviamente, contro la ricchezza di un paese che è nato dalla base di un entusiasmo da tutti invidiatoci e che adesso ci è stato rubato. Pure quello. E’ una condanna a morte quella fatta da Roberto Orsi della London School of Economics and Political Science (LSE) il quale dà al nostro paese non più di 10 anni di vita. Poi il deserto del nulla più assoluto. I numeri dell'Italia “Una ripresa è possibile anche se i numeri non lo evidenziano” questo il parere del Premier Enrico Letta. Sarà, intanto resta il fatto che solitamente sono proprio i numeri i primi ad annunciare realtà fin troppo future per aiutare l’ottimismo. E allora, visto che di numeri si parla, citiamoli. Vogliamo iniziare dalle 10mila imprese fallite nei primi 9 mesi dell’anno? O il 12,5% di disoccupazione, oppure il debito pubblico ormai oltre la soglia del 130% e in fase di crescita (quello si..) per il 2014, oppure gli 80 miliardi di euro che ogni anno ci dobbiamo pagare sopra solo per gli interessi, passando dal 3% del deficit che resta un target raggiunto e mantenuto nello spazio di qualche mese per poi essere sforato, finendo al 60-70% di pressione fiscale, ormai troppo insostenibile e a fronte della quale il fabbisogno dello stato continua a crescere in parallelo con i costi della politica? Parliamone ancora: l’8% in meno sul Pil negli ultimi 5 anni (il 5% solo negli ultimi due secondo alcune statistiche degli economisti dell’Unione Europea), un settore manifatturiero ridotto del 15% sempre dall’inizio della crisi (settore manifatturiero che era in ottima forma e che seguiva di poco il più grande d’Europa, quello tedesco....coincidenza?), distrutto dalla sleale concorrenza asiatica, avvantaggiata anche dalla sottovalutazione del problema. E di fronte a questo noialtri dovremmo gioire per un (eventuale) 0,3% di crescita oppure un 0,1% della Spagna che si considera fuori dalla crisi mentre un quarto della sua popolazione è a spasso per le strade, come anche la Grecia che “vanta” un surplus che non verrà mai utilizzato per aiutare il 50% dei suoi giovani senza lavoro perchè subito sequestrato dai creditori (tra l’altro il surplus in questione non è altro che frutto di tasse e non di produzione industriale).
L'Europa Una politica che a sua volta diventa sempre più autoreferenziata, schiava di se stessa delle proprie esigenze e dei ricatti continui cui le varie parti sottopongono il governo. Ecco, il governo. Altro protagonista: sempre più spesso tecnico, sempre più spesso non eletto, sempre più spesso che tradisce i suoi intenti e il suo programma elettorale fino a scomporlo e a disintegrarlo, come la dignità del popolo elettore che si sente sempre più defraudato. Anche per colpa i quegli accordi economici e politici che rincorrono il risultato immediato di un 3% di deficit/pil in regola per il 2014 (peraltro risultato estremamente dubbio soprattutto per la stessa Unione Europea) senza rendersi conto di aprire un baratro per il resto del futuro. Ma è una tecnica comune a quanto pare visto che la miopia è un tratto tipico della politica italiana in particolar modo e di quella europea anche più in generale. L’unica a salvarsi, tra le grandi potenze, dalla tentazione della moneta unica è stata a suo tempo la Gran Bretagna, salvata incredibilmente, da una più che mai battagliera Margaret Tatcher sulla quale, per quanto se ne possa dir male (e di materiale ce ne sarebbe per riempire interi capitoli), forse convinta che la politica europea non avrebbe potuto portare avanti, almeno non con la stessa uniformità d’intenti, le stesse riforme che mal si adattavano alle varie realtà economiche. Perché alla fine il nocciolo del problema è questo: la sudditanza di una classe politica italiana miope ai trattati e ai target promessi, quelli che a suo tempo avrebbero dovuto essere raggiunti a forza di riforme del sistema, ma farlo significava spianare la strada a un impegno non sempre apprezzato dagli elettori e quindi il rischio di perdere la poltrona e tutti i privilegi ad essa annessi.
E qui il finale: industrie che scappano oppresse da tasse e burocrazia al limite del demenziale, giovani che restano vittime del sistema antimeritocratico di un’università obsoleta, baronale, inutile, arretrata sia nei metodi di insegnamento che nelle capacità dei suoi stessi docenti protagonisti in primis di un gap non solo tecnico ma anche linguistico vergognoso. Quanto rimarrebbe allora al paziente da vivere? Ottimisticamente la prognosi parla di non più di 10 anni, mentre le cure di chemio (tassazione a tutto campo) e radioterapia (protezione dei privilegi e inerzia sullo stop degli sprechi) stanno peggiorando la qualità della vita del paziente oltre che accorciandone vistosamente la durata.
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