Moltissimi anni fa, il mio amico Roberto B. ed io stavamo tornando da una cacciata ai tordi vicino Poli, e sulla via del ritorno vedemmo diversi storni che volteggiavano su una vigna in cima ad una collina. Roberto mi chiese di fermarmi perche' voleva provare a incarnierarne uno o due. Avveva iin tasca una manciata di cartucce ricaricate da me quando non capivo un ca22o di ricarica con una dose esagerata di polvere supercompressa che avevo da anni e che dopo la loro schifosissima performance all'apertura avevo lasciate nell'armadio delle armi e munizioni. Le volevo buttare via tutte, ma Roberto, sempre squattrinato, mi aveva chiesto di dargliele. Lo avvertii che facevano cose strane. A Capodanno ne avevo sparate una mezza dozzina in aria (abitavo in campagna), e quasi tutte avevano lasciato una scia di fuoco nel cielo, come razzi. Probabilmente la polvere si era coagulata e una quantita' di essa continuava a bruciare attaccata alla borra dopo aver lasciato a volata.
Roberto sali' verso la vigna (io ero stanco e poi non volevo lasciare la Cinquecento al margine della strada) e dopo una decina di minuti sentii una botta poderosa. Poi vidi uno storno mezzo scassato sorvolare la strada e proseguire per due o trecento metri prima di cadere in cima ad una collina dal lato opposto della strada. Pochi secondi dopo sentii Roberto urlare il mio nome. Pensavo che gli fosse scoppiato i fucile in amno e corsi verso di lui, che sempre urlando il mio nome con tono terrorizzato stava correndo verso di me, senza fucile, senza cartuccera, e senza giacca. Balbettava, ma finalmente riuscii a capire che cosa era successo. Poco dopo aver sparato si accorse che dalla tasca della giacca dove aveva stipato le mie cartucce usciva del fumo acre. Spaventato butto' il fucile in terra, poi si tolse la giacca e butto' in terra anche quella, e correndo si tolse anche la cartuccera e getto' in terra anche quella, temendo di scoppiare come un odierno Testadipezza suicida con un gilet al C4. Quando si fu calmato un po' lo convinsi a guidarmi verso il posto dell'accaduto. Ritrovammo la cartuccera, poi la giacca che fumava ancora di piu', e facendo un giro largo intorno ad essa recuperammo anche il fucile.
"Porca Put..na! Nel taschino della giacca ho il Ronson che mi ha regalato la mia ragazza! Che devo fare?"
Ed io: "Fa' quello chhe ti pare. Io quella giacca non la tocco. Se vuoi, trovalo tu."
"Manco per il ca22o! E se le cartucce esplodono?"
"Se esplodono mentre cerchi il Ronson spiegero' alla tua ragazza che hai sacrificato la tua vita per recuperare il suo prezioso dono."
Lasciammo la giacca che fumava sempre di piu', perche' nessuno di noi due sapeva che cosa sarebbe accaduto. Immaginavamo che sciami di pallini prima o poi sarebbero scaturiti dalla tasca in cerca di vittime in un'eruzione di fiamme e fumo e col fragore di una dozzina di cartucce esplose simultaneamente...
Accompagnai Roberto a casa sua, a Via Zenodossio, ma prima di tornare a casa mi chiese, quasi piagnucolando, di tornare a quel posto nel pomeriggio a recuperare l'accendino, perche' la sua ragazza non avrebbe mai creduto a cio' che era veramente accaduto e avrebbe creduto che Roberto avesse perduto il costoso Ronson a causa della sua incuria e distrazione. E gli avrebbe fatto una scenata e chissa' per quanto tempo gli avrebbe negato il miele del suo "barattolo."
A me non dispiaceva acconsentire. Sarebbe stata un'opportunita' di fare una gitarella con M.E., la mia dolcissima fidanzatina di allora, una ragazza raffinatissima una marchesina autentica figlia di un altissimo funzionario--chissa' che ca22o avra' mai visto in un rustico spesso sboccato come me? Poi la zona dell'accaduto si sarebbe prestata ad una bella pomiciata...
Verso le quattro di pomeriggio arrivammo sul posto. Parcheggiai, M.E. opto' di rimanere in auto per non sporrcarsi le scarpine con la vile terra (l'unica campagna che aveva mai frequentato era Villa Borghese, dove andava a vedere le corse ad ostacoli dei fratelli D'Inzeo), salii verso la fatidica vigna. Trovai la giacca, ormai una collinetta di cenere. Le uniche cose rimaste riconoscibili nel mucchio di cenere era la chiusura lampo di metallo, i fondelli affumicati dei bossoli--tutti insieme, segno che non c'era stata alcuna esplosione--ed il famoso accendino, ancora tiepido. Ma era completamente annerito e s'era gonfiato a dismisura quando il calore aveva fatto espandere il gas dentro di esso prima che lo rilasciasse ad alimentare il falo' che era stata una giacca quella mattina.
Tornati a Roma, dopo aver accompagnato la Marchesina M.E. alla sua magione, passai per Via Zenodossio a restituire l'accendino a Roberto. Lo nascosi in tasca,e quando Roberto apri' la porta gli dissi: "Ammazza che cu10 che c'hai, Robe'! Nun solo nun sei scoppiato co' le cartatucce che ciavevi 'n tasca, ma t'ho puro ritrovato l'accendino!" Fece un gran sorriso di sollievo, sorriso che svani' immediatamente quando gli misi nella mano protesa il cadavere di cio' che era stato un magnifico e costoso accendino. Ma almeno adesso la sua ragazza avrebbe potuto credere alla sua storia. Non che non si sarebbe incazzata lo stesso, ma probabilmente molto di meno...
Tutta questa novella per illustrare il fatto che le cartucce da liscio non esplodono se non nella maniera per cui sono state create--racchiuse nella canna del fucile. E anzi non si puo' neanche dire che scoppiano, ma soltanto che contengono la combustione progressiva della polvere che a sua volta spinge i pallini fuori dalla canna. Essendo mezzo matto anch'io, ho fatto esperimenti che comprovano cio' che ho scritto: ho infilato una cartuccia del 12 in un'asse di legno, ed ho sparato una palla di .22 LR all'innesco. Senza essere compressa in una camera di scoppio, quando l'innesco si e' acceso non e' accaduto molto: i pallini soo usciti fiacchi fiacchi, e il bossolo s'e' lacerato--ma niente esplosione. I bossoli metallici di rigato pero' un po' di compressione interna ai gas di combustione la provvede, ma poca. Una volta, pescando al Tevere, notai una pila di munizioni militari ammucchiate sulla banchina. Chissa' da dove provenivano. Erano per lo piu' cartucce dell' M1 Garand, ancora nelle clips da 8 cartucce. Un paio di ragazzotti gettarono del gasolio o della benzina sul mucchio di cariche, diedero fuoco al tutto e scapparono a rifugiarsi dietro il muretto delle scale che conducevano dal Lungotevere alla banchina del Tevere. Io, per non sapere ne' leggere ne' scrivere, li seguii a ruota. Le cariche cominciarono a brillare, ma niente di eccezionale. Il rumore della maggior parte era come quei fuochi d'arrtificio che a Napule se chiaman' "Fitt-Fitt." Ci devono essere state della palle traccianti, nel mucchio, perche' diverse partirono come razzetti per andare a sbattere contro il muretto, dal quale rimbalzarono e continuarono a bruciare sulla banchina, mentre altre finivano nel Tevere, dove si spegnevano immediatamente. Forse qualcuna di queste palle avrebbe potuto fare del male a qualcuno non troppo lontano, ma di certo non sarebbero mai partite come dalla volata dai una carabina.
Allora, il botto del topic? BOH! credo che il botto sara' stato soltanto quello dell'innesco, che avra' sbattuto contro qualcosa di solido nella bisaccia. Che cosa, non so. Ma so che non c'e' stato nessun pericolo, perche' la cartuccia interessata si sara' aperta e avra' lasciato fuoriuscire i pallini senza neanche abbastanza forza da bucare la sacca in cui erano contenute le cartucce. Magari la polvere, bruciando ancora mentre fuoriusciva dal bossolo potrebbe aver dato fuoco ala borsa e alle altre cartucce, ma il risultato sarebbe sato come quello di cu fu vittima Roberto: paura e perdita della bisaccia.
Non cosi' con la polvere nera di un tempo, che e' un vero esplosivo e che anche dentro un bossolo di cartone riceverebbe abbastanza compressione da fare un forte botto, anche pericoloso. Mio padre assistette ad una tragedia, una sera di Capodanno. Stava tornando a casa quando un venditore abusivo di petardi (quelli vietati che si sbattono contro un muro o contro il marciapiede per farli esplodere), inseguito da un vigile cadde sulla borsa che teneva contro il petto. I petardi esplosero simultaneamente con la forza di una bomba a mano. Il poveraccio fu sollevato un metro da terra dall'esplosione e ricadde al suolo sulla schiena. Il suo ventre era squarciato ed aperto, con le viscere esposte e fumanti.
Per la croonaca, quando io vado a caccia di tortore le cartucce le porto in parte sfuse nella tasca dei pantaloni o della giacca, e per la maggior parte, sempre sfuse, in una bisaccia a tracolla. A caccia di cervi, le due o tre cartucce di scorta che porto oltre a quelle nel serbatoio o caricatore della carabina, pure le porto sfuse in tasca. A caccia di tacchini col liscio (dove solo un capo al giorno e' permesso), ne porto solo quattro nel serbatoio dell'automatico, e poi dopo essermi appostato ne faccio saltare una in canna dal serbatoio. E non m'e' mai accaduto nulla.
A proposito, certe torce elettriche moderne producono un intenso calore. Se si accendono accidentalmente mentre sono in uno zaino o valigia, o in tasca, possono riscaldarsi al punto di incendiare i combustibili intorno ad esse. Un mio amico eugubino, tornando all'auto la trovo' piena di fumo. La torcia elettrica nel suo zainetto s'era accesa (forse perche' qualcosa aveva premuto contro l'interruttore), ed il contenuto dello zainetto aveva preso fuoco. Meno male che lui torno' in tempo per gettare lo zainetto fuori dall'auto prima che si incendiasse anche il sedile e/o l'intera auto.