All’inizio di Febbraio la stagione propizia alita sulle nevi il tiepido Ostro, scuote con refoli vigorosi gli alberi spogli e addormentati, li sveglia dal torpore dell’Inverno. Sui monti le acque di cristallo dei torrenti acquistano vita e gioiose di spuma si precipitano a gonfiare i placidi ed imponenti fiumi del piano.
Nel cielo risplende una luce nuova che contagia le creature dell’aria.
Inizia la stagione del ripasso.

Un mattino gli uccelli delle grandi pianure si svegliano con il corpo stranamente pervaso da un calore nuovo: traggono il capino da sotto l’ala, stirano le ali arcuate, ne scrollano la brina della notte appena trascorsa, distendono le lunghe zampe, compiono un breve volo all’intorno del ricovero notturno quasi a saggiare la forza poderosa delle proprie ali, mirabili strumenti atti alla grande avventura del ritorno alle terre natie.

Nessuno, nulla, può impedire questo impulso meraviglioso ed ancor pieno di mistero, che dalla notte dei tempi spinge gli uccelli ai luoghi di provenienza: se chiudete in gabbia un migratore o si fracasserà il corpo nell’inutile tentativo di sfondare le sbarre o si lascerà morire d’inedia sul fondo. I pochi che sopravviveranno recheranno nello sguardo, per tutta la durata della loro breve vita, la tristezza di quella rinuncia da noi crudelmente imposta.

Io, dopo la breve sosta di gennaio che spesso sosta non era, vista la copiosa presenza di anatidi nella mia zona, mi preparavo con ansia febbrile alla caccia dei trampolieri in risalita.
Prime a comparire erano la Pavoncelle, a stormi enormi e talmente numerosi che ricordo giornate intere dall’alba al tramonto con uno stormo appena passato, uno sopra il capo ed uno che sopraggiungeva in lontananza.
Era tempo di Carnevale e noi, cacciatori per la vita, si approfittava di quelle feste per avere campo libero, quando gli altri, stanchi delle veglie e veglioni, rinunciavano alle levataccie mattutine, per poltrire nei loro letti.

Anche allora a questi giorni di passo pieno se ne alternavano altri di vuoto assoluto ma la nostra presenza nei capanni non ammetteva soste od assenze: bisognava essere lì tutti i giorni a pestare fango e scrutare il cielo.

Caratteristica specifica del ripasso è infatti la variabilità della consistenza migratoria: ad ore di foltiera di voli seguono ore di vuoto assoluto.
Ricordo che spesso la breve assenza di mezz’ora, sul mezzodì, per consumare nelle nostre case un veloce pasto caldo, premurosamente preparato dalle nostre care mamme, poteva voler dire il mordersi le mani negli anni a seguire, per l’aver perduto l’unica foltata di uccelli della giornata.

Gli uccelli durante la risalita alle terre dei nidi “dal disio chiamati” sono nervosi, cedono al capriccio, mutano più volte, durante la giornata, il comportamento nel curare al fischio ed agli zimbelli.

A falangi solcavano i cieli della mia giovinezza lontana, gli stormi si succedevano agli stormi, e noi lì, incuranti delle mutazioni atmosferiche, inzuppati dagli scrosci improvvisi, si attendeva che facesse capolino il sole ad asciugarci. Ed al ritorno, la sera, i mugugni dei genitori giustamente preoccupati della nostra salute. Ma a vent’anni, con quella passione smoderata nel cuore, chi poteva fermarci?

Così fino alla metà di Aprile, lungo i fiumi o sulla riva del mare, ogni giornata rappresentava una indimenticabile serie di emozioni.

Ecco i Pivieri che si annunciavano da lungi con il loro liquido fischio, le numerose specie degli uccelli di ripa, Combattenti, Totani, Pantane, Pittime Chiurli, ognuno con la sua inconfondibile voce ed ogni volta era un sobbalzo del cuore in tumulto, una speranza di successo che spesso si mutava in delusione presto dimenticata da un nuovo canto lontano.

Così dall’alba al tramonto, ritmati dal sommesso canto del fiume, fluivano dolci e misteriosi i giorni più belli della mia vita.
R.P.

Autore del racconto
Raffaele Piccioli
[email protected]

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RACCONTI DI CACCIA, STORIE, POESIE

Racconti di Caccia e Arte

 Ultimo racconto pubblicato: IL RIPASSO DEGLI UCCELLI DELLE PIANURE

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INDICE

  1. 30 OTTOBRE 2011
  2. 1960: L’ ULTIMA GRANDE ANNATA A FASANO
  3. 17 FEBBRAIO 1985
  4. AD ACQUATICI – IN PALUDE
  5. A  NOI
  6. AGGREDITI DALLE TORTORE
  7. ALBA IN PALUDE
  8. ALLA BESTIA NERA
  9. ALLA IACCA
  10. ALLA DICIANNOVE
  11. ALLE COLONNE
  12. ALL’INSEGUIMENTO
  13. AL MIO CANE RAMBO
  14. ARRIVANO ALLE 9
  15. A TORDI IN ALTA COLLINA
  16. BRINA E ZETA
  17. BUTTARONO GIU’ I CARRELLI
  18. CACCIA ALL’ESTERO
  19. CACCIATORE DA BAMBINO
  20. CASTEL DEL MONTE
  21. CAMPIONE DI CORSA SULLE ZOLLE
  22. CAPISCO QUANDO SI DICE: E’ UNA SIBERIA
  23. CHE INCOSCIENTE
  24. CIAO DOTTO’
  25. DA SOLO AL FIUME
  26. DA SOLO IN PALUDE
  27. DELUSIONI  E SODDISFAZIONI IN TERRA BULGARA
  28. DIAVOLO D’ UN AVIATORE!
  29. DON CARLO MAZA GAI
  30. DUE NOTE SI DONDOLANO
  31. EMOZIONI RITROVATE
  32. E’ VENNE LILLO IL VENDICATORE
  33. E’ IL SIO PERIODO
  34. FARENEITH 32
  35. FINALMENTE UNA GIORNATA DA RICORDARE
  36. FINISCE LI!
  37. GECO EXPRESS
  38. GIOCO DI EMOZIONI
  39. GIOIA TAURO
  40. GIOBBY
  41. GIUSEPPE..
  42. GOSTINO DI MANICOMIO
  43. HO IMPARATO A SOGNARE
  44. IL BARCHINO
  45. IL  CANE FLOCK
  46. IL CANE NE SA’ PIU’ DEL CACCIATORE
  47. I CANTORI DI MACCHIA FITTA
  48. IL DISCORSO IMPOSSIBILE
  49. IL FASCINO DELLA PRIMA VOLTA
  50. IMMAGINO DI ESSERE UN CANE DI NOME FULL
  51. IL BEGHELLI 
  52. IN MEMORIA DEL COMMENDATORE E ALLA FACCIA DEL DIRETTORE
  53. I NEMICI DI UN POVERO CACCIATORE
  54. IO E BOBBY ERAVAMO GRANDI AMICI
  55. I PANINI ALLA BENZINA
  56. IL PARENTE
  57. I RICORDI DI LALLO 
  58. IL RITO DELLA LEPRE
  59. IL RIPASSO DEGLI UCCELLI DELLE PIANURE
  60. IL CAPPELLO A GALLA
  61. IL NOSTRO SABATO
  62. I TENAI IND’ A PALT
  63. I TEMPI BELLI
  64. ITTICA VAL D’AGRI
  65. IL TRAPPETO
  66. LA FORTUNA DEL PRINCIPIANTE
  67. LA CACCIA CHE PASSIONE!
  68. LA CACCIA…DOMANI
  69. L’ ALLUVIONE DEL 66
  70. LA GUERRA
  71. LA MARCIGLIANA
  72. LA MIA CACCIA
  73. LA MIA PASSIONE PER LE PAVONCELLE
  74. LA MIA PRIMA BECCACCIA
  75. LA MIGLIORE MEDICINA
  76. L’ AMPUTATO COLOMBACCIO
  77. LA  PADELLA
  78. LA PASSIONE PIU’ BELLA DEL MONDO
  79. LA PREAPERTURA CHE NON TI ASPETTI PIU’
  80. LA PRIMA QUAGLIA
  81. LA PRIMA VOLTA A CACCIA DI STRANI UCCELLI
  82. LA REGINA VENUTA DALLA PIOGGIA
  83. LA SCOPERTA DELLA CACCIA
  84. LA SIPE
  85. LA STRADA E’ SCONNESSA
  86. LA SAGGEZZA POPOLARE
  87. L’ ASTUZIA DELLA ZEBRA
  88. LA TORMENTA
  89. LA VETTURA
  90. LE ALZAVOLE DI PAKITA
  91. LE VACANZE
  92. LO STIVALETTO
  93. L’ ULTIMO RIENTRO
  94. META’ SETTEMBRE
  95. MI CHIAMO JACK
  96. MOCCOLI ALL’ ALBA
  97. NEBBIA PIOGGIA VENTO E TANTA PAURA IN ROMANIA
  98. NONNO GOFFREDO
  99. NON E’ UN RACCONTO DI CACCIA
  100. NON CREDO AI MIEI OCCHI
  101. NON MI REGGO IN PIEDI
  102. NON POSSO RINUNCIARE
  103. GENTE STRANA SONO I CACCIATORI
  104. LA PRIMA VOLTA IN PALUDE
  105. OMAGGIO ALLA REGINA
  106. PAVONCELLE NELLA NEBBIA
  107. PASSIONE TORDO
  108. PECCANACCHIE!
  109. PER ME LO SENTONO
  110. PICCOLA MIGRATORIA TUTTA DA SCOPRIRE
  111. PREAPERTURA ALLA TORTORA
  112. PRIMA DI NATALE
  113. QUANTO E’ IL BENE CHE UN CACCIATORE PUO’ VOLERE AL SUO CANE?
  114. RICORDO DI PAPA’
  115. SUA MAESTA’ RINGRAZIA
  116. SICILIA CHE EMOZIONE
  117. SCHEGGE ALATE
  118. SOTTO AL PIEDE ..UNA BECCACCIA!
  119. SPARA ALLA TALPA E FERISCE LA MOGLIE
  120. STORIA DI FLOCK
  121. STORIA DI UNA PASSIONE
  122. STELLA 1991/03 GLI ANNI PIU’ BELLI
  123. SUL DELTA DEL DANUBIO
  124. TERRA
  125. TIRAVA VENTO
  126. TIRA VENTO DI TRAMONTANA
  127. UN BAGNO FUORI STAGIONE
  128. UN CARNIERE BASTARDO
  129. UN CARNIERE ECCEZZIONALE
  130. UN INCONTRO FORTUNATO
  131. ULTIMA APERTURA ALLA DAUNIA RISI
  132. ULCJNI
  133. UNA GIORNATA MEMORABILE
  134. UNA GIORNATA PER ME SPECIALE
  135. UN GIORNO IN PRETURA
  136. UN RACCONTO DI GIORGIO CREATINI
  137. UN RIENTRO FORTUNATO
  138. VECCHIE CARTUCCE IN CARTONE
  139. VINI E SELVAGGINA
  140. VETUCC A BOTT
  141. WALSDROTE

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Il giorno esatto non me lo ricordo ormai sono passati 4 anni, ma ricordo vivamente tutto di quel giorno che decisi di addentrarmi da solo nella barena Chiogiotta in una fredda giornata di dicembre.
La sera prima il mio socio mi aveva dato buca e dovetti soffermarmi sul dilemma di andare o non andare da solo a caccia.
Da solo, senza barca, carico come un mulo da soma mi sarei dovuto addentrare nella parte di barena calpestabile per raggiungere la botte.
L’istinto prese il sopravvento la voglia di cacciare era troppa e decisi di andarci lo stesso, ogni volta che riuscivo a farmi accompagnare in laguna con la barca, anche se non prendevo nulla perché ormai distrutta dai bracconieri che di notte cacciavano con i richiami elettronici a tutto spiano, sognavo di epiche fucilate e di epici carnieri da poter raccontare come fossero leggende nordiche.
Preparai tutta l’attrezzatura, stampi, richiami a fiato che ormai le mie labbra e polmoni avevano consumato in quanto persino durante gli spostamenti di lavoro in auto mi esercitavo per essere perfetto nel momento fatidico di dover richiamare quei palmipedi che tanto bramavo, fucile, cartucce, vestiario, stivali alti, torcia per la testa e chi più ne ha più ne metta.
Cena veloce e di corsa a letto per riposare mente e corpo in attesa della sveglia che mi avrebbe allertato dalla mia notte insonne che l’ora di andare a caccia era giunta.
Alle 4:30 mi alzai, caffè e colazione, lavata veloce, vestizione, fucile e zaino e giù in auto, ultima check-list e mi diressi dove sorge il sole.
Appena arrivato scesi dall’auto, mi misi in cima all’argine che separava la terra ferma dalla mia meta e inspirai e pieni polmoni l’aria fredda salmastra e osservai il cielo stellato con la luna piena, limpido e cristallino, poi l’udito ebbe il sopravvento su quella celestiale visione e incominciai a sentire gli immancabili richiami elettronici riecheggiare da tutte le direzioni con le immancabili fucilate occasionali.
Già sapevo il finale di quella giornata, ma in cuor mio ancora speravo quindi mi caricai tutto in spalla e incominciai a inoltrarmi nella barena verso la botte.
Arrivato calai gli stampi: 4 Germani, 6 Alzavole, 2 Fischioni e un mojo di Germano mi diressi alla botte e mi accorsi che nonostante i miei continui svuotamenti si era riempita di nuovo di acqua fino alle ginocchia.
Mi sistemai alla meglio anche se avevo le gambe in ammollo e il cruscotto dell’auto mi segnava 0° Celsius.

A quel punto ero io e basta, in attesa dell’arrivo di Apollo che avrebbe dato il via alla giornata di caccia, c’era solo la luna e le stelle a farmi compagnia.
Dopo un po’ di tempo che ero fermo il freddo cominciò a farsi sentire, i denti iniziarono a battere e ogni cellula del mio corpo mi stava urlando di tornare a casa perché tanto non avrei visto e preso nulla.
Ma io volevo rimanere lì, non volevo darla vinta a coloro che ogni notte rovinavano il posto a tutti gli altri che volevano assaporare la poesia della caccia in barena.
Ad un certo punto posai lo sguardo al cielo e vidi una stella cadente, la prima da 10 anni, e lì mi resi conto che nella frenesia della vita avevo smesso a osservare ciò che mi circondava, avevo perso la visione dell’insieme, non era l’obiettivo il fine, ma il viaggio e capì che se avessi voluto cacciare anatre non avrei dovuto fossilizzarmi in quel modo, ma andare a cercarle dove avrei potuto prenderle “nel modo giusto”.
Rimasi per ammirare quell’alba che sempre mi ha fatto scordare per quei 30 minuti la quotidianità che mi attendeva ogni giorno, i colpi dalle valli private iniziarono a riecheggiare come le più cruente battaglie della Prima guerra mondiale, rimasi in attesa fino alle 10:00 senza vedere nulla per poi tornare all’auto.
Arrivato sopra l’argine mi voltai e osservai per l’ultima volta la barena dandole non un addio, ma un arrivederci fino a quando coloro che stavano rovinando quell’affascinante caccia si sarebbero resi conto di ciò che stavano perdendo.
Oggi, le mie anatre le ho prese e ognuna di esse, per me, vale molto di più di qualunque numero fatto in quelle barene dove la poesia si è spenta nell’uso di quelle maledette macchinette.

 

Autore del racconto
Francesco (Pdor)

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L’aveva chiamata Terra perche’ era bruna, scura, come la ricca terra delle sue colline. Sotto un ciuffo di peli si indovinavano gli occhi grandi, liquidi e profondi come le polle d’acqua limpida che lo dissetavano nelle sue cacciate di tarda estate, e la coda a spazzola alla fine del corpo magro ed irsuto si agitava continuamente, come se avesse una vita sua.

I cacciatori di citta’ che venivano a San Salvatore al Monte all’apertura con cani di razza pura con nomi stranieri ridevano quando la vedevano trotterellare accanto ad Antonio con la lingua sbrendolante da un lato della bocca come uno straccio.

Antonio, spazzino, l’aveva trovata una sera d’inverno mentre la neve cadeva fitta. Stava ritornando a casa spingendo davanti a s’ il triciclo delle immondizie e vide sul marciapiede uno scatolone di cartone. Credendo che fosse vuoto lo raccolse per gettarlo nel bidone, ma il peso lo sorprese. Dentro c’erano diversi corpicini bruni, rigidi ed immobili. Mentre i cuccioli morti rotolavano dallo scatolone nel bidone come tanti pezzi di legno, Antonio avverti’ un guaito sottile, stentato; infilo’ la mano nel cartone prima che l’ultimo cucciolo ne rotolasse giu’ e le sue dita incontrarono qualcosa di piu’ soffice dei piccoli cadaveri stecchiti, qualcosa che ancora emanava un fievole tepore di vita. Antonio sbottono’ il vecchio cappotto e si infilo’ il cucciolo in grembo, cercando di proteggerlo col suo calore…

A memoria di cacciatore non c’era mai stata una cagna brava come Terra a San Salvatore al Monte. Lo spazzino di cani ne aveva avuti tanti e sapeva come addestrarli sull’orecchiona. ma questa volta non fatico’ per niente: Terra era “nata imparata,” come affermava Antonio con orgoglio. E infatti ben poche lepri potevano sfuggirle. Non si dava mai per vinta, scagnando con un abbaio prolungato e musicale che echeggiava fra valli, fossi e colline mentre incalzava la lepre, prevedendone tutte le mosse in un gioco di vita e di morte, spingendola inesorabilmente verso la schioppettata secca ed il ruzzolone finale in un nuvolo di polvere.

Era settembre e l’uva maturava turgida sulle pendici delle colline accarezzate dal sole. Le notti stavano diventando sempre piu’ fresche, e al mattino le gocce di guazza scintillavano come brillanti appesi ai fili d’erba. La caccia era aperta da due settimane, ma Antonio e Terra erano rimasti a casa, aspettando che i cacciatori di citta’ si sbizzarrissero a sparare a tutto fuorche’ alle lepri. Di queste ne prendevano poche o nessuna, perche’ i loro cani, grassi e pigri come i padroni, non riuscivano quasi mai a portarle a tiro dei loro fucili. Magari ogni tanto qualche “scattone,” un leprotto giovane ed inesperto, grande si’ e no come una bottiglia di vino da un litro, ci rimetteva la pelle. E allora dai con i brindisi all’osteria al ritorno dalla caccia e magari anche la foto ricordo col misero leprotto, mentre Antonio e gli altri cacciatori del paese ridevano sotto i baffi. No, di andare a caccia all’apertura non ne valeva la pena. Troppa confusione, troppi cani stupidi piu’ interessati a rincorrersi l’un l’altro che all’usta della lepre, troppe schioppettate tirate a vanvera, troppi imbecilli garellosi e maleducati…

Ma dopo che quelli di citta’ erano scomparsi, i cacciatori di San Salvatore al Monte cominciavano a godersi la caccia vera, il coro delle canizze e le schioppettate sporadiche ma quasi sempre a segno, che’ i Sansalvatoresi le cariche non le sprecavano.
Antonio e Terra uscirono presto quella Domenica mattina. Attraversarono la strada maestra e scesero prima dell’alba a passi lesti lungo il Vallone, il letto di un torrente secco circondato da campi e da vigne. Mentre gli altri lepraioli cacciavano a squadre, con due, tre, o anche quattro cani, Antonio e Terra cacciavano da soli: lui prevedeva dove sarebbe passata la lepre, e Terra sapeva dove Antonio l’avrebbe aspettata. I due erano come una mente ed un’anima sola e non avevano bisogno di nessun altro, e ad Antonio piaceva essere il piu’ lontano possibile da altri cacciatori, non perche’ fosse scontroso o egoista, anzi. Ma per lui il piacere della caccia era rappresentato dalla pace, la comunione con la natura, il silenzio rotto soltanto dal canto degli uccelli, dallo scampanio di una mucca al pascolo, dalla brezza fra le frasche e, ogni tanto, se Terra avesse trovato l’usta dell’orecchiona, dal fragore della schioppettata..

Il sole s’era levato da un’ora e c’era ancora parecchia guazza. Antonio si sedette su un masso ed accese una sigaretta, assaporandone con piacere il fumo forte e denso che, a stomaco vuoto, gli fece girare la testa.Terra, seduta ai suoi piedi, fremeva. Quando le cavallette cominciarono a sviolinare dopo essersi asciugate le ali al sole del mattino, Antonio si alzo’, tolse di tasca due delle quattro cartucce che portava, carico’ la doppietta, accarezzo’ la testa di Terra e le disse, “Cerca, bella!”
Terra parti’ veloce, serpeggiando fra erba, cespugli e filari di vigne in cerca della lepre. Neanche cinque minuti… e Antonio senti’ il caratteristico scagno cadenzato, sostenuto, musicale. “Scommetto che passa dietro la vigna di Peppe,” disse a se’ stesso dopo aver ascoltato per qualche secondo. Si affretto’ su per la china del Vallone e corse veloce fra i filari delle viti, ansimando. Quando raggiunse il varco dove avrebbe aspettato la lepre, tutto d’un tratto l’abbaio di Terra, il battito forte del suo cuore, la volta azzurra del cielo, il peso del suo corpo, ed i violini delle cavallette si fusero in un tutto indistinto, mentre una lama arroventata gli trafiggeva il petto. Antonio si schianto’ come un albero colpito dal fulmine sulla terra soffice.. Peppe li trovo’ il giorno dopo. Terra era accucciata accanto ad Antonio leccandoglli disperatamente il volto ed i capelli. Peppe dovette gettarle addosso un saccone di tela e legarcela dentro per portarla via, che’ quando aveva provato ad allontanarla dal cadavere per poco non lo sbranava..

Mario, il cugino di Antonio, anche lui cacciatore, si prese Terra dopo il funerale. Provo’ a portarla a caccia tre volte, ma ogni volta gliela riporto’ Peppe, che la ritrovava sempre dietro la sua vigna a guaire, accucciata dov’era morto Antonio. L’ultima volta che Terra gli scappo’ via in cacciata, Mario ando’ lui stesso alla vigna di Peppe, e quando la trovo’ le mise la canna del fucile dietro la testa e tiro’ il grilletto.

@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@

Anche questo racconto apparve nel libro Racconti dall’Osteria come “La Migliore Medicina” e “I Tempi Belli,” che finalmente sono approdati nella lista di racconti del blog. Insieme ad un altro racconto del mio amico Luca, detto CinghialOne, “Terra “vinse un concorso alla buona “istigato” dalla grandissima Lina F., Boss del forum al quale appartenevamo tutti, l’Osteria del Cacciatore. Il mio racconto e quello di Luca vinsero ex aequo e furono, come premio, pubblicati su Sentieri di Caccia, rivista della Caffeditrice

 

Giovanni Tallino

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