Cosa succede quando l’Amministrazione di p.s. si trova a valutare l’affidabilità di una persona sull’uso delle armi? Come può pervenire, ad esempio, ad un provvedimento di sospensione o di revoca della licenza magari già rilasciata? Tutto questo è possibile nel nostro Ordinamento con l’uso della discrezionalità amministrativa: ma, come più volte è emerso dall’esame di numerose sentenze, si tratta di un munus non illiminato, che deve essere esercitato con grande attenzione proprio per evitare di trasformare un sospetto in un’accusa aperta ed infondata, idonea a rinforzare i dubbi e le perplessità sotto il profilo della tranquilla convivenza della collettività.
Questo ampio potere dell’amministrazione serve a perseguire l’interesse pubblico volto alla prevenzione dei pericoli correlati all’uso delle armi.
Nessuno vuole mettere in dubbio un principio così chiaro: il dato che però lascia perplessi è quello relativo all’abuso di tale potere discrezionale; un potere consistente, che spesso rischia di valicare la soglia dell’arbitrio.
Si tratta di situazioni purtroppo non rare nel nostro Paese, che molte volte spingono chi ha interesse a rivolgersi alla Magistratura per domandare giustizia.
Per esempio: attribuire un fatto penalmente rilevante, in conseguenza di una denuncia per un ipotetico reato di minaccia grave, non costituisce e non può costituire, in assenza di dettagliati indizi e comunque prima che sia intervenuta la sentenza di condanna, elemento chiave per ritenere insussistente il requisito della buona condotta (specie con riferimento ad esempio ad una guardia giurata, visto che la prova della possibilità di abuso legittima il potere di sospensione del titolo…).
l’affidabilità
Più di qualche volta i tribunali amministrativi si occupano di casi di questo tipo; ad esempio emblematica è una pronuncia del Tar Trieste [1] in materia di (ampia) discrezionalità nel valutare l’affidabilità del soggetto nel fare buon uso delle armi, rilascio o revoca del porto d’armi.
Una vicenda dove si ricorre contro due provvedimenti emessi dal Prefetto, il primo che ha disposto il divieto per il ricorrente di detenere armi e munizioni e il secondo che ha disposto la sospensione del porto d’armi per difesa personale. L’interessato fa presente di svolgere attività lavorativa di guardia giurata; a seguito di una denuncia per minacce gravi la prefettura gli comunica il procedimento per vietargli la detenzione di armi e munizioni. Nonostante le osservazioni presentate, viene emesso il provvedimento, gli viene ritirata l’arma con le relative munizioni e infine gli viene sospeso il porto d’armi e la relativa licenza. Per finire, viene sospeso dall’attività lavorativa.
La decisione è favorevole al titolare
Un’implicazione penale diretta o indiretta (o peggio sospetta) di per se non può essere interpretata come una variabile dirimente; la mera attribuzione di un fatto penalmente rilevante, in conseguenza di una denuncia dell’interessato per un presunto reato di minaccia grave, non costituisce elemento determinante e sufficiente per ritenere insussistente il requisito della buona condotta.
che cos’è la buona condotta
Pur essendo la buona condotta un concetto giuridico a contenuto indeterminato, alla cui individuazione contribuisce lo stesso potere ricostruttivo dell’interprete, ciò che occorre è una motivazione sostenibile (che nel caso esaminato dal Tar non esiste).
Il provvedimento di sospensione della licenza di guardia giurata, ai sensi dell’art. 10 T.U.L.P.S., è finalizzato a prevenire abusi dell’autorizzazione di polizia e non richiede il venir meno del requisito della buona condotta, così come nell’ipotesi di revoca del titolo, ex art. 11 del medesimo testo unico. La sospensione ha durata interinale ed un evidente scopo cautelare, nell’attesa di approfondimento e certezza sui fatti, onde prevenire la commissione di abusi del titolo. Nel caso in esame, il provvedimento impugnato si fonda sulla sola circostanza che egli è stato deferito per il reato di minacce gravi; da qui la conseguenza che ne trae il Prefetto, ossia che egli abbia tenuto un comportamento in contrasto con gli obblighi connessi alle funzioni esercitate, che avrebbe fatto venir meno i requisiti di cui all’art. 11 TULPS.
la scarna motivazione
In definitiva: i Magistrati correttamente pensano che la prova della “possibilità di abuso” che legittima il potere di sospensione del titolo, non può dirsi fornita con il generale riferimento ad una denuncia.
[1] Tribunale Amministrativo Regionale Friuli Venezia Giulia – Trieste, Sezione 1, sentenza 26 giugno 2015, n. 317.
Fonte:pandolfistudiolegale.it
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