Alla fine degli anni sessanta del secolo scorso (sembra sia passato, appunto, un secolo) avevo dieci anni. Allora le scuole iniziavano il primo ottobre e in settembre, per consuetudine i miei genitori mi portavano una settimana ospite di mio nonno Goffredo, a Pontedera. Mio padre preferiva cacciare col cane ma nonno andava al “capanno” con gli uccellini da richiamo. Questo significava che, al riparo da occhi indiscreti, potevo sparare anch’io. Era la settimana più bella dell’anno. La tipologia dei ricordi, almeno i miei, segue una precisa gerarchia. Prima ci sono gli odori, poi le parole e i rumori, e infine le immagini. Mi ricordo innanzitutto l’odore della campagna pisana la mattina presto, Pontedera, Fucecchio, Calcinaia. Odore d’erba bagnata dalla rugiada, di terra, di guano degli uccellini, l’odore inconfondibile di olio, di polvere, di cuoio dei fucili e delle cartucce. Mi ricordo poi la voce di nonno che mi veniva a svegliare prima dell’alba, ma io ero già sveglio anzi, non avevo quasi dormito nell’attesa. Il rumore degli uccellini che svolazzavano nelle gabbiette verdi, tordi, merli, cesene, fringuelli, passeri, pispole e pispoloni, si poteva tirare a quasi tutto… Si caricava la “millecento” familiare e via! E mi ricordo il primo albeggiare, gli alberi neri sullo sfondo del cielo blu scuro, il capanno sapientemente già preparato giorni prima, in un fosso vicino a un “seccaione”. Le gabbie legate tra le viti con tralci di salice. La doppiettina del 20 di nonno e, cuore mio stai calmo, il tronchetto Beretta del 24 che teneva apposta per me, con le sue cartuccine caricate a casa da lui stesso con una formidabile batteria di bilancine, misurini, cartoncini colorati, polvere SIPE…: " 'un le toccà… eh? 'un me le rompe…" E iniziava la caccia. Il bello era quando si posavano due uccelli contemporaneamente: “attento, spariamo insieme ar tre, uno, due…”. Il bello era anche (visto da oggi) quando, per bramosia, riuscivo a “padellare” a fermo: “o brodo… mira diritto!” Sento ancora la voce burbera di nonno e, subito dopo, una carezza sulla testa a consolare la mia umiliazione. E mi ricordo infine gli spiedini, deliziosi, che nonno preparava: ”un pezzo di sarciccia e un’uliva in culo…”, ma gli uccellini li doveva pelare nonna. Qualcuno ha scritto che la caccia non è uno sport ma una passione, e non c’è verità più vera. Nonno è ormai morto da tanto tempo ma la passione per la caccia che ha saputo istillarmi vive in me ancora oggi, e vive in me anche lui. Vivi in me anche tu, caro nonno Goffredo.

Vittorio Ghelli.

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