Storia delle leggi sulla caccia

Storia delle leggi sulla caccia

Posto un bellissimo trattato:

Dall' unità all' Inchiesta Ornitologica Italiana
Storia dei primi tentativi di legge unitaria sulla caccia -
di Matteo Liberti
“In Italia esistono, è vero, prescrizioni legislative, le quali limitano le epoche della caccia, [...], però per difetti intrinseci, e direi dell’organismo delle leggi medesime, [...], danno poco o niun frutto." (Carlo Ohlsen)

La questione della protezione degli uccelli utili in Italia, alla fine del secolo XIX, era fortemente condizionata dall’assenza di una legge unitaria.

Già sul finire degli anni sessanta in molte decine di Comuni avevano reclamato per ottenere provvedimenti al riguardo, senza però ottenere risultato alcuno; ciò avveniva soprattutto a causa della diversità delle opinioni che erano coinvolte, diversità che affossava puntualmente ogni proposta. Le disposizioni legislative che regolavano la caccia erano ancora quelle vigenti negli antichi Stati Italiani: c’erano leggi Siciliane, leggi Napoletane, Pontificie, Toscane, Lombarde, Venete, Marchigiane e altre a decine; una molteplicità di norme differenti portatrici di confusione e contraddizioni. “Sembra impossibile, ma è così! In Italia ogni regione possiede il codice di caccia che aveva sotto gli antichi regimi. Dall’unificazione del Regno sino ad oggi non si è ancor riusciti, malgrado i molteplici progetti presentati, ad avere una legge unica.”

Il panorama generale, quando il secolo stava per finire, era quindi caratterizzato dagli interessi distinti delle singole province, dalla mancanza totale di uniformità nelle disposizioni e nei regolamenti e, in ultimo, da una probabilmente erronea e superficiale considerazione generale sulle reali necessità di una nuova legge per la caccia.

A ciò si tentò di riparare con un’infinità di progetti e proposte che furono presentati al Parlamento con cadenze quasi annuali e con esiti spesso negativi.

Vediamoli nel dettaglio.

“Dirò che il primo Progetto di Legge sulla Caccia venne avanzato il 18 novembre 1862 da Giovacchino Pepoli, allora Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio davanti al Senato del Regno, ove non venne però discusso; non erano passati nemmeno due anni che il Deputato Sanguinetti l’11 giugno 1864 presentava alla Camera un suo Progetto di Legge […].”

Tale progetto disegnava una radicale riforma, esso proponeva una unificazione delle molteplici leggi e delle infinite ordinanze che erano state emanate dai governi degli antichi Stati italiani, ma non per questo ebbe un destino fortunato. Esattamente come il precedente, non fu neanche discusso. Così, nel maggio del 1867, fu riprodotto dallo stesso deputato per essere poi proposto, ancora una volta dal ministro Pepoli.

Esso aveva il proprio aspetto più rilevante nell’art.7, col quale ci si preoccupava di tutelare i nidi e le uova in particolare: “Durante il periodo di caccia vietata è proibito di prendere, distruggere, vendere o comperare le uova degli uccelli selvaggi, gli uccelli di nido ed i piccoli dei quadrupedi selvaggi non dannosi all’uomo.”

Dopo esser stato deferito all’esame di una Commissione incaricata d’esaminarlo, nel 1869 venne approvato dalla Camera per poi arrestarsi nuovamente presso gli uffici del senato, dove il nuovo Ministro d’Agricoltura Minghetti lo aveva presentato “con una Relazione così scolorita e fredda da far dubitare che avesse poco valore.”

Una nuova iniziativa del deputato Sanguinetti, in accordo col deputato Salvatoli, restò alla stessa maniera senza seguito.

Dopo una pausa di una decina d’anni, il 7 giugno 1879 il ministro Majorana-Calatabiano presentava un nuovo ed ottimo progetto, le Disposizioni per l’esercizio della caccia e dell’uccellagione, che esprimeva in questa maniera i suoi concetti fondamentali (articoli 4 ed 8): “E’ proibita in qualsiasi tempo e luogo la distruzione in qualsivoglia modo operata e la cattura degli uccelli di nido eccettuati quelli dannosi alla economia agraria e domestica […] (art.4)”; “E’ vietato in ogni tempo di trasportare, esporre in vendita in qualsiasi luogo, di comprare, di ritenere uova, covate ed uccelli di nido […] (art.8)”

Questo disegno veniva con prontezza approvato dal senato, il 26 aprile dell’anno successivo, “ma malgrado questa approvazione non ebbe più lieta fortuna”. Venne presto bloccato e, ripresentato dal Ministro Grimaldi nella tornata del 1885, fu riveduto e corretto dalla Commissione Parlamentare (che sostanzialmente lo svuotò di qualsiasi senso) prima di trovar definitivo posto “e in questo caso grazie al cielo,” in archivio.

Passarono altri otto anni (25 marzo 1893) ed il deputato Compans, “tenuto conto dei voti di Congressi venatori, come delle numerose pubblicazioni comparse anteriormente”, presentò un nuovo breve progetto di Legge alla Camera dei deputati che fu poi seguito, l’anno successivo, da una nuova proposta del Ministro d’Agricoltura onorevole Lacava (4 maggio 1894). Simile a quella del Majorana-Calatabiano, essa teneva conto degli accordi internazionali che l’Italia aveva nel frattempo stipulato e del nuovo Codice Penale. Per esaminarla venne nominata una nuova Commissione presieduta dall’on. Chiaradia, la quale accettò con lievi modifiche il progetto. Ma puntualmente accadde che: “Per la sopravvenuta chiusura della Sessione tale Progetto non poté essere discusso, susseguentemente il 6 dicembre 1894 il Ministro on. Barazzuoli lo ripresentò chiedendo che fosse ripreso allo stato di Relazione, ma esso pure non ebbe favorevoli le sorti parlamentari.”

In sostanza, tolta la parentesi dell’accordo con l’Austria-Ungheria per la protezione degli uccelli utili, trascorsero trenta anni pieni di proposte, dibattiti, progetti e disposizioni al termine dei quali quel che più risultava evidente era che nulla, praticamente, si era fatto e si stava ancora facendo: “Non consta quali sieno le misure prese dall’Austria-Ungheria. In Italia per molto tempo non vi si pensò…”

Se vi fu un evento di qualche rilevanza, in questo periodo, esso fu certamente costituito dall’avvio dell’Inchiesta Ornitologica Italiana, che, come abbiamo visto, venne intrapresa e diretta dal professor Enrico Hillyer Giglioli.

Per ogni regione venivano raccolte numerose informazioni e dati statistici e, tra le varie domande poste nei questionari distribuiti, vi era quella che invitava ad osservare se vi fosse stata una diminuzione oppure un aumento delle diverse specie di uccelli. Bisognava poi indicare gli eventuali motivi e le cause di questi fatti.

Ora, tra le quasi sessanta risposte pervenute da ogni angolo d’Italia, ben 54 denunciavano la diminuzione o la scomparsa di varie specie di uccelli; le rimanenti, invece, descrivevano sporadici aumenti o situazioni stazionarie. La situazione era di emergenza ed una buona ed unica legge si mostrava essere indispensabile.“L’Italia nostra, unita politicamente e chiamata a libertà dopo tanti secoli di servaggio e divisione, se ha pensato a promulgare una infinità di leggi (finanziarie specialmente), se ha provvisto ad unificare le varie leggi più essenziali al politico reggimento, non fu invece ugualmente sollecita di provvedere all’unificazione di quelle leggi, che parevano di minore importanza.”

Una legge sulla caccia avrebbe dovuto avere quale fondamento l’utile dell’agricoltura intesa come bene comune. Questo utile nazionale non doveva essere infatti in alcun modo subordinato alle consuetudini, che spesso venivano elevate al carattere di diritto dagli amanti della caccia e dagli ignoranti in materia.

Ma l’applicazione di tale fondamento sembrava scontrarsi di continuo contro un fato avverso, non essendovi voto, relazione, esortazione di cacciatori, di istituzioni agrarie, di studiosi o di deputati che riuscisse a superare definitivamente lo scoglio del Parlamento.

Ed intanto, come denunciava l’Arrigoni degli Oddi, “il nostro patrimonio venatorio lentamente dileguavasi, la selvaggina perseguitata, distrutta senza modo, senza misura diminuiva in modo impressionante.”

Riferimenti bibliografici:

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

G. B. Cavarzerani, Per la protezione della selvaggina, Tip. Del Bianco, Udine 1906

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Carlo Ohlsen, La protezione degli uccelli utili all’agricoltura. Raccomandazione, Tip. Nazionale, Salerno 1892

Lino Vaccari, Per la protezione della fauna Italiana, Stab. Tip. Bartelli e C., Perugia 1912

Arturo Fancelli, Sulla diminuzione degli uccelli: cause, effetti e rimedi, Tip. Egisto Bruscoli, Firenze 1892

Luigi Simoni - Ettore Mattei, Gli uccelli e l’agricoltura. Considerazioni, Cenerelli, Bologna 1893

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Storia delle leggi sulla caccia

2/a parte:
Il primo maggio del 1896 l’onorevole Tassi portava alla Camera dei Deputati un progetto di Legge che vietava in modo assoluto l’esercizio della caccia fino a che non ci fosse stata la promulgazione della Legge unica. Tale draconiana proposta era solo l’ultima di molte altre e, come queste, trovò una sorte avversa: lo stesso onorevole che l’aveva fatta la ritirò dopo pochi giorni su sollecitazione del Ministro Guicciardini, in cambio della promessa che il ministero avrebbe, con rapidità, affrontato e risolto la tormentata questione.
Cosa che poi non avvenne, e“non per colpa dell’insigne parlamentare, ma per le solite vicissitudini dell’Assemblea.”

Si giunge al 1904 per trovare un nuovo progetto, quello presentato dell’onorevole Landucci. Esso, che non si allontanava troppo dai precedenti progetti nella sua struttura e nei suoi intenti, non vi si discostò nemmeno nell’esito. Fu, dopo poche ore, spodestato da un disegno del ministro Rava intitolato Provvedimenti per l’esercizio della caccia.

Una apposita Commissione Reale presieduta dagli onorevoli Toaldi e Roselli lo aveva esaminato e studiato l’anno precedente, approfondendone soprattutto le norme volte ad impedire l’ampia e troppo rapida distruzione della selvaggina e quelle per “infrenare certe barbarie, e magari crudeli usanze di caccia, sulla guida di quel sentimento di gentilezza che deve presiedere ai costumi di un popolo civile.”

Il 19 maggio 1905, lievemente ritoccato, il progetto venne approvato dal Senato del Regno ed il 20 giugno successivo l’onorevole Rava lo presentava alla Camera dei Deputati, dove però, ci risiamo, non ottenne l’approvazione necessaria.

Il deputato provinciale G. B. Cavarzerani, in un suo scritto del 1906 (Per la protezione della selvaggina), denunciava un certo pessimismo: “Chissà dunque per quanti anni ancora – in tema di caccia – si dovrà seguitare in Italia ad applicare qua un Decreto della Repubblica Italiana, più vicino una legge di Napoleone I, più lontano leggi di Borboni, Granduchi, di Granduchesse, di Re, di Cardinali, di Luogotenenti e via dicendo.”

Si arrivò così al febbraio del 1911, quando il Ministro di Agricoltura Industria e Commercio, onorevole Raineri, presentò un progetto dal titolo Provvedimenti per la tutela della selvaggina.

L’obbiettivo era sempre quello di impedire la totale scomparsa della selvaggina dal territorio Italiano, ed a ciò lavorarono molti uomini di valore tra scienziati e cacciatori, che diedero al progetto una base scientifica e tecnica, nonché squisitamente pratica.

La relazione che lo introduceva dichiarava che esso mirava a “frenare la distruzione della selvaggina che in Italia si pratica purtroppo senza distinzione di tempo, di luogo e di modo.” Ma l’ennesima delusione era già dietro l’angolo: “Possiamo assicurare, senza esagerazioni di sorta, che la mancata discussione dello stesso costituì un nuovo e più forte disastro per l’economia delle specie.”

La mancanza di una legge unica e le difficoltà che si presentavano per riuscire ad ottenerla erano in gran parte dovute alla politica priva di consultazione che operavano i vari Consigli Provinciali, forti della loro facoltà di stabilire i calendari di caccia per ogni provincia, autonomamente dal Governo ed al di fuori di qualsiasi norma o regolamento che avesse carattere generale. Derivava da ciò una vera e propria anarchia organizzativa che, con che pessime conseguenze, coinvolgeva tutte le 69 province del Regno d’Italia.

Una data unica per l’apertura e la chiusura della stagione venatoria era qualcosa di fortemente auspicabile per riportare un po’ d’ordine nella confusione delle disposizioni provinciali, ma era anche cosa malvista dalla gran parte dei cacciatori, i quali si ostinavo a credere, con buon pregiudizio, che ci fosse una differenza notevole nelle presenze della selvaggina tra le due estremità del regno e, in particolare, “fra le date di arrivo e di partenza delle diverse specie tra il Nord e il Sud d’Italia, perciò che riguarda gli uccelli, quasichè questi, migrando, impiegassero un tempo considerevole a percorrere l’intera penisola, e la percorressero realmente dal Nord al Sud, o viceversa, a seconda del passo autunnale e di quello primaverile.”

Quel che invece abbiamo visto, in proposito, è che gli uccelli, nel loro migrare su e giù attraverso l’Europa, seguivano delle direzioni che non erano (e non sono) esattamente perpendicolari ai meridiani, viaggiando piuttosto per linee diagonali; con la evidente conseguenza, così, di toccare quasi contemporaneamente i lidi meridionali e quelli settentrionali del continente.

Tutto ciò, però, continuava ad essere prevalentemente ignorato o non tenuto in alcun conto dal ceto dei cacciatori, cosa che rendeva maggior merito a quella parte del progetto del ministro Ranieri che cercava di avocare al potere centrale quelle facoltà che fino ad allora erano esclusiva dei Consigli Provinciali. A questi si proponeva di sostituire delle Commissioni Provinciali che avessero a capo una Commissione Centrale a carattere semi-permanente. Questo il commento dello studioso Giacinto Martorelli, appassionato ornitologo ed autore dell’importante volume “Gli Uccelli d’Italia”, alla proposta del ministro: “la parte considerevole che la Legge verrebbe a dare all’elemento biologico rappresenta un importante progresso ed è promessa di ottimi frutti dei quali i Cacciatori stessi saranno i primi a godere...”.

E poi, commentando la scelta di istituire Commissioni Provinciali e non con estensione regionale, aggiungeva che le disposizioni relative alla caccia erano da subordinare piuttosto alla natura dei ”singoli territori ed al loro speciale contenuto zoologico, che non al criterio geografico, poichè in una vasta regione, ed in quelle Italiane specialmente, si possono realizzare le più svariate condizioni fisiografiche, corrispondenti ad altrettanta varietà di esseri viventi.”.

La relazione ministeriale prevedeva anche la costituzione di un Osservatorio Zoologico, il quale continuasse ed estendesse quel lavoro che era stato iniziato dall’Inchiesta Ornitologica, al fine di favorire, come già avveniva in molte Nazioni d’Europa, anche per l’Italia una maggior conoscenza e ed una migliore divulgazione degli argomenti che riguardavano l’ornitologia. Infine veniva affrontata la questione del ripopolamento dei boschi e delle campagne, proponendo, oltre alla costituzione dell’Osservatorio, la realizzazione di vivai e stazioni di avicoltura dove si potessero anche compiere delle ricerche sperimentali sull’acclimazione. Al testo di legge seguiva un allegato contenente un importante studio del professor Alessandro Ghigi nel quale erano analizzate le condizioni delle foreste inalienabili dello Stato. Vi erano descritti, per ognuna, quelli che erano i mezzi migliori (in base ai particolari climi e alle varie conformazioni del territorio) per un efficace ripopolamento.

Riguardo poi l’opportunità di una data unica per l’apertura e la chiusura della stagione di caccia, c’era da sottolineare come la diversità delle disposizioni provinciali impedisse agli agenti incaricati del controllo (Carabinieri su tutti), trasferiti di continuo da una provincia all’altra, di avere una immediata conoscenza delle singole disposizioni locali e di tutti i loro vasti e diversi contenuti. A ciò si accompagnava, inoltre, una perenne semi-ignoranza circa le specie di uccelli, in modo che fosse impossibile distinguere quelle che in un dato luogo e in un dato tempo venivano di volta in volta ritenute utili piuttosto che dannose.

Una legge uniforme per tutto il territorio Italiano, che fosse stata allo stesso tempo chiara e semplice e che avesse potuto esser facilmente compresa ed appresa tanto dai cacciatori che dagli agenti preposti alla loro sorveglianza, avrebbe avuto molte più opportunità di essere rispettata in maniera generale. Una legge che continuasse invece ad agire su di un livello prettamente locale, si sarebbe sempre prestata a fraintendimenti di vario genere, lasciando esitanti e poco decisi sia coloro avrebbero dovuto rispettarla sia quanti avevano, piuttosto, il compito di farla osservare e applicarla.

Come già si è visto, la maggior parte dei migratori presenti in Europa usava concentrarsi in determinate regioni o zone appartenenti all’area mediterranea. Nei tempi in cui questo avveniva, cioè tra la fine dell’estate e la primavera dell’anno successivo, le regioni da cui le varie specie erano partite (le Tundre e le foreste Conifere della Siberia, ampie fasce della Russia e della Scandinavia, le isole del Mar glaciale) restavano pressoché prive di uccelli. Grandissima parte dell’Europa Orientale, in questi periodi, veniva totalmente disertata da centinaia di specie e appena pochi individui ne restano in rappresentanza durante i periodi invernali.

“Tutti questi viaggiatori multiformi volano dunque concordi verso una comune terra promessa, calda e fertile d’ogni dovizia. Nel loro viaggio i pericoli naturali sono molti e svariati e innumerevoli sono i soccombenti alle fatiche, ai disagi, alle intemperie, alle epidemie, agli artigli dei predatori, ma la moltitudine dei migranti è tale che potrebbe resistere a tali cause di decimazione, se non si aggiungesse il più terribile fra i loro nemici, l’uomo che neppur li risparmia durante il passo primaverile mentre volano verso l’amore.” In Italia, anche durante il passo primaverile, soprattutto in alcune regioni, era lieta abitudine far caccia grossa di uccelli in cerca di un nido, con molti calendari che si inoltravano fin dentro la prima bella stagione.

“A ciò dobbiamo aggiungere che in quell’epoca sono pendenti tutti i nostri raccolti più importanti, e che è allora in attività la maggior parte degli insetti nocivi, mentre gli uccelli in tale stagione ne fanno un enorme consumo, poiché nutrono la prole quasi esclusivamente d’insetti e chiocciole, alimento più sostanzioso.”

Riferimenti bibliografici:
Alessandro Ghigi, Insetti, uccelli e piante in rapporto colla legge sulla caccia. Memoria, Tip.di G. Cenerelli, Bologna 1896

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

G. B. Cavarzerani, Per la protezione della selvaggina, Tip. Del Bianco, Udine 1906

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Giacinto Martorelli, Provvedimenti per la tutela della selvaggina

Carlo Ohlsen, La protezione degli uccelli utili all’agricoltura. Raccomandazione, Tip. Nazionale, Salerno 1892

Lino Vaccari, Per la protezione della fauna Italiana, Stab. Tip. Bartelli e C., Perugia 1912

Arturo Fancelli, Sulla diminuzione degli uccelli: cause, effetti e rimedi, Tip. Egisto Bruscoli, Firenze 1892

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Storia delle leggi sulla caccia

3/a parte...
La disparità dei calendari di caccia nelle diverse regioni d’Italia aveva, in alcuni casi, dell’incredibile. Ad esempio, mentre in Toscana si aveva una media di 127 giorni di divieto, a Roma detta media era di 71, a Cosenza di 56, a Palermo di 15 giorni e, a Potenza…non vi era proprio divieto, potendosi cacciare tutto l’anno gli uccelli di transito. Se si guarda al comportamento che avevano avuto i vari governi per stimolare lo zelo degli agenti incaricati del controllo e della repressione degli abusi in materia di caccia, si possono ben scoprire, anche in quest’ambito, delle fortissime differenziazioni nei criteri adottati, ad evidenziare ulteriormente il bisogno di un regolamento uniforme per tutta l’Italia.

In Piemonte la Regia Lettera Patente del 26 giugno 1853 stanziava una somma a beneficio degli agenti che meglio si fossero distinti nell’accertare le contravvenzioni, e leggi simili si trovavano anche in Lombardia e nel Parmense, dove i soldi delle multe andavano per metà alle casse comunali e per metà all’agente che denunciava l’infrazione (una disposizione di questo genere era presente anche negli ex territori dello Stato Pontificio).

Nel Napoletano invece gli agenti erano invece ricompensati con le armi e con gli oggetti confiscati, mentre in Toscana mancava qualsiasi legge o regolamento in proposito.

“E per la paura di scontentare l’on. Tizio o l’on. Caio o magari il semplice elettore Sempronio si è lasciato sussistere durante trent’anni l’odioso sistema dell’unico peso e delle sette misure (in Italia, prima della legge unitaria, esisteva un unica tassa per l’esercizio della caccia che veniva regolato però da sette leggi differenti, le quali a loro volta davano origine a 68 regolamenti provinciali diversi l’uno dall’altro), sola macchia stridente nella felice effettuazione dell’unità italica”... commentava il Renault.

Questo stato di cose era ciò che più di ogni altra cosa provocava l’indignazione delle nazioni vicine. Come abbiamo infatti visto, molti di questi paesi erano impegnati, negli anni in cui in Italia si discuteva tanto vanamente, a studiare con ogni mezzo (coi nidi artificiali e con gli allevamenti diretti) la giusta via per aiutare ed accrescere la moltiplicazione degli uccelli. L’urgenza di una legge unica e ben fatta, che fosse in grado di rispettare le disposizioni delle nazioni confinanti, doveva, entro breve, farsi sentire come assolutamente impellente. “Infine sommamente importa di fare cessare i lamenti e le poco benevole espressioni, che in proposito ci sono di continuo rivolte dai giornali d’Austria-Ungheria, di Germania, di Svezia ed anche di Francia.” Così si esprimeva il presidente della Società Torinese protettrice degli animali Francesco Durando, il quale aggiungeva, provocatoriamente, che ogni indugio ad aderire formalmente almeno alla Convenzione Europea del 19 marzo 1902, avrebbe lasciato dubitare “ad una tacita opposizione per parte del Governo del Re”, visto che trent’anni prima era stato firmato un simile accordo internazionale (quello con l’Austria-Ungheria) senza che si fosse prima provveduto a regolare la legislazione interna. Quando non si partecipava alle iniziative internazionali, dunque, si continuava con dissimulato imbarazzo ad invocare l’assenza di una legge Nazionale.

Nel frattempo le proposte per la nuova legge continuavano pure incessanti, e tra queste ci fu quella dell’onorevole De Capitani d’Arzago, Ministro per l’Agricoltura del Governo Nazionale. Egli presentò il suo disegno nel febbraio del 1922, col nome di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia.

Con esso si stabiliva che tutte le proprietà del Demanio forestale dovevano essere considerate quali bandite di rifugio e di ripopolamento della selvaggina stanziale e che ogni provincia avrebbe dovuto avere la sua zona di rifugio.

Inoltre si disciplinava la costituzione di riserve di caccia, si vietava la caccia con qualsiasi mezzo nelle bandite, “salva la facoltà del Ministro per l’Agricoltura di permettere in via eccezionale e sotto determinate condizioni, catture di selvaggina a scopo di ripopolamento di altre terre e di protezione delle colture ed anche per destinazione al pubblico consumo”, si stabilivano i mezzi che potevano essere usati per la caccia e per l’uccellagione, proibendo assolutamente quelli che fossero essenzialmente distruttivi ed insidiosi, si stabiliva un unico periodo ordinario di esercizio della caccia per tutto il Regno e si comminava la pena del carcere per le infrazioni più gravi alle norme contenute nel disegno di legge.

Si era da pochi anni esaurito il primo conflitto mondiale, gli scolaretti avevano avuto ben poco tempo per gustarsi le tavole illustrate dell’Agnes e le parole del Casoli ed i fascisti capeggiati da Mussolini avevano marciato da pochi mesi attraverso le strade e le ferrovie della capitale. Quando il disegno del Ministro De Capitani d’Arzago si trasformò nella prima legge unica sulla caccia del Regno d’Italia.

Nella Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 1923 venne pubblicata la legge n. 1420 del precedente 24 giugno: prima legge unitaria sull’argomento, essa andava sotto la dicitura di Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia.

Il testo di legge era costituito da 42 articoli che regolamentavano la protezione della selvaggina (art. 1-14), l’esercizio della caccia (art. 15-23), la vigilanza e le sanzioni (art. 24-33). Gli articoli 34, 35 e 36 istituivano un registro delle associazioni dei cacciatori presso il Ministero di agricoltura.

Gli ultimi cinque articoli disegnavano le disposizioni generali e transitorie per l’applicazione della nuova legge.

Il dibattito poteva dirsi in parte concluso, o, perlomeno, poteva ora continuare senza dover assistere all’inciviltà di una serie di disposizioni arretrate e gonfie di interessi personali che isolavano il nostro paese da uno dei pochi contesti in cui i paesi Europei furono, nella prima parte del novecento, tutti alleati.

Riferimenti bibliografici:
Arturo Renault, Per la legge unica sulla caccia. Lettera a S.E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, Tip. Ferdinando Simoncini, Pisa 1901

Cesare Durando, La convenzione Europea per la protezione degli uccelli utili all’agricoltura, Tip. Origlia, Festa e C., Torino 1902

Ettore Arrigoni degli Oddi, Testo esplicativo ed illustrativo delle disposizioni vigenti in materia venatoria, Tip. Seminario, Padova 1926

Provvedimenti per la protezione della selvaggina e l’esercizio della caccia, Ministero Agricoltura e Foreste, Leggi e decreti del Regno d’Italia. Volume quinto. Legge n.1420, Tip. Mantellate, pp. 4531-4546
Cronologia Ornitologica
by Alberto Masiu
 

Aimone Cat

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Un saluto a tutti i cacciatori che vorranno darmi il loro aiuto, per una ricerca "singolare", ma alla quale tengo molto: la storia della caccia in Italia.
Mi spiego:
sono nato "venatoriamente" sotto la legge 157, e mi sono sempre domandato quali fossero le differenze sostanziali rispetto alla legge precedente sulla caccia. Non sono sicuro e probabilmente sbaglio, ma credo che la 157 abbia mandato in pensione una legge del 1977??????
e prima di allora???
Mi piacerebbe conoscere, attraverso i più esperti e i più "datati", quali sostanziali modifiche sulla caccia abbiano apportato le varie leggi, e di che leggi si trattava, che si sono succedute negli anni.
A questo proposito mi piacerebbe sapere qualcosa di più in merito al famoso referendum fallito del 1992, com'era gestito il territorio prima dell'avvento degli ATC, le regole di prelievo e la durata dei calandari venatori. Insomma, chi più conosce.....più ne metta.
Sarò grato a tutti coloro che daranno il loro contributo.
Saluti-Filippo
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

mi ricordo negli anni 70 che ,un pastore andava a cuculi . aveva un richiamo a bocca e arrivavano poi mi mandava a raccorglierli. avro' avuto 10 11 anni . sembra passato un millennio. ciao

- - - Aggiornato - - -

mi ricordo negli anni 70 che ,un pastore andava a cuculi . aveva un richiamo a bocca e arrivavano poi mi mandava a raccorglierli. avro' avuto 10 11 anni . sembra passato un millennio. ciao
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

grazie Enzo per la bellissima fonte storica che hai apportato, anche se leggendola attentamente sembra scritta da un relatore quantomeno non favorevole alla caccia...

Ma in un certo qual senso mi fa capire che i conflitti fra protezionisti e cacciatori non sono materia nuova, degli anni 70 in avanti, ma si protraggono fin dal 1860, e probabilmente sono sempre esistiti nella storia e sempre esisteranno.
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Se fai ricerca, troverai la legge che era in vigore, il testo unico del 1939, esattamente REGIO DECRETO del 5 giugno 1939, poi modificato a più riprese, come con la legge del 2 agosto 1967 n°799, a me cara perchè è con questa legge che nella primavera del 1971 superai l' esame per il porto d' armi, ancora modifiche con la n°968 del 1977, e via via fino ad arrivare alla sciagurata legge 157/92 frutto di conflitti o compromessi socio-politico-feudali, non ancora risolti o chiariti.
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

quando apriva e quando chiudeva ? ciao

all'età di 10/12 anni seguivo già la buonanima di mio padre(siamo negli anni 60) e mi ricordo che la caccia si apriva il 15 agosto e chiudeva verso la fine di aprile.nel mese di aprile però l'attività venatoria era permessa solo agli acquatici lungo le litoranee e le zone paludose.da quando ho preso io il pda(1973, avevo 16 anni),si apriva il 15 agosto e chiudeva a fine di marzo.poi in seguito la chiusura avveniva il 10 marzo,poi il 28 febbraio e poi............siamo alla 157.........l'addio alla caccia
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

all'età di 10/12 anni seguivo già la buonanima di mio padre(siamo negli anni 60) e mi ricordo che la caccia si apriva il 15 agosto e chiudeva verso la fine di aprile.nel mese di aprile però l'attività venatoria era permessa solo agli acquatici lungo le litoranee e le zone paludose.da quando ho preso io il pda(1973, avevo 16 anni),si apriva il 15 agosto e chiudeva a fine di marzo.poi in seguito la chiusura avveniva il 10 marzo,poi il 28 febbraio e poi............siamo alla 157.........l'addio alla caccia
beh un po' te la sei goduta !
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

se volete farvi venire un po' di nostalgia e avete voglia di leggere ecco il link del T.U.del 1939http://www.gondrano.it/desert/lab/caccia/rd1016.htm
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Breve storia degli ultimi 45 anni.
Con la legge n°799 del 1967 viene istituita l' assicurazione obbligatoria e sancisce che la caccia apre l' ultima domenica di agosto e chiude il 31 marzo con possibilità di proroga alla seconda domenica di maggio (per un massimo di tre anni dall' entrata in vigore).
Viene Introdotto il Regime di Caccia Controllata, con limitazione di tempo di luogo di specie e di numero di capi da abbattere, sostanzialmente si passa ad un regime di caccia in LIBERTA' VIGILATA e CONDIZIONATA.
Con la legge n° 968 del 27 dicembre 1977 la caccia passa sotto la competenza regionale, vengono istituiti i tesserini unici regionali (contro i tesserini provinciali) e vengono ridotte drasticamente le giornate di caccia, non più di tre settimanali anche a libera scelta. Il martedì e venerdì diventano giornate di silenzio venatorio, un divieto assurdo unico al mondo, si passa ad una caccia in LIBERTA'- VIGILATA-CONDIZIONATA e LIMITATA.
Decreto Spadolini-Fabbri del 1982, si attaccano le ns. tradizioni sono proibite altre 12 specie di uccelli migratori (in totale saranno 36).
Con la legge 157 del 11 febbraio 1992 è passata una drastica riduzione del periodo di caccia, vengono istituiti i C.A e gli A.T.C.che se utili per la stanziale, (se funzionano) sono la negazione della caccia alla migratoria la quale presuppone come essenza stessa di caccia la possibilità di spostamento del cacciatore. Viene introdotta la forma di caccia in via esclusiva (tipo arresto domiciliare, una assurdità unica al mondo) la caccia è bella in uguale misura in tutte le sue espressioni, con il presupposto di mettere i cacciatori l' uno contro l' altro. Per la violazione della 157 vengono in alcuni casi introdotte sanzioni penali assurde senza giusto rapporto fra infrazione e sanzione, non rispettare uno stop è amministrativa e uccidere per errore una pispola è penale, non è paragonabile la gravità delle due azioni.
Su tutto questo aleggia il cappello Europeo che pur lasciando margini ampiamente discrezionali e risolutivi attraverso direttive nazionali che ancora latitano in materia grazie ai nostri politici, è tuttavia argomento di terra di conquista da parte di certi politicanti nostrali di turno sia Europei che Nazionali, dove con la potente complicità mediatica è facile cavalcare l' onda di facili consensi. Se a questo aggiungiamo le varie associazioni contro, con noti personaggi, metaforicamente frustrati alla ricerca del solo possibile obbiettivo, la soluzione finale del problema. La situazione è così assurda e irreale talmente fuori dalla realtà dei processi culturali per il mio vissuto che credo sia importante sperare e credere ancora di organizzarci scientificamente per avere dati e ricerche tali da poter contrastare l' ipocrisia imperante, la convenienza, la corruzione, la superficialità unica condizione certa per poter continuare ad alimentare la nostra grande " Passione "
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

GRAZIE MILLE A TUTTI COLORO CHE DANNO IL CONTRIBUTO, E SOPRATTUTTO A eNZO, PER ESSERE ANDATO IN CERCA DI TANO MATERIALE.
Ho voluto mettere in piedi questa discussione perchè ho bisogno di conoscere molte cose che, anagraficamente, non posso conoscere riguardo la caccia.
Ritengo particolarmente importante l'argomento perchè, oltre a darmi delle nozioni, posso poi estrapolarne uno spaccato della società Italiana.
E' soprattutto attraverso le anime ideologiche che un paese dice molto di sè, della propria identità.
Sono convinto che il '68 sia stato un male
E qui non voglio entrare in merito alle questioni politiche, che inevitabilmente mi vedrebbero contrapposto a molti, anche qui dentro.
Voglio piuttosto sottolineare come, in Italia più che in altri luoghi, un'ondata di cambiamento, di riforma, di stravolgimento dei capisaldi morali (compresa la caccia. Mores=tradizioni), sia stata un'opportunità mal colta, che poi ha dato modo a molte delle aberrazioni sociali che oggigiorno rovina la scuola, i govani, la società tutta.
Sul finire degli anni sessanta si fa strada la contestazione, e fioriscono i movimenti che si autodefiniscono ambientalisti. Questo accade in tutta europa e il fenomeno, come spesso accade per le fronde originatesi dagli estremismi, tendono a cercare vigore unendosi.
E' pertanto cosa normale che, molte delle contestazioni che nascono in Italia riguardo la caccia e l'ambiente, anche se ancora poche rispetto ad oggi, sono identiche a quelle che poi si vedono nel Regno Unito o in America, o in Germania Ovest.
La differenza sostanziale è che poi, esaurita la forza propulsiva di un'ondata ideologica e di costume, negli altri paesi si ritorna ad un livello di "coesistenza" tra le varie anime di una stessa società, mentre in Italia non si guarisce da questo fenomeno, e si continua in un'asfittica e particolare rincorsa all'estremismo.
Accade in politica, accade nelle questioni ambientali, accade nelle questioni sociali.
Per motivi di lunghezza è opportuno soffermarsi solo alle questioni ambientali, e in particolar modo alla caccia, che a noi interessa.
Una scuola fortemente ancorata a valori della contestazione, con insegnanti e formatori che provengono dal '68 dei primi movimenti vegani, animalisti, pauperisti, che riportano ad un certo qualmodo l'uomo ad una dimensione eguale a quella dell'animale, non possono certo che dare un esempio alle nuove leve, ai giovani che si sono formati sotto il loro insegnamento, che ha poi fortemente condizionato la mentalità delle persone di adesso in merito alla caccia.
Ma l'errore che più si commette in tutto questo è stato il far passare questo sistema di mutamento delle tradizioni e della cultura della caccia come un movimento necessariamente giusto, se è accaduto. Mentre è noto che una riflessione acritica, che non si preoccupi di stabilire se una questione sia effettivamente stata affrontata senza la lente distorsiva dell'ideologia, ha portato, una novantina d'anni fa, il nostro paese nella dittatura.
Se uno che non la pensa come me,un animalista per esempio, legge ciò che scrivo, è molto probabile che risponda che le mie sono quantomeno esagerazioni.
attenzione! Io non intendo dire che gli italiani abbiano la tendenza innata a cadere nella dittatura, quanto piuttosto nella dittatura di pensiero, qualsiasi esso sia, e nell'estremismo ideologico. Questo, per mezzo di un largo consenso popolare, basato sull'informazione di parte, distorta e parziale di un settore di pensiero che prevarica gli altri, attraverso il monopolio dei mezzi di comunicazione, di insegnamento, ma anche di pensiero stesso, dal momento che parlare di caccia al bar, tanto per fare un altro esempio, risulta essere in alcuni casi pericoloso.
Sta di fatto che esiste una colpevole remissione di coloro che, come in tutte le società civili, la pensano in maniera differente. Solo che in Italia o preferiscono non esporsi, o non voglioniìo, o hanno timore a farlo.
L'altro giorno l'ennesimo spot elettorale dell'ex ministro Brambilla.
L'impressione che ho avuto è che si sia arrivati ad un livello di aberrazione tale, che ora coinvolge anche la parte borghese e più tradizionalista della società, che l'animale è posto ad un livello eguale se non superiore all'uomo, e ne è stata sacralizzata la morte.
La morte, argomento scomodo da sempre, dal momento che è ora sempre più temuto, perchè la gente si aspetta di vivere di più, viene affrontato in maniera differente di un tempo. Anche se la morte è sempre la stessa, i cani sono sempre i cani, e noi ci cibiamo sempre dei polli e dei fagiani.
Ed è proprio la morte a far da spina dorsale di quei movimenti animalisti-ambientalisti, radicali, che si oppongono, caccia in primis, a forme di ammazzamento degli animali.
Con questa logica penso che il prossimo livello sarà l'attaccare i macelli, le fabbriche di insaccati, e cose simili.
Ma ripeto, la bussola è già stata persa da un pezzo.
Finchè non ci mettiamo in testa che la morte dell'animale è una cosa NORMALE, se non è inutile e che comporti sofferenze intollerabili o per puro gusto di gioire della sofferenza di un essere vivente, saremo sempre in alto mare, diritti verso un senso dei valori e delle cose che è stravolto e pesantemente disfunzionale.
Per questo è importante per me conoscere come si è evoluta un simile stortura tutta italiana. Anche conoscendo come si è svolto il famoso referendum fallito, che temo un giorno si possa riproporre per evidenti motivi.
Mentre in taltri paesi si è usciti dal tunnel dell'ideologia, qui in Italia vige sempre di più il clima pesante, plumbeo, del pensiero unico, e del politicamente corretto.
Ci vorrebbe una rivoluzione culturale. Ma nel senso opposto a quello di adesso.......
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Breve storia degli ultimi 45 anni.
Con la legge n°799 del 1967 viene istituita l' assicurazione obbligatoria e sancisce che la caccia apre l' ultima domenica di agosto e chiude il 31 marzo con possibilità di proroga alla seconda domenica di maggio (per un massimo di tre anni dall' entrata in vigore).
Viene Introdotto il Regime di Caccia Controllata, con limitazione di tempo di luogo di specie e di numero di capi da abbattere, sostanzialmente si passa ad un regime di caccia in LIBERTA' VIGILATA e CONDIZIONATA.
Con la legge n° 968 del 27 dicembre 1977 la caccia passa sotto la competenza regionale, vengono istituiti i tesserini unici regionali (contro i tesserini provinciali) e vengono ridotte drasticamente le giornate di caccia, non più di tre settimanali anche a libera scelta. Il martedì e venerdì diventano giornate di silenzio venatorio, un divieto assurdo unico al mondo, si passa ad una caccia in LIBERTA'- VIGILATA-CONDIZIONATA e LIMITATA.
Decreto Spadolini-Fabbri del 1982, si attaccano le ns. tradizioni sono proibite altre 12 specie di uccelli migratori (in totale saranno 36).
Con la legge 157 del 11 febbraio 1992 è passata una drastica riduzione del periodo di caccia, vengono istituiti i C.A e gli A.T.C.che se utili per la stanziale, (se funzionano) sono la negazione della caccia alla migratoria la quale presuppone come essenza stessa di caccia la possibilità di spostamento del cacciatore. Viene introdotta la forma di caccia in via esclusiva (tipo arresto domiciliare, una assurdità unica al mondo) la caccia è bella in uguale misura in tutte le sue espressioni, con il presupposto di mettere i cacciatori l' uno contro l' altro. Per la violazione della 157 vengono in alcuni casi introdotte sanzioni penali assurde senza giusto rapporto fra infrazione e sanzione, non rispettare uno stop è amministrativa e uccidere per errore una pispola è penale, non è paragonabile la gravità delle due azioni.
Su tutto questo aleggia il cappello Europeo che pur lasciando margini ampiamente discrezionali e risolutivi attraverso direttive nazionali che ancora latitano in materia grazie ai nostri politici, è tuttavia argomento di terra di conquista da parte di certi politicanti nostrali di turno sia Europei che Nazionali, dove con la potente complicità mediatica è facile cavalcare l' onda di facili consensi. Se a questo aggiungiamo le varie associazioni contro, con noti personaggi, metaforicamente frustrati alla ricerca del solo possibile obbiettivo, la soluzione finale del problema. La situazione è così assurda e irreale talmente fuori dalla realtà dei processi culturali per il mio vissuto che credo sia importante sperare e credere ancora di organizzarci scientificamente per avere dati e ricerche tali da poter contrastare l' ipocrisia imperante, la convenienza, la corruzione, la superficialità unica condizione certa per poter continuare ad alimentare la nostra grande " Passione "

Condivido tutto, fino all'ultimo rigo.
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Ciao forse la memoria non è più efficientissima ma il mio 1° anno di porto d'armi 1974, vigeva la legge quadro 968, l'apertura era il 18 agosto ( non ricordo apertura il 15), si andava a caccia tutti giorni tranne il venerdi, poi si aggiunse anche il martedi, si chiudeva il 31 marzo, non esistevano i tesserini, non esistevano gli "animalati" ed affini e di cacciatori in Italia eravamo 1.800.000. Poi nel 92 si misero a rovinare tutto ed ecco la "157"....
Saluti
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Io ricordo che da bambino ho avuto la fortuna di seguire mio padre nelle aperture agostane alle tortore, il 18 del mese per l'esattezza, e a marzo, fino al 10, quando si tendeva con ansia ai branchi di marzaiole che veloci sfrecciavano sfiorando le onde del mare lungo la costa salentina. Che bei ricordi, a pensarci mi viene male!
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Ciao forse la memoria non è più efficientissima ma il mio 1° anno di porto d'armi 1974, vigeva la legge quadro 968, l'apertura era il 18 agosto ( non ricordo apertura il 15), si andava a caccia tutti giorni tranne il venerdi, poi si aggiunse anche il martedi, si chiudeva il 31 marzo, non esistevano i tesserini, non esistevano gli "animalati" ed affini e di cacciatori in Italia eravamo 1.800.000. Poi nel 92 si misero a rovinare tutto ed ecco la "157"....
Saluti


Nel 74 era in vigore il T.U. La caccia si apriva il 15 agosto e si chiudeva il 31 marzo, poi si riapriva per quaglie e tortore sulla fascia litoranea ed isole se non mi sbaglio una 20ina di giorni fra aprile e maggio, poi venne la 968/77, presi la licenza nel 76 ed un anno col TU lo feci, col TU si poteva sparare praticamente a tutto compresi i rapaci e i lupi cosiderati nocivi.
 
Re: Storia delle leggi sulla caccia

Nel 74 era in vigore il T.U. La caccia si apriva il 15 agosto e si chiudeva il 31 marzo, poi si riapriva per quaglie e tortore sulla fascia litoranea ed isole se non mi sbaglio una 20ina di giorni fra aprile e maggio, poi venne la 968/77, presi la licenza nel 76 ed un anno col TU lo feci, col TU si poteva sparare praticamente a tutto compresi i rapaci e i lupi cosiderati nocivi.

Si .....hai ragione la 968 è del 1977. Ma quando ho preso io il porto d'armi, esisteva un permesso per i nocivi che consentiva la caccia ad aprile maggio ( per questa specie )........ mi sembra un secolo fà.
Saluti
 
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