Re: Vi racconto una storia.
Vi racconto una storia.
(continua dai post precedenti)
Le parole di Spinetti proiettarono Rigamonti nella carlinga del C130 in volo tattico. Negli istanti che seguirono, che a Rigamonti parvero secoli, l'aviatore a cui non piaceva volare comprese appieno tutti i significati della parola panico. Adesso la mente del luogotenente non trovava appigli di scartoffie, inventari e numeri di protocollo a cui aggrapparsi per sfuggire il peso insopportabile delle questioni importanti, adesso la realtà delle sue responsabilità gli si presentava ineludibile, soverchiante. Rigamonti si sentiva in caduta libera e non aveva con se il paracadute. Un'incubo, quello di Rigamonti, indotto scientemente da Spinetti che nei minuti che seguirono si guardò bene di offrire una via di uscita al povero aviatore, tanto per devastargli la mente, per fargli capire chi avrebbe condotto quel gioco. Anche questo faceva parte dello stile del sovrintendente Spinetti. Rigamonti avrebbe cambiato cento volte quella sedia in finto legno impiallacciato con la carlinga del C130 in volo tattico. Quello che Rigamonti aveva dentro di se e che probabilmente era il motivo principale per cui adesso stava sprofondando dentro questo incubo, era la sua assoluta mancanza del coraggio di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Questo nella fallace convinzione che sempre e comunque i suoi buoni uffici lo avrebbero tratto d'impaccio, avrebbero cancellato errori compiuti, fatto sparire comportamenti riprovevoli. Tutto fuorchè percorrere la strada della ammissione della propria responsabilità, fuorchè esser pronto a pagare le conseguenze delle proprie azioni. Questa fallace convinzione, adesso, aveva consegnato Rigamonti nelle mani, non tenere, di Spinetti. Eppure Rigamonti, dalla profondità del buco emozionale in cui era precipitato, riusciva ancora a ricordare le parole che alla fine il Generale Direttore aveva pronunciato. Proprio cosi, alla fine il Direttore quelle parole le aveva dette, Rigamonti non poteva aver sognato. Anche se, anche allora, si trovava in un buco emozionale del tutto simile a quello in cui adesso lo precipitava Spinetti. Le cose vanno in questo modo quando ti rivolgi al tuo interlocutore non per ottenere giusta soddisfazione dei tuoi diritti o per ammettere dignitosamente i tuoi errori e colpe. Se ti rivolgi al tuo interlocutore per ottenere favori, perchè lui faccia in modo magari di non farti imputare tue responsabilità, perchè ti introduca in un percorso privilegiato, allora devi essere pronto a pagare un prezzo. C'è chi trova questo prezzo insopportabile. Non certamente Rigamonti. Quel giorno in cui contingenze drammatiche e sfortunate stavano per presentargli il conto del suo operato scellerato, Rigamonti aveva preso a quattro mani il coraggio della disperazione e aveva chiamato il Generale Direttore. Questi non era stato certo indulgente, con Rigamonti. Forse è proprio una prerogativa di certe persone forti e potenti nell'atto di ricevere una supplica, quella a cui si atteggiò il Direttore con Rigamonti. Il Direttore, ascoltando l'incredibile vicissitudine di Rigamonti, si senti in diritto di trattarlo come una pezza da piedi, insultandolo in cento modi diversi e giurando e poi giurando ancora che lo avrebbe lasciato cadere a picco. Gli devastò la mente e l'anima. Solo alla fine di quella drammatica conversazione, un Rigamonti annichilito e piangente aveva udito quelle parole. Il Direttore avrebbe fatto una telefonata. La ragazza in camera di sicurezza forse aveva infine trovato altre lacrime da piangere. Adesso la si poteva udire distintamente. Rigamonti non la sentiva di certo, dalla profondità dell'incubo che stava vivendo. Il sovrintendente Spinetti si assentò per qualche minuto, senza pronunciare una sola parola. Quando tornò il pianto della ragazza non si udiva più. Il sovrintendente nell'atto di sedersi nuovamente sulla sua poltrona di vilpelle a sei ruote, prese il blocco dei moduli su cui si verbalizzano denunce e interrogatori e lo fece scivolare in un cassetto della scrivania. Dopo, avvitò il tappo alla sua monblanc e la ripose nella tasca della camicia sotto il pullover di cashmir. Non portava la divisa, il sovrintendente. Almeno di questo la Polizia di Stato poteva essergli grata. Prendo atto che non c'è stato alcun furto, signor Rigamonti. Torni al suo albergo e stia vicino alla sua famiglia, avrà mie notizie molto presto. Con queste parole il sovrintendente Spinetti congedò il povero Rigamonti che aveva appena vissuto il peggior quarto d'ora della sua vita. (continua)
Questa è una storia di pura fantasia. Ogni eventuale riferimento a fatti o personaggi realmente esistiti è puramente casuale.