nicolino.jognaprat

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Dopo aver trattato le fasi fisiologiche dell’accrescimento, della riproduzione, della muda e del mantenimento che, pur rappresentando, secondo la biologia, stadi specifici del ciclo vitale degli uccelli, hanno destato scarso interesse negli amatori, concludo la tematica degli uccelli da richiamo, prendendo in esame la chiusa e la preparazione al canto d’amore ed evidenziando che il valore e il fascino dei richiami è misterioso e insostituibile. Il canto vero e proprio, quello chiamato canto d’amore, è una prerogativa del maschio e, allo stato libero, viene emesso nella stagione degli amori per difendere il territorio di nidificazione dall’intrusione di altri maschi conspecifici. Il canto d’amore viene emesso per allontanare e non per attrarre. Quanto si verifica in natura non trova riscontro negli appostamenti dove, nonostante i richiami esprimano li massimo della potenzialità canora, emergono comportamenti opposti. Il fenomeno si verifica perché la fase fisiologica dei richiami è diversa da quella degli uccelli di passo. In presenza di fasi fisiologiche differenti, il significato dei messaggi canori, aggressivi e bellicosi, dei primi, per motivi di carattere genetico, non possono venire compresi dai secondi. Dal canto dei richiami, del tutto incomprensibile, viene percepita la presenza di conspecifici da parte degli uccelli di passo che, nel vivo del fenomeno migratorio, privi di aggressività e sollecitati da un istinto innato, tendono ad aggrupparsi ed a portare a termine il viaggio di trasferimento verso i quartieri invernali. Gli uccelli da richiamo, membri dell’ordine dei Passeriformi, hanno evoluto un apparato altamente specializzato per l’emissione dei suoni. Oltre al canto suddetto emettono diversi suoni tra i quali il nostro interesse va al cosiddetto verso di richiamo caratterizzato da un suono breve e dalla struttura acustica semplice, tipico della femmina, dei soggetti non chiusati e quindi degli uccelli di passo. Il verso di richiamo è singolare perché, come il cacciatore ben sa, essendo chiaramente comprensibile, attrae quasi irresistibilmente nell’appostamento i frettolosi passanti. Trascorso il periodo del riposo con una alimentazione specifica per il mantenimento e a condizioni di luce analoghe a quelle nelle quali svernano i conspecifici allo stato libero, va eseguito un compito molto importante ed impegnativo volto a spostare la fase degli amori, con la tradizionale chiusa o con il recente metodo della variazione programmata del fotoperiodo, in modo che l’apice della forma amorosa vada a coincidere con i tempi del passo autunnale. La pratica della chiusa, anche chiamata muda, dagli orientali fu praticata fin dai tempi più remoti. Dante Alighieri ce ne dà conferma nella Divina Commedia in un verso che recita: “Breve pertugio dentro dalla muda”. Nel Medio Evo, durante la chiusa, si facevano cambiare le penne, pratica che, in alcuni casi, viene attuata ancora oggigiorno. Lo scrittore Gabriele Mancini, esperto in ornitologia, in un suo libro edito nel 1972, scrisse: “Ho l ‘impressione che questo vocabolo (muda), sebbene un po’ antiquato, sia più appropriato ad indicare il complesso delle operazioni tendenti a far mutare o rinnovare le penne agli uccelli in anticipo al loro normale periodo e conseguentemente ad arrestare il canto nella stagione in cui dovrebbe essere emesso”. Il prof. Mancini, appassionato tenditore, pochi anni fa, affermava che la muda “aveva due scopi fondamentali: interrompere temporaneamente la facondia canora e provocare la muta totale delle piume”. Al presente i richiami, che hanno raggiunto un buon livello della forma amorosa, mutano spontaneamente alla fine del loro impiego. Oltre che alla chiusa tradizionale, vengono utilizzati diversi metodi per spostare il canto dei richiami come ad esempio la chiusa parziale e la modifica del fotoperiodo secondo programmi prestabiliti. Sono tutti validi e, se applicati in modo appropriato, danno risultati ottimi. Rappresentano gli aspetti di una attività amatoriale svolta per puro diletto che gli amatori potranno scegliere in relazione alle loro esigenze, convinzioni e consuetudini. Nella presente nota esporrò le caratteristiche della chiusa parziale che conosco per averne fatto uso per oltre un ventennio. Generalmente alla fine di aprile e comunque quando i richiami abbozzano le prime emissioni canore, si deve iniziare la chiusa parziale che si differenzia da quella totale per una semplice modifica, ampiamente collaudata, secondo la quale, durante l’arco della giornata, viene illuminata la stanza dei richiami per 3/4 ore con luce artificiale d’intensità moderata, simile a quella del periodo di mantenimento. Se nella batteria sono presenti dei merli che, iniziando a nidificare in febbraio/marzo, sono sensibili anche a fotoperiodi brevi, è prudente ridurre il tempo dell’illuminazione a 2/3 ore. La breve illuminazione effettuata durante la chiusa è la fonte di enormi benefici. Consente una adeguata alimentazione ed assicura la funzionalità del senso della vista, fattore di fondamentale rilevanza per gli uccelli. Alla fine della chiusa parziale, i soggetti presenteranno condizioni fisiologiche ottimali e – requisito di assoluta importanza – una forte predisposizione ad acquisire in tempi brevi una vigorosa forma amorosa. La chiusa parziale, adottata negli ultimi 30/40 anni da cacciatori ed espositori nelle competizioni canore, è ancora poco conosciuta e diffusa perché percepita con immotivati timori soprattutto da coloro che, adattati a pratiche superate e dominati da mode e riti obsoleti, temono l’innovazione. Grosso modo, verso la fine di giugno vengono tolti dalla chiusa i merli ed i tordi bottacci; circa un mese dopo i sasselli, le allodole, le cesene, ecc. Dette date sono puramente indicative e possono variare in relazione ai tempi in cui verranno impiegati i richiami. Dopo la chiusa vanno aumentate in 3/4 giorni le ore di luce fino a ottenere il fotoperiodo che ha preceduto la chiusa. Questo deve essere mantenuto inalterato fino a quando inizierà la preparazione al canto. Va sostituita l’alimentazione di mantenimento con quella specifica per il canto e la riproduzione. Rowan W., studioso delle migrazioni dei volatili, ha dimostrato con sperimentazioni di carattere scientifico che esiste una precisa relazione tra l’efficienza dell’estro amoroso e le variazioni del fotoperiodo. Accertata la connessione tra il fotoperiodo e l’efficacia canora, bisogna tener presente che l’aggiunta di stimoli diversi dalla luce possono sconvolgere le funzioni della tiroide e principalmente la produzione delle gonadotropine, gli ormoni che presiedono alla secrezione del testosterone da parte del testicolo. Analoghe conseguenze vengono causate da un fotoperiodo troppo breve. I richiami, in una settimana, possono assuefarsi senza inconvenienti al fotoperiodo utilizzato per la preparazione al canto. La stanza deve essere illuminata con lampade a luce solare tenute ad una distanza di circa 150 centimetri dalle gabbie, che devono essere prive di qualsiasi copertura. La luce va indirizzata sul pileo e sulla nuca , l’intensità luminosa, al livello delle mangiatoie, può oscillare tra i 150 e i 200 lux e la temperatura di colore tra i 5000/5500 gradi Kelvin. Il 25% della luce entra dagli occhi ed il 75% dal vertice, dalla cervice e dalla nuca e, attraverso l’ipotalamo, raggiunge l’ipofisi. (Vedasi thread “Allevamento uccelli da richiamo”). Dette condizioni di luce, che devono venire mantenute inalterate dall’inizio della preparazione della fase degli amori fino al termine dell’impiego dei richiami, dopo 30/45 giorni, elevano la forma amorosa ai massimi livelli. Ritengo che la preparazione dei merli e dei tordi bottacci possa iniziare verso la metà del mese di luglio con un fotoperiodo di 17 ore (6/23). Il 15 di agosto potrebbe iniziare quella del sassello, della cesena e dell’allodola per i quali verrà impostato un fotoperiodo di 19 ore, dalle 6 all’una dopo mezzanotte. Le cesene necessitano di una osservazione particolare perché, in cattività, dimostrano una forma amorosa alquanto breve e, per di più, devono far fronte a condizioni di passo molto singolari: imprevedibili dal punto di vista temporale, incostanti e quindi molto lunghe. Alberto Bacchi della Lega, verso la fine del 1800, nel libro “caccie e costumi degli uccelli silvani”, scrisse: “La cesena passa per i nostri piani nel mese di novembre……non passa regolarmente: ora si vede di più, ora meno……e più quando secondo i nostri campagnuoli l’inverno fa da cattivo”. E’ opportuno, per avere una adeguata efficienza canora durante l’intero periodo del passo, dividere la batteria delle cesene in tre gruppi da preparare al canto e utilizzare in tempi distinti. Il primo gruppo potrà iniziare la preparazione a metà agosto come il sassello. Il secondo a metà settembre e il terzo in ottobre. Seguendo con diligenza gli schemi suddetti, adattandoli alle esigenze del territorio in cui si caccia, si possono ottenere risultati più che soddisfacenti. In alcune zone ricche di pasture e molto frequentate da uccelli erratici che si spostano in ogni dove alla ricerca di cibo anche per periodi lunghi, diventando temporaneamente stanziali, le opportunità venatorie diventano molto interessanti soprattutto nei mesi di novembre e dicembre, sul finire degli spostamenti migratori. In dette zone, conviene applicare gli schemi dianzi esposti per le cesene, allestendo due o tre squadre di richiami per ogni singola specie. Secondo il parere di autorevoli studiosi delle migrazioni, il verso di richiamo ha un ruolo molto importante nella composizione degli stormi e nel tenerli uniti durante i faticosi viaggi migratori. In dipendenza di quanto sopra e di quanto osservato nella presente in ordine alla emissione dei suoni degli uccelli, emerge con chiarezza l’opportunità di mettere nella batteria dei richiami anche soggetti capaci di emettere il verso di richiamo.



Nicolino Jogna Prat
 
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