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| di Luca Quaresmini
Brescia - Il libro “Luoghi di pasture – La tradizione dell'appostamento fisso di caccia in provincia di Brescia” non si limita ad illustrare la tipicità di una certa attività venatoria, pure osservata in relazione alla generalità delle varie forme di uccellagione della tradizione bresciana, ma si espande, in circa centoquaranta pagine, attraverso la documentazione del corrispondente panorama naturale che è fedelmente riscontrato in quell'ambito locale dove la cacciagione è oggetto d’attenzione per una quota parte della tradizione di un assodato retaggio plurigenerazionale.
La pubblicazione, realizzata dalla “Compagnia della Stampa”, reca, fra l’altro, un dettagliato vocabolario condensato in “una selezione di termini tratti da alcuni importanti lavori di autori bresciani sulla terminologia dialettale delle specie ornitologiche e vegetali” che, tanto in una sezione dedicata agli uccelli, quanto in un'attestazione riservata invece a specificare il nome degli alberi, degli arbusti e dei cespugli, relega ad ogni creatura vivente e virente una corrispondente denominazione che si articola in italiano, in latino e nella forma antica del vernacolo parlato che a Brescia trova espressione in un caratteristico accento pronunciato.
Il libro muove la propria regia di rappresentazione esplicativa in quanto, fra una decina di capitoli, trova, fra l’altro, una evocativa figurazione coincidente con un’esaustiva e chiara spiegazione: “L’appostamento fisso di caccia selvaggina migratoria si presenta oggi come una struttura di alberi generalmente a semicerchio intorno ad un capanno di varia forma, non troppo vistoso, spesso mimetizzato da cespugli e rampicanti. Gli alberi che formano il semicerchio sono piante di buttata principali, adeguatamente potate, poste a distanza regolare, alcune delle quali ala sommità sono completate con secchi uniti alla pianta in maniera del tutto naturale. Tra una pianta e l’altra sono poste pertiche orizzontali ben evidenti, a volte in doppia fila, con funzione di posatoi. Dalla base degli alberi al capanno si sviluppa la piazza che è tenuta ad erba e nella quale generalmente vengono collocati bassi cespugli”.
Anche grazie all’ausilio di numerose immagini fotografiche a colori, tale accennata ambientazione appare nel libro spiegata pure da una carrellata di pratiche individuazioni di ciò che, in un effettivo e riscontrabile contesto aderente ad una armonia di compatibilità naturale, ha le fattezze e le peculiarità delle caducifoglie insite nella rispettiva varietà arborescente del “Bagolaro (Celtis australis) chiamato anche Spaccasassi o Romiglia”, del Biancospino, del Caprifoglio, del Ciliegio Canino, del Ciliegio Selvatico, del Corniolo, dell’Edera, della Fitolacca, della Fusaggine, del Ginepro, della Lantana, del Ligustro, del Melo Selvatico, del Prugnolo, della Rosa Canina, del Rovo, del Sambuco, del Sanguinello, dei Sorbi, sia Montano che del tipo Ciavardello e di quello, non a caso, chiamato “degli Uccellatori” e dello Spino Cervino che sono state censite, fra le ricorrenti specie erbacee e dei frutti connessi a questo composito insieme di vita vegetale diversificata nelle manifestazioni autoctone dei territori bresciani. |
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