certo che son civette diego, quelle che si vedan chiaramente, ma credo che quelle fossero i richiami, non le prede, io intendevo e credo anche lei, quello che si vede rinvolto in quello straccio o fodero bianco......

sì esatto, mi riferivo a quel "qualcosa" avvolto in nel fodero che si vede nel dettaglio della foto che ho postato nella pagina precedente
 
bel dipinto, purtroppo e' la prima volta che vedo quei bastoni con i cerchi, qui' ci voleva qualche nonno che forse in gioventu' ha usato quell' attrezzatura,
concordo con diego sui bacchetti col vischio che mi sembra si distinguano abbastanza bene infoderati nella cesta del secondo civettaro......
 
Re: Civette e "civettari"

Io ho praticato alcune volte anche la caccia in maremma con il civettaio.
L'appuntamento col civettaio era presso un locale del luogo dove non arrivava nè il treno ne l'autobus, per cui occorreva per forza avere l'auto. Allora non eravamo tantissimi ad averla e a poter andare nei giorni lavorativi.
Così anche se arrivavi alle 7 del mattino trovavi sempre un civettaio ad aspettarti.
Poi da li con la macchina si partiva per il luogo di caccia che in genere era un luogo di passo (o al passetto come dicono alcuni).
 
Magnifico! Grazie! :eek:
Ho fotografato più nel dettaglio alcuni particolari, eccoli:
questi quindi sono i bastoncini da posizionare a raggiera sui cerchi
bastoncini.jpg
mentre questo dettaglio potrebbe quindi essere una preda viva?
preda.jpg
che cosa la avvolge?
 
Dal punto di vista storico-artistico, l'opera testimonia l'interessamento da parte di alcuni artisti e intellettuali d'inizio Novecento verso le condizioni d'indigenza degli abitanti dell'Agro Romano; un interessamento che ebbe importanti risvolti concreti, infatti furono costruite numerose scuole per combattere l'analfabetismo.
Diversi dipinti dell'epoca celebrano la società dell'Agro, povera e abbandonata a se stesso ma allo stesso tempo dignitosa e rispettabile, raffigurando la campagna e le persone che la abitavano in modo solenne, come le figure dei due civettari la cui maestosità è messa in rapporto alle antiche rovine sullo sfondo.

Immaginavo questa scena al tramonto, ma stando alla testimonianza di osservatore romano questo tipo di caccia si svolgeva all'alba
 
Magnifico! Grazie! :eek:
Ho fotografato più nel dettaglio alcuni particolari, eccoli:
questi quindi sono i bastoncini da posizionare a raggiera sui cerchi
Vedi l'allegato 59640
mentre questo dettaglio potrebbe quindi essere una preda viva?
Vedi l'allegato 59641
che cosa la avvolge?

no paola, non mi sembra una preda viva, direi piuttosto un altro fodero con i bacchetti visti dalla parte dello spillo che serviva per infilarlo nel legno, o comunque chissa' che altro...
le prede di solito erano uccelli piccoli, il piu' grosso era l' allodola, se venivano presi per rivenderli vivi ( difficile per quell' epoca ), venivano ripuliti dal vischio e messi in un sacchetto di stoffa o in una gabbia apposita bassa e larga che poteva contenere parecchi uccelli......
 
L'artista in questione è Vittorio Grassi, 17 aprile 1848, 22 agosto 1958. Un impiegato della banca d'Italia prestato all'arte, un artista poliedrico, affascinato da ogni campo figurativo, anche applicato su vasi di ceramica della fiorentina Richard Ginori, fino alle scenografie e grafiche. Forse risente dell'influenza del naturalismo francese che in Italia diverrà il verismo dove l'artista è un fotografo, un realismo che traspare anche da questo dipinto che provo ad interpretare avendo fatto la caccia con la civetta. E' l'alba il periodo è il passo di ottobre, i soggetti sono attempati direi sicuri della riuscita della cacciata, la civetta l'attore primario che veniva issata su una pertica con un sughero da damigiana con delle bretelle alle gambe, era attrattiva una specie di sindrome di Stoccolma, dove la civetta diventava il carnefice sia per le lodole ma anche per tanti altri uccelletti tipo ballerine, pispole, fossacci, filunguelli, montanelli ecc. tutti era curiosi e si avvicinavano per una attrazione atavica e inconsueta, cercando di interpretare il disegno credo che questi uccelletti si buttassero sul cerchio issato vicino sull'altra pertica e raggiato con dei bastoncini inpaniati con il vischio cadevano a terra, venivano presi e messi dentro gli staccini che si intravede se servivano vivi altrimenti una strizzata al capo e via, una pratica molto diffusa e una pregevole risorsa di carne. La tradizione delle civette trova ancora oggi tanti appassionati alla fiera di fine settembre a Crespina (PI) che rievoca i " civettari " quando e quanto erano una risorsa del territorio.
 
L'artista in questione è Vittorio Grassi, 17 aprile 1848, 22 agosto 1958. Un impiegato della banca d'Italia prestato all'arte, un artista poliedrico, affascinato da ogni campo figurativo, anche applicato su vasi di ceramica della fiorentina Richard Ginori, fino alle scenografie e grafiche. Forse risente dell'influenza del naturalismo francese che in Italia diverrà il verismo dove l'artista è un fotografo, un realismo che traspare anche da questo dipinto che provo ad interpretare avendo fatto la caccia con la civetta. E' l'alba il periodo è il passo di ottobre, i soggetti sono attempati direi sicuri della riuscita della cacciata, la civetta l'attore primario che veniva issata su una pertica con un sughero da damigiana con delle bretelle alle gambe, era attrattiva una specie di sindrome di Stoccolma, dove la civetta diventava il carnefice sia per le lodole ma anche per tanti altri uccelletti tipo ballerine, pispole, fossacci, filunguelli, montanelli ecc. tutti era curiosi e si avvicinavano per una attrazione atavica e inconsueta, cercando di interpretare il disegno credo che questi uccelletti si buttassero sul cerchio issato vicino sull'altra pertica e raggiato con dei bastoncini inpaniati con il vischio cadevano a terra, venivano presi e messi dentro gli staccini che si intravede se servivano vivi altrimenti una strizzata al capo e via, una pratica molto diffusa e una pregevole risorsa di carne. La tradizione delle civette trova ancora oggi tanti appassionati alla fiera di fine settembre a Crespina (PI) che rievoca i " civettari " quando e quanto erano una risorsa del territorio.

.....CHAPEAU!!!!!.....O.R. Grande come sempre....
 
Riprendo questo vecchio topic per chiedervi un parere :)
Mi occupo di beni culturali e ho avuto occasione di studiare un dipinto che raffigura dei cacciatori romani di inizio Novecento.
Nonostante le ricerche che ho effettuato, non sono riuscita ad identificare gli oggetti che i cacciatori trasportano.
Ho pensato di rivolgermi a voi per chiedere un parere, augurandomi che questo documento storico (il dipinto si intitola "I civettari" ed è del 1913) possa suscitare il vostro interesse.
Un ringraziamento a chi vorrà intervenire
a11_Vittorio Grassi, I civettari (1913).jpg
 
Io sapevo che per catturare la civetta si usava la civetta viva come esca, perché sono molto territoriali e vedendo un consimile gli davano addosso rimanendo invischiate. Solitamente la caccia alle civette veniva fatta vicino a ruderi e cimiteri all imbrunire della sera. Questo è ciò che mi hanno raccontato e diciamo che i pisani erano abbastanza famosi x le civette sul pomello, come lo dimostra la fiera delle civette
 
Re: Civette e "civettari"

Spettacolare... Questa cosa mi mette un pò di nostalgia pensando al mio nonno che non ho più da circa due anni, che ha praticato questa caccia fin da bambino...
 
Re: Civette e "civettari"

E' questione di punti di vista!
Io l'ho praticata quella caccia e me la ricordo con passione e con amore. Ciò nonostante preferirei avere la vostra età e ovviamente non averla praticata.
E' sempre questione di punti di vista!
 

Diego

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Oggi sul Bresciaoggi è stato pubblicato un bellissimo articolo sull'affascinante mondo che fù(purtroppo [tenerezza.gif] ) quello della caccia con la civetta....sono sicuro che a molti di voi, nel leggere questo articolo, si struggerà il cuore ripensando ai tanti ricordi che ha lasciato questa bellissima forma di caccia.
Ciao

REMO ZANARDINI. Ha cominciato a setto-otto anni, seguendo il genitore. «Poi le nuove leggi mi hanno obbligato a smettere»
Una vita da cacciatore di civette
«Per mio padre era un modo d’arrotondare lo stipendio: le rivendeva ai cacciatori. Per me era soprattutto un divertimento»

Di Gian Battista Muzzi

Nel 1983 fu proibita la caccia con la civetta quale zimbello per le allodole e altre specie cacciabili di passo. Solo i cacciatori che già detenevano una civetta potevano continuare per altri cinque anni quel tipo di caccia; bastava ottenere una dichiarazione dall'assessorato Caccia e Pesca, che allora aveva la sua sede in via Galileo Galilei, accanto all'Archivio di Stato.
Finiva così una millenaria tradizione venatoria, venuta dall'oriente e magnificata dall'imperatore Federico II di Svevia con il famoso trattato «De arte venandi cum avibus», l'arte di cacciare con gli uccelli (rapaci), la falconeria; ma si poneva fine anche alla tradizione della zimbellatura.
Le cause di questa fine sono molteplici, non ultime la battaglia proibizionista di certi movimenti animalisti e le difficili condizioni di alcune specie dell'avifauna. Finiva anche una fase della vita per Remo Zanardini che, della cattura delle civette, aveva fatto un divertimento e una professione; più ancora che della caccia, della quale è rimasto un appassionato.
«Ho cominciato a catturare le civette quando avevo sette o otto anni - dice Zanardini -, andavo alla scuola elementare. È stato mio padre ad insegnarmi. In verità, ha tentato di insegnare anche ai miei fratelli, ma io sono stato l'unico che ha continuato sulle sue orme. Visto che i miei fratelli avevano paura, lui, per forgiarmi, mi portava davanti ai cimiteri di notte e mi lasciava là delle ore, intanto che andava a prendere le civette; poi veniva a ritirarmi. E questo l'ha fatto fino a quando non gli ho più detto che avevo paura. Ma non avevo mai avuto paura».
Suo padre usava le civette per la caccia alle allodole?
«Anche, ma soprattutto le vendeva ai cacciatori e cercava di arrotondare il suo stipendio. Per me, invece, era un divertimento. A circa 14 anni, cogliendo l'occasione di una sua assenza temporanea, ho cominciato ad andare per civette da solo. La prima volta sono andato a Capo di Monte, frazione di Castenedolo, e in quell'uscita una delle reti è andata a picche perché invece di una civetta mi è entrato un grosso cane. È fuggito strappando tutte le maglie... Il problema fu dirlo a mio padre».
«In seguito andavo anche dietro l'ospedale psichiatrico di viale Duca degli Abruzzi, dove c'erano le cascine dei Gussago e degli Apostoli: c'erano dei bellissimi luoghi adatti per dispiegare le reti. Allora non c'erano tutte le auto di oggi. Oppure, alle sei del pomeriggio, dopo essere uscito dall'officina meccanica dove lavoravo, partivo con la moto ed i miei attrezzi e me ne andavo più lontano; stavo fuori fino alle due-tre di notte».
I cacciatori abbattevano la selvaggina con l'aiuto della civetta. Lei come catturava le civette?
«Le tecniche per la cattura delle civette sono semplici ma anche complesse. La rete è alta un metro e 60-80 centimetri ed è lunga 25 metri. È una semplice rete rettangolare e diritta, usata solo ed esclusivamente per i rapaci notturni, che vi sbattono e tentano di afferrarla con gli artigli, ma vi si ingarbugliano; il suo nome dialettale è antanèl. Le reti erano dipanate e tenute tese, parallele ai filari dei gelsi e delle viti, sollevate una ventina di centimetri da terra».
Ma non è bassa rispetto alla posizione nella quale si trova la civetta sull'albero? Come faceva a farla entrare?
«La civetta può appoggiarsi sui tetti delle case, sui pali o sulle piante non esageratamente alte. Quando spicca il volo, s'abbassa repentinamente e vola circa ad un metro da terra, vola raso. Perciò quella è all'altezza giusta perché c'entri la civetta».
Chi spinge le civette ad entrare nella rete; da che cosa vengono attirate?
«Vengono ingannate, come loro ingannano gli uccelli quando sono sulla zimbelliera, sul trespolo. Per attirarle si fa il verso del maschio, attraverso uno strumento detto il richiamo. Lei non resiste al richiamo e spicca il volo, finendo nella rete. Mio padre aveva un richiamo per le tortore, rimodellato per le civette. Lo conservo ancora».
Girando, solo, nelle campagne di notte ha avuto delle sorprese?
«Ho incontrato spesso le guardie venatorie e talvolta mi hanno fatto il verbale. Multe ne ho mai pagate perché ho sempre dimostrato di essere in buona fede. Sono stato bersaglio di alcune fucilate, piuttosto. Purtroppo la gente superstiziosa pensava, e pensa ancora, che quando la civetta canta vicino ad una casa qualcuno della famiglia dovrà morire. Così m'è capitato che, per scacciare la civetta, sparassero anche contro di me. M'hanno lanciato contro anche sassi, e, addirittura, un badile».
Qual è il periodo più propizio per la cattura delle civette?
«Cominciavo le catture a metà agosto. Le nuove nidiate erano ormai cresciute e i pulcini completamente sviluppati. Se catturavi al primo colpo la femmina, era facilissimo catturare anche i novelli che le stavano intorno. Dirò di più: delle civette catturate entro la fine di agosto ne muore forse l'1 per cento. Tra quelle catturate dall'inizio di settembre al 20 c'è una moria del 20-25%, causata dallo stress di cattività. Delle civette catturate durante il mese di ottobre ne muoiono più del 50 per cento».
Come si nutrono le civette in cattività?
«Per mantenerle in gabbia fino all'inizio della stagione venatoria le nutrivo con la carne, il cuore di cavallo o di bue, uccellini e topolini. I topolini li prendevo allo Zooprofilattico, quelli che erano serviti da cavie, oppure i pulcini che scartavano le grande aziende tipo la Cibazoo>>



IL RICORDO. «Ho una certa nostalgia per le notti passate tra i filari dei gelsi. Quegli animali erano uno dei grandi amori della mia vita»
«La sera al parco di S. Polo le chiamo e rispondono»
«Sono riuscito a catturarne anche 44 in una sola uscita»


Remo Zanardini ha ormai 69 anni e la cattura delle civette se l'è scordata. Però, la sera, con la moglie parte in cerca del silenzio anche nel parco di San Polo e azzarda qualche richiamo. Le civette, che come i merli si sono inurbate, gli rispondono.
«Dopo averle sentite sono contento e vengo a casa con una certa nostalgia per le notti passate tra i filari dei gelsi. Le civette, con mia moglie e le mie figlie, costituiscono i tre grandi amori della mia vita».
Quante civette catturava, per notte?
«Dipendeva dalla notte. Se era tranquilla, senza vento, potevo catturarne in media una ventina. Ma anche di più. M'ero posto l'obiettivo di catturarne cinquanta; invece, la migliore mia cattura è stata di 44 in una notte».
Anche se era munito di permesso per la cattura della civetta nel territorio provinciale, spesso, a suo rischio e pericolo migrava, come lui stesso sostiene, verso altri lidi. Ha frequentato il Friuli, la Toscana, la Sicilia e la Puglia: tutte regioni nelle quali faceva un buon bottino.
Le civette dovevano essere consegnate ai Centri di raccolta per essere distribuite ai cacciatori che ne facevano richiesta. Il nostro civettaro dichiara che ha sempre trovato chiuse le porte di questo centro situato in Borgosatollo.
E delle civette che faceva?
«Le regalavo ai miei amici - mi risponde con un sorriso che cela un'altra risposta -. Ne avevo tanti e le civette non erano mai sufficienti. Sulla carta dell'autorizzazione di parla di "cattura e cessione" di civette. Io, perciò, ero in regola».
Lei ha cacciato molto con la civetta. Com'è questo tipo di caccia?
«Le si mette una braghetta e la si lega al palo sulla cui punta è fissato uno gabellino, la zimbelliera. La corda, di solito è lunga 50-60 cm o anche di meno. Quando, per esempio, era ferma e non aveva voglia di volare sul trespolo, per farla muovere le dicevo: "dai, ciccina, su..." e lei, trac, faceva il volo e si posava in vista per le allodole. Era un piacere parlarle e una compagnia. La civetta serviva per attirare le allodole o altri uccelli che amavano giocare con lei. La preda, insomma, veniva portata a tiro. Prima di concludere, però, voglio dire che la civetta era liberata, alla fine della stagione di caccia e ritornava in libertà. L'affermazione degli animalisti che noi la facevamo soffrire era infondata».G.B.M.

http://www.bresciaoggi.it/ultima/oggi/cronaca/Aae.htm
http://www.bresciaoggi.it/ultima/oggi/cronaca/Bae.htm
 
Re: Civette e "civettari"

quando ero piccolo sono andato diverse volte con un mio zio di notte con il richiamo e un palo fatto a posta che quando si appoggiavano restavano bloccate per le gambe, quanta nostalgia...........
 
Re: Civette e "civettari"

ggramoli ha scritto:
E' questione di punti di vista!
Io l'ho praticata quella caccia e me la ricordo con passione e con amore. Ciò nonostante preferirei avere la vostra età e ovviamente non averla praticata.
E' sempre questione di punti di vista!

Io invece mi tengo i miei anni ed il ricordo nostalgico di quei momenti.
E' stata la caccia che piu' ho amato in assoluto!
Ho iniziato da ragazzino ad allevare le civette.
Allevavo per me le civette che prelevavo dal nido (sotto le tegole del tetto di casa mia).
Le altre andavo a catturarle gia' adulte, per venderle.
Mi ricordo che avevo "stretto rapporti" con tutti i macellai della zona per fami tener da parte il cuore oppure il "grifio" (il labbro del vitello). Quando poi ero in giro per le strade non mancavo di fermarmi per raccogliere gli sventurati uccellini vittima delle automobili. Erano, per le mie civette, un pasto prelibato.

La sera nei mesi di luglio e agosto, quando le civette, animali fortemente territoriali, entravano in competizione per nuovi territori, montavo il mio "cerchio" con tanti bastoncini intorno, cosparsi di pania o colla x topi.
In mezzo al cerchio la mia civetta e poi via...in cerca di vecchi ruderi o casolari abbandonati (una volta, una sola..... vicino a un cimitero...)
Le civette, alla vista dell'intruso, si avventavano per allontanarlo ma rimanevano "incollate" nei bastoncini "appiccicosi" che si staccavano dal cerchio e cadevano a terra assieme alle civette, le quali rimanevano immobili e si facevano catturare senza fatica.
Era una pratica proibita ma......
Non era tanto il bisogno economico quanto la passione.
A casa ripulivo con la cenere le piume delle civette catturate e la mattina dovo andavo a rivenderle.
I cacciatori le compravano per tenerle un paio di mesi. Poi finito il passo le liberavano.

Io invece tenevo le mie tutto l'anno, per tanti anni.
Ricordo ancora, con tanto amore e nostalgia, una mia civetta "la Cecca" (in effetti era un maschietto) che portavo in giro per le colline, facendole fare "i ritornelli" senza legarla al bastone. Aveva le calzette ma non usavo quasi mai legarla con il filo.
Lodole, pispole, schiattaioni....arrivavano di corsa attratti dall'insolito richiamo.
Uno spettacolo.....
Scusate, vi sto annoiando ma credetemi....e' stata una grande passione!

Mi ha fatto enorme piacere leggere quell'articolo.
 
Io sapevo che per catturare la civetta si usava la civetta viva come esca, perché sono molto territoriali e vedendo un consimile gli davano addosso rimanendo invischiate. Solitamente la caccia alle civette veniva fatta vicino a ruderi e cimiteri all imbrunire della sera. Questo è ciò che mi hanno raccontato e diciamo che i pisani erano abbastanza famosi x le civette sul pomello, come lo dimostra la fiera delle civette
Esatto Marco.
 
Re: Civette e "civettari"

mio padre mi raccontava di quando andavano in maremma ad allodole in 5 stipati su un 1100 (le macchine erano poche) e quando arrivavano nel grossetano ai bar c'era questi nonnini con la civetta che andavano con il cacciatore in affitto tutto il giorno!!! che bei tempi li veramente noi cacciatori eravamo gente amata non ora che siamo peggio di bin laden [violent.gif]
 
Re: Civette e "civettari"

allodola maschio ha scritto:
mio padre mi raccontava di quando andavano in maremma ad allodole in 5 stipati su un 1100 (le macchine erano poche) e quando arrivavano nel grossetano ai bar c'era questi nonnini con la civetta che andavano con il cacciatore in affitto tutto il giorno!!! che bei tempi li veramente noi cacciatori eravamo gente amata non ora che siamo peggio di bin laden [violent.gif]

Quella caccia, itinerante e con il civettaro in affitto era chiamata "alla pisana".....
 
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