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Folaghe alla Puccini (alla mia maniera)(di Luciano Scarselli)
Nel 1971 fui assunto, presso il Laboratorio di Igiene e Profilassi di Lucca .
L'ambiente di lavoro era abbastanza familiare ed ebbi l'occasione di conoscere un tecnico di laboratorio di nome Tirreno, residente a Quiesa, nel comune di Massarosa.
La comune passione per la caccia ci legò in un profondo rapporto di amicizia e per una diecina d'anni e più, formammo una coppia inseparabile, sparando ad allodole e beccaccini nella Bonifica di Massarosa e scivolando con il "barchino" lungo i fossi del padule del lago di Massaciuccoli.
All'epoca non vi erano ancora molte restrizioni: mi pare che, specialmente i primi anni, si potesse cacciare fino al 31 di marzo.
Era un periodo magico sia per il clima primaverile sia perché i falaschi ed i giunchigli si riempivano di uccelli che ritornavano a nidificare. Oltre alle "acquatiche" (gallinella d'acqua) sempre presenti, cacciavamo beccaccini, pappardelle (voltolini), sghiribille, porciglioni e frullini che incalzati dai cani, dopo breve e nervosa ferma si involavano, alcuni sfrecciando altri volando pesantemente a pochi centimetri dalle cime dei giunchi.
Le fucilate a beccaccini erano spesso impegnative, ma gli uccelli neri davano più soddisfazione per l'azione del cane che non per la schioppettata. Le pappardelle (dette anche quaglie di palude) erano veramente divertenti, reggevano la ferma ma pedinavano tra i giunchi e il cane doveva spesso dare tutto se stesso per seguirle e levarle.
La mattinata passava in un lampo e spesso non bastavano due cartucciere.
Da ottobre fino a febbraio marzo si camminava con gli stivali a coscia nei "segati", su terreno infido, badando di appoggiare i piedi su cesti di giunco e guadando con circospezione stretti fossi che dividevano ampi spazi di terreno paludoso, dove beccaccini ed uccelli neri trovavano abbondanza di cibo negli acquitrini.
Mi è capitato, diverse volte, di "abboccare " un po' d'acqua con gli stivali e qualche volta è capitato pure di sprofondare fino alla vita nella melma e nella torba, anche in pieno inverno.
La nostra giornata tipo cominciava con un buon caffè corretto preso in casa o alla "Baracca", poi con la macchina raggiungevamo la Piaggetta e, dopo aver caricato fucili e cani sul barchino, dirigevamo verso il Ferro di Cavallo e cominciavamo subito a cacciare.
Con i cani sulla prua impazienti di scendere per incontrare i selvatici, si caricavano i fucili e ci si portava lungo il ciglio del canale.
Il barchino veniva pilotato dal mio amico, ritto a poppa , con un lungo remo che fungeva da spinta e da timone, io sedevo verso prua pronto ad imbracciare il fucile.
Col tempo imparai anch'io a remare e guidare il barchino con un solo remo, in modo che potevamo sparare a turno.
Scesi i cani, si scivolava lungo il ciglio del canale facendo attenzione all'azione di cerca e cercando di cogliere al volo le improvvise apparizioni dei "rallidi" tra i giunchi ed il falasco.
Spesso capitava di vedere una folaga tuffarsi ed anche qualche becco piatto.
Le fucilate venivano sparate d'istinto in quanto gli uccelli levati, dopo un breve volo radente all'acqua, cercavano di recuperare immediatamente la riva davanti o dietro al cane che li aveva braccati.
Abbiamo sempre avuto cani eccellenti fermatori e, all'occorrenza, pronti a scovare il selvatico dai folti. In padule poi, il recupero dell'animale morto o ferito e la resistenza alla fatica ed alle intemperie sono caratteristiche irrinunciabili per avere un valido ausiliare.
Così cacciando raggiungevamo la parte più centrale del palude, dove erano diversi appostamenti fissi agli acquatici. Per rispettare la forma di caccia da appostamento, non scendevamo nei segati mai prima delle ore 10. A quell'ora di solito alcuni abbandonavano i capanni e comunque il passo rallentava molto e difficilmente potevamo disturbare qualche uccello che "credeva" alla tese.
Ciò ci permetteva di iniziare a cacciare col cane nei segati senza disturbare troppo gli appostamenti a cui ci avvicinavamo con rispetto. A volte capitava di scambiare due chiacchiere con i cacciatori ancora appostati e non di rado si approfittava per "merendare" tirando fuori il fiasco buono.
Altre volte, verso il mezzo del giorno, ritornavamo, spingendo con forza il barchino attraverso la fitta rete di fossetti, alla Piaggetta e qui approdavamo presso una baracca con "retone" che Tirreno aveva in custodia ed accudiva per certi amici di Lucca.
Appena scesi si toglieva il lucchetto all'argano di sollevamento del retone e si faceva la prima retata.
Quando il fondo della rete raggiungeva la superficie dell'acqua era tutto un agitarsi di piccoli corpi argentei mentre uno o due pesci più grossi (tinche, muggini o lucci) saettavano qua e là, fendendo la superficie dell'acqua,
Di solito bastava la sola prima retata per ottenere una giusta quantità di crognoli e piccoli muggini che, insieme ad una o due tinche tagliate a "rocchiotti", passavamo nella farina gialla e facevamo friggere in olio bollente.
Soddisfatti della cacciata, con l'appetito stimolato dal lungo spadulare, assalivamo con gusto la pastasciutta improvvisata (aglio, olio e peperoncino), l'insalata di pomodori e cipolla colti nell'orticello vicino alla baracca e il fritto croccante di pesce. Qualche bicchiere di buon vino, specialmente nelle giornate piovose e umide, contribuiva a scaldare l'atmosfera ed i nostri cuori.
Dopo un buon caffè, appoggiati al parapetto della baracca, si fumava una sigaretta ricordando i momenti più belli della cacciata e seguendo con lo sguardo voli di gabbianelle volteggianti sul pelo dell'acqua dove già ondeggiava una leggera bruma. A volte cercavamo di capire quale capanno avesse fatto la "scarica" seguita da due o tre colpi di ribattitura.
< Hanno sparato sul Ferro di Cavallo> dicevo
<Non credo, vedrai che era il capanno sulle "Quaranta ore"; è cambiato il vento e sta rientrando qualcosa > mi rispondeva l'amico.
Recuperate le forze noi ed i cani, riprendevamo a cacciare fino al calare del sole.

La caccia nel palude di Massaciuccoli è sempre stata fruttifera e divertente, ma spesso la natura selvaggia dei posti e le perturbazioni atmosferiche hanno messo a dura prova la nostra resistenza. In particolare ricordo un anno in cui tutti i canali erano gelati e per avanzare con il barchino dovevo rompere il ghiaccio davanti alla prua, mentre il mio amico remava. Comprendemmo che era rischioso avventurarsi in palude e rientrammo alla rimessa della barca. Il giorno dopo venimmo a sapere che due cacciatori erano caduti in acqua ed erano affogati a causa del freddo.
Un' altra volta, mentre stavamo rientrando, si levò un forte vento in quota che, rimbalzando contro i monti di Quiesa, ritornava radente verso il lago di Massaciuccoli. L'acqua cominciò ad incresparsi ed a schiumeggiare superando anche il bordo del barchino ed il vento faceva inclinare i canneti ed i falaschi fino a toccare la superficie dell'acqua; una fine pioggia gelata ci pungeva il viso e le mani.
Ci mettemmo entrambi ai remi, io con i "roccetti" (corti remi) ed il mio amico con il remo lungo e riuscimmo a rientrare, costeggiando i canneti al riparo del vento, solo a buio, infreddoliti e stremati.
La vita ci allontana e spesso ci divide, ognuno inseguendo chissà quali chimere, ma il legame che nasce tra due persone che trascorrono giornate cacciando insieme spensieratamente e che condividono rischi e pericoli sapendo di contare uno sull'altro, supera il normale concetto di amicizia.
Ho parlato di momenti trascorsi ed oggi irripetibili, non solo per l'età che avanza, ma anche per le innumerevoli restrizioni che sono state introdotte e per gli inevitabili mutamenti ambientali.
Oggi si caccia ormai solo fino alla fine di gennaio, la pioppeta della Bonifica tanto ambita dalle beccacce non esiste più, ormai è tutta una distesa di solo granoturco e col barchino non si può più cacciare lungo il ciglio dei fossi.

Rimane il ricordo ed una bella amicizia.

La ricetta (per quattro persone)

Prendendo come base la famosa ricetta delle "Folaghe alla Puccini" io utilizzo indifferentemente i vari uccelli neri (folaga, gallinella, porciglione, ecc.) per preparare un sugo di base da risotto o, con l'aggiunta di pomodoro, per condire delle pappardelle.
Gli uccelli d'avanzo potranno essere serviti su crostoni di pane tostato bagnati con il sugo ottenuto senza aggiunta di pomodoro. In pratica si prepara primo e secondo in una sola volta.

Preparazione degli uccelli.

Spellare gli uccelli (si fa prima che a pelarli), togliere il grasso evidente e separare il petto e le cosce. Gettare lo schienale, le ali e le ossa del bacino che sono responsabili di sapori troppo intensi e non sempre graditi (nel passato si usava passare ferri arroventati nelle parti interne).
Porre i pezzi di carne in acqua ed aceto per circa un'ora. Far rosolare per pochi minuti in poco olio, aggiungendo un po' di sale. Scolare i petti e le cosce e gettare il liquido che si forma.

Ingredienti

2 folaghe (oppure altri uccelli neri in numero sufficiente), poco meno di una cipolla, una carota, un gambo di sedano, timo, due/tre foglie di alloro, un bicchiere di vino rosso, un pò di brodo di carne (oppure dado e acqua calda), pane casalingo, poche bacche di ginepro (non previste nella ricetta originale), olio extra vergine di oliva, sale e pepe.

Procedura.

In un tegame mettete a rosolare, in olio extra vergine, il trito degli odori. Una volta appassiti gli odori, aggiungere i pezzi di uccelli prepararti come detto precedentemente. Rosolate per un quarto d'ora, bagnate col vino e fate ritirare.
Salate e pepate, aggiungete poche foglioline di timo, l'alloro e le bacche di ginepro e continuate la cottura per circa 40 minuti bagnando con il brodo.
A parte tostare delle fette di pane che bagnerete col sugo. Sulle fette adagiate i petti e le cosce e servite caldo.

Varianti


  1. Disfacendo uno o due petti e qualche coscia da aggiungere al sugo di cottura, si può ottenere la base per un ottimo risotto.
  2. Se si aggiunge un po' di pomodori pelati si ottiene un buon sugo con cui condire tagliatelle, "tacconi" ed altra pasta fresca.
 
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