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Il consumo di carne di selvaggina è in aumento? In molti Paesi sembra essere proprio così. Un fenomeno al quale anche il prestigioso National Geographic ha dedicato un servizio a firma di Kristen Schmitt, che cita anche alcuni esempi europei intervistando il segretario Face Filippo Segato e attraverso le informazioni fornite dal CNCN il progetto che vede coinvolti il Dipartimento di scienze veterinarie e salute pubblica dell’Università di Milano, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e la Società Italiana di Veterinaria preventiva sulla filiera della selvaggina, presentato insieme ad altri progetti alla fine dello scorso gennaio.
Nell’articolo si mette in evidenza come la tendenza a consumare cibo locale, quello che con una espressione ormai entrata nell’uso comune si indica “a KM 0″, si stia evolvendo in alcuni ambienti, anche se lentamente, nella pratica di consumare quanto si è cacciato o pescato da soli.
Negli Stati Uniti - nota l’autrice dell’articolo - dal 2006 al 2011 si è assistito a una crescita di questo fenomeno di più del 3%.
Per l’Europa, Kristen riporta alcuni dati forniti da Segato come quelli relativi alla Svezia, dove il consumo di carne di selvaggina è pari al 15% del consumo totale di carne e l’accettazione fra i cittadini della caccia è all’87%, sicuramente dovuto all’abitudine e alla diffusione del consumo di carne di selvatici cacciati, appunto.
Negli Stati Uniti la percentuale di favore per la caccia è attualmente al 79%, aumentata di 5 punti rispetto agli ultimi anni e secondo l’autrice può essere dovuto anche in questo caso alla crescita di nuovi praticanti più interessati alla selvaggina per motivi alimentari che al fine di collezionare trofei.
Ma come possiamo essere sicuri della salubrità della carne cacciata? si chiede Kristen. La risposta può essere proprio il modello italiano di filiera controllata della selvaggina, dal suo abbattimento fino al consumatore. Il progetto, come è noto agli appassionati italiani che già hanno avuto modo di conoscerlo attraverso presentazioni e articoli sulla stampa di settore e non solo, ha anche il fine di aumentare la consuetudine al consumo di selvaggina fra un più ampio pubblico, migliorando così anche la considerazione della pratica dell’attività venatoria nella società.
La caccia, ricorda infine la giornalista, ha un impatto ecologico assai inferiore dell’allevamento sull’ambiente e anche questo è un aspetto di cui si dovrebbe tenere maggior considerazione.
L’articolo, chiaro e ben strutturato, dimostra come la caccia, se presentata nel giusto modo possa trovare spazio anche sulle grandi testate - e sicuramente il National Geographic è fra le principali a livello mondiale per diffusione - e raggiungere così un pubblico più ampio e meno ideologicamente prevenuto.
Il testo completo, in inglese, è consultabile all’indirizzo Hunt, Fish, Eat: The Ultimate in Local Food | The Plate.
Ci auguriamo che anche l’edizione italiana della prestigiosa rivista lo proponga ai suoi lettori.
 
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