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Il Gargano e il Nero di ****

Un vitigno di antiche tradizioni, la leggenda narra che sia giunto nella regione per opera di Diomede

08/04/15
Il sole caldo di mezzogiorno illumina il promontorio del Gargano, lo stesso che poi saluta facendovi capolino al tramonto. Quella montagna ove trovano dimora vitigni autoctoni che dalla terra traggono quell’unicum di sapori, saperi e grinta, successivamente racchiuso in un calice. Uve da sempre avvezze a un terroir, aspro e assieme sorprendente, nel quale il rapporto con la cultura contadina si perde e si accavalla a vetusti locali destinati alla vinificazione.
Una regione costretta negli anni ad una posizione da “gregario”, altruista nell’offrire mosti capaci di donare struttura e corpo a più esili vini settentrionali o d’Oltralpe. Avvolto da un piacevole velo fiabesco, il fenomeno dei trani narra, infatti, i trascorsi di una Puglia “madre” di vitigni antichi, il cui animo sembra riflettere appieno il caleidoscopio di veemenza e di operosità delle genti locali. Tra questi, il Nero di **** ha conquistato il ruolo di protagonista, con quella fitta trama tannica che addirittura cinge i delicati profumi di bacche selvatiche del Gargano e di piccoli frutti rossi.
Sono incerte le vicissitudini di questo vitigno, che la leggenda vuole sia giunto nella regione per opera di Diomede, il quale, dopo la guerra di **** e portando con sé un ceppo di vite, approdò nei pressi dell’Ofanto, al termine di un lungo peregrinare nelle acque dell’Adriatico. Altre fonti, invece, rifacendosi all’assonanza tra **** e l’albanese Kruja o Cruja, mettono in evidenza tutt’altra provenienza del Nero. Ma la sua eleganza, la sua stretta appartenenza al terroir è un dato ormai certo per chiunque abbia avuto il desiderio e il modo di approfondire i trascorsi del vitigno, oppure di perdersi nella profondità di un rubino impenetrabile dei vini figli del Nero di ****.
È un vitigno complicato, dalla buccia spessa e soda, che richiede pratiche di vinificazione scrupolose per smussare la prepotenza del tannino, in passato responsabile di calici “rustici” e di difficile bevibilità. Va amato e compreso per rispettarne i tempi di maturazione (inizi di ottobre) e i ritmi scanditi dalla quasi mistica ciclicità delle stagioni a ridosso del promontorio del Gargano, che veglia e culla i filari sulle sue pendici. Quelle pendici dalle quali Valentina Passalacqua ha attinto la grinta necessaria ad un’inversione di tendenza e, al presente, trae linfa vitale indispensabile per proseguire la sua attività di viticoltrice.
È stato, infatti, l’amore a segnare il cammino di Valentina, un amore nato dapprima come sussulto o come ricordo di un’infanzia trascorsa tra i campi, e poi divenuto una passione irrefrenabile. Laureata in Giurisprudenza e all’inizio impegnata nella gestione dell’azienda estrattiva di famiglia (ad Apricena), era alla ricerca di stimoli differenti, che le permettessero di esprimersi appieno. Ma esprimersi per lei significava e significa tutt’ora non fermarsi a canoni precostituiti, quanto cercare una propria identità, spontanea e autentica. Sembra allora aver ritrovato in questo lembo di Altopiano Garganico, ricco di minerali e sassi, il proprio essere, quell’indole materna che la spinge a preservare l’ambiente per lasciarlo in eredità alle future generazioni.
La nascita della prima figlia, Giulia, la riporta alla fanciullezza passata a stretto contatto con la natura, le fa rivivere il ricordo del vento caldo, dei colori, dei profumi…un patrimonio che la giovane wine-maker decide di salvare dall’oblio. E così, prende forma il suo progetto di oasi biologica, interpretata non come l’ennesima moda del momento, destinata – dopo il periodo d’oro – ad un inevitabile tramonto, ma come alba e rinascita del terreno e del terroir.
Trattamenti ridotti al limite (esclusivamente zolfo e rame), utilizzo dei soli lieviti indigeni capaci – senza l’ausilio di “compagni” selezionati – di innestare la fermentazione, uve sane e favorevoli condizioni pedoclimatiche sono diretta espressione della filosofia aziendale e il ritratto fedele di Valentina. Il suo progetto è fare dei propri vini la chiara trasposizione dei vitigni autoctoni, gli unici che, adusi ad affondare le radici nella profondità delle rocce, sanno da queste prendere in prestito il meglio, per poi restituirlo nel bicchiere: Bombino, Minutolo, Greco, Falanghina, Nero di ****, Primitivo e Negroamaro sono, dunque, le varietà presenti, assieme al Montepulciano, connesso alla zona dai tratturi che univano l’Abruzzo alla regione.
È una dedica a questo lembo di Puglia e alfiere del territorio il Nero di **** Passalacqua: forte e deciso, richiama alla mente la brezza del vicino mare, la sapidità del suolo sciolto ed asciutto, e la freschezza dei 250 metri di altitudine. È anche fotografia dell’indole di Valentina questa etichetta che, non a caso, titola “Così sono”; un vino capace di incarnare la forte personalità della viticoltrice e le sfaccettature di un territorio non semplice.
Le altre etichette sono quintessenza del terroir e sembrano imitare quella montagna, tanto cara a Valentina, che abbraccia e protegge, a mo’ di culla, i suoi figli…quei vigneti così generosi nel donare il proprio nettare.


Manuela Mancino
 
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