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Testo a cura di Giuliana Lomazzi


Giornalista specializzata in alimentazione e gastronomia.
Autrice di di varie pubblicazioni

Ormai da secoli il pepe occupa un posto d'onore nelle nostre cucine: macinato, compare a tavola insieme al sale; intero, aromatizza salumi e conserve salate. Come sappiamo benissimo, si tratta del pepe nero o di quello bianco, che sono sempre lo stesso frutto a due stadi di maturazione diversa – il secondo è più maturo e decorticato. Però c'è anche il pepe verde, che è sempre la stessa bacca raccolta allo stato acerbo e conservata in salamoia o liofilizzata; con il suo gusto fresco ed erbaceo, arricchisce le salse e il classico filet au poivre. E se i frutti maturi vengono trattati allo stesso modo di quelli acerbi, ecco che si ha il pepe rosso, piccante e aromatico. Le cose cominciano a complicarsi... Se poi consideriamo altri rappresentanti del genere Piper, ci ritroviamo con un albero genealogico del tutto inatteso. Scopriamo per esempio il pepe lungo, il primo arrivato in Europa ma poi scomparso davanti all'avanzata del fratello nero. Più aromatico di quest'ultimo, sembra una spighetta fatta di granellini grigi fusi tra loro. Aromatizza gli achar indiani (sottaceti agrodolci), gli stufati etiopi, il misto di spezie tunisino e marocchino detto ras el-hanout. Le medicine tradizionali indiana e cinese gli attribuiscono molte proprietà, tra cui quelle analgesiche, riscaldanti, afrodisiache. Dall'Indonesia arriva invece il cubebe, tuttora usato in alcuni piatti dell'arcipelago. Simile al pepe nero, se ne distingue per un “codino” dritto e per il colore grigio-bruno. Già nel '500-'600 veniva importato in Europa, ma piaceva meno perché il gusto è acre e pungente. Così, oggi per noi è un emerito sconosciuto.
Sempre allo stesso genere appartengono il peruviano matico e l'indiano betel, di cui però si usano le foglie. Il primo viene impiegato a scopo terapeutico per le proprietà astringenti ed emostatiche, mentre il secondo è utilizzato come masticatorio o per avvolgere una miscela di noci di catecù (dette, non a caso, di betel), scorza di limetta e spezie: se ne ottiene la **** stimolante che arrossa denti e gengive degli indiani che ne fanno uso.
Il ben noto pepe rosa, le cui bacche essiccate vengono apprezzate per il gusto lievemente piccante, delicato e aromatico, è invece il frutto di una pianta sudamericana ed è detto anche falso pepe. Al pari del fratello vero, può arricchire gradevolmente molti piatti.
Di colore rosso è poi il pepe di Sichuan, raccolto da un tipo di frassino cinese. Ha gusto aromatico, fresco e piccante. Viene spesso tostato e usato intero, con carne e verdure, oppure mescolato con sale grosso e usato come condimento. In India condisce il pesce, in Tibet dà sapore al ripieno dei ravioli, in Giappone completa la miscela detta shichimi togarashi (composta da scorza di arancia o mandarino, peperoncino, sesamo bianco e nero, semi di papavero, alga nori), in Cina completa la famosa miscela di cinque spezie (anice stellato, semi di finocchio, cannella, chiodi di garofano).
Pur senza illuderci di aver esaurito il discorso, ricordiamo ancora il pimento, o pepe della Giamaica, le cui grosse bacche hanno un gradevole sapore che fa pensare a cannella, pepe nero, chiodo di garofano e noce moscata – da cui il nome francese di toute-épice e quello inglese di allspice. Per questa sua particolarità, il pimento viene utilizzato anche per insaporire gli impasti dolci.
 
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