Pap, leggendo la tua ricetta il mio colesterolo sbava e strabuzza gli occhi, il medico di famiglia mi comunica regolarmente che devo fare i controlli, ma io per paura di pagare i danni per la staratura degli apparecchi, lo lascio scrivere................................................................., meglio le costatine di maiale dove si trova anche il filetto, da non confondere con le trinche.
piero
 

papararo

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sempre nella linea cucina semplice: 1 costina di maiale,1 braciola di maiale, 1 pezzetto di salsiccia al finocchietto ,saltate in tegame con porro abbondante ed un po' di sale un impressione di olio evo, una sfumatina ina ina di bbrandy,dopo la rosolatura aggiunta una scatola di polpa ed un cucchiaio di concentrato(io uso una marca che usa solo pom italiani e' cara ma...) cucinare oretta a fuoco lento con questa ho condito dei rigatoni integrali( x la glicemia altina) mescolandola con ricotta di bufala,ma va bene anche di pecora o vaccina ''buona''
pap
 
Pap...ti do un compito da buon siciliano.......devi postare la ricetta della pasta 'ncasciata...ma no quella che posso trovare io su internet...quella che si fa nella case...original...traditional...
Smuovi nonne, zie, chi ti pare........dajeeeee....
 
Dale ricerche ho trovato questo....forse ti riferisci a questo?

[h=2]La cucina opulenta del Gattopardo[/h]

Prima del 1870 e dell’Unità d’Italia in Sicilia regnava il maggiorasco, un diritto ereditario che prevedeva come il patrimonio familiare rimanesse indivisibile e venisse ereditato solo dal primogenito. Per i fratelli minori si prospettavano dunque la povertà, anche se provenivano da famiglie ricche e aristocratiche.
Il pensiero di guadagnarsi dei soldi lavorando, non gli balenava certo per la mente. E dunque ai nobili di secondo grado non rimaneva che la carriera ecclesiastica. Per alleggerire la durezza del loro destino i figli e le figlie di principi, baroni, e conti cercavano di condurre una vita adeguata al loro stile di vita dentro le mura dei monasteri.
Questo in qualche modo spiega come mai la cucina feudale siciliana dell’Ottocento disponga di due stili differenti, che però in molti punti si assomigliano in maniera sorprendente. Da un lato c’è l’ostentazione tecnico culinaria del lusso dei grandi palazzi, dall’altro la generosa cucina dei monasteri, che si concedevano volentieri un monzu, sorta di cuoco a tre stelle dell’epoca. Uno dei monasteri più potenti e ricchi era quello di S.Nicola di Catania, la più grande abazia del mondo , dopo quella portoghese di Cisneros.
Federico De Roberto offre nel romanzo monumentale “I Viceré” un’immagine senza veli delle attività religiose:
“I monaci facevano l’arte di Michelasso: mangiare, bere e andare a spasso. Levatasi la mattina, scendevano a dire ciascuno la sua messa, giù nelle chiese, spesso a porte chiuse, per non essere disturbati dai fedeli; poi se ne andavano in camera a prendere qualcosa, in attesa del pranzo a cui lavoravano nelle cucine spaziose come una caverna, non meno di otto cuochi, oltre agli sguatteri.
Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattro carichi di carbone di quercia per tenere i fornelli sempre accessi, e solo per la frittura il cellario di cucina consegnava loro, ogni giorno, quattro vesciche di strutto, di due rotoli ciascuna, e due cafissi d’olio: roba che in casa del principe bastava per sei mesi.
I calderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bollire tutta una coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano; sulla grattugia due sguatteri, agguantata circa mezza ruota di formaggio, stavano un’ora a spiallarvela; il ceppo era un tronco di quercia che due uomini non arrivavano ad abbracciare, ed ogni settimana un falegname, che riceveva quattro tari e mezzo barile di vino per questo servizio, doveva segarne due dita, perché si riduceva inservibile dal tanto triturare.
In città, la cucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo di maccheroni con la crosta di pasta frolla, le arancine di riso grosse come un melone, le olive imbottite, i crespelli melati, erano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e poi gelati, per lo spumone, per la cassata gelata…”.

I Critici letterari sono del parere che se De Roberto non avesse scritto “I Viceré”, il Gattopardo non sarebbe stato scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Quest’ultimo, cresciuto con i nonni materni a Santa Maria Belice, aveva grande familiarità con la cucina del castello di Palma di Montechiaro, e perciò la descrizione del banchetto del Gattopardo va letta come una summa storica dell'epoca precedente all'unità d'Italia, dove sono protagoniste le abitudini gastronomiche delle classi nobili siciliane.

Nelle pagine di Giuseppe Tomasi di Lampedusa il cibo è elemento importante, che rimanda al nutrimento quasi per caso e subito si impone con la sua carica simbolica: basti pensare al «torreggiante timballo di maccheroni» servito a Donnafugata la sera in cui Angelica viene presentata in casa Salina, quando l'involucro di pasta dorata che racchiude un ricchissimo ripieno sembra il trionfante prodotto di venticinque secoli di gastronomia siciliana. Vale a dire di storia da gustare ed annusare. Nel timballo le fragranze si mescolano, ne esaltano il «prezioso color camoscio» ottenuto in virtù di un estratto di carne lontano anni luce dagli odierni dadi da brodo: realizzabile solo nelle nobili cucine governate dai Monzù, i cuochi che per tradizione perfezionavano la loro arte in Francia. Se l' ingresso di Angelica è una prova di forza e splendore, è il timballo ad essere incaricato di rappresentare la ricchezza simbolica della decadente nobiltà. Un piatto che diventa sociologico testimone, a cui Tomasi riserva parole affettuose e per una volta non malinconiche. In Sicilia l'arte della gastronomia è antichissima, molto stratificata. La fertilità della terra aveva finito con l' allontanare i coloni greci dalla loro abituale frugalità, tanto che nel IV secolo a. C. s' erano meritati i rimbrotti del filosofo Platone. A quell' epoca i cibi siciliani avevano già una loro storia, pare che il primo libro di cucina del mondo occidentale sia stato scritto dal siracusano Miteco, fondatore di una scuola che licenziava chef molto ambiti. Sembra che Siracusa fosse la Parigi del mondo classico, pronta a dettare le mode più stravaganti. E siciliani erano i cuochi più richiesti nella Roma imperiale. Nell'Isola la tradizione gastronomia sopravvive alla fine dell'impero, continua a sperimentare, si arricchisce di suggestioni arabe. La farina impastata con l'acqua e modellata in piccoli formati, seccata e poi bollita, cioè l'antenata della pasta, fa la sua prima documentata apparizione nella Sicilia del XII secolo. Il geografo arabo Idrisi ne descrive un formato chiamato itryah, sono vermicelli che si producono a Trabia in tale quantità da essere esportati in Calabria e nel mondo arabo. Sono un cibo di lusso, e nell'immaginario di secoli ricchi di fame la Sicilia da cui provengono sembra il paese di Bengodi.
Alla fine del Cinquecento, il segretario di Lucrezia Gonzaga scriveva a un suo amico: «veramente ti porto grande invidia, perché giungerai nella ricca isola di Sicilia e mangerai di que' maccheroni», cotti con grassi capponi e caci freschi, conditi con zucchero e cannella da «liberale e larga mano».


- - - Aggiornato - - -

[h=2]Timballo del Gattopardo[/h]
da taccuini storici

ll romanzo Il Gattopardo è stato pubblicato nel 1958 e narra la storia delle vicende significative del principe di Salina e della sua famiglia negli anni dell'unità di Italia, in una Sicilia reticente ai cambiamenti. Come ogni anno,da generazioni, i Salina si trasferivano con la bella stagione nel palazzo addormentato di Donnafugata. Come ogni anno veniva, in occasione del loro arrivo, riaperta la casa, organizzata da mani sapienti una cena solenne per accogliere gli amici di sempre e ribadire il potere immutato del principe. Quella sera nella grande sala entrò anche Angelica con la sua bellezza italiana, con la sua fisicità prorompente poco raffinata ma assai conturbante. Il nipote del principe, Tancredi, si innamora di lei; il principe la osserva rapito dalla sua spontaneità e dalla sua bellezza. Inizia la serata, le candele illuminano la tavola sontuosa, entra il timballo di maccheroni che l'autore così magistralmente descrive:
"L'oro brunito dell'involucro, la fraganza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall'interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l'estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio."
Questa antica ricetta siciliana è del 1860 ed è quella che più si avvicina alla descrizione fatta dal Tomasi di Lampedusa.
Ingredienti per 6 persone
400 ml sugo di carne, va bene l'estratto, 1/2 pollo lessato, 100 g funghi freschi o surgelati, 100 g fegatini di pollo, 200 g prosciutto cotto, tagliato a striscioline, 100 g di salsiccia, 120 g pisellini mignon, lessati al dente burro, 500 g maccheroni, parmigiano grattugiato, 3 uova sode a fette,
sale e pepe, un tartufo nero.
Per la pasta frolla
400 g di farina, 200 g di zucchero, 200 g di burro a temperatura ambiente, sale e cannella un pizzico, 4 tuorli d'uovo.
Per la crema pasticcera
3 cucchiai di zucchero, 3 tuorli d'uovo, 2 cucchiai di farina, sale e cannella un pizzico, 1/2 litro di latte.
Preparazione
Fare la pasta frolla impastando velocemente con le mani tutti gli ingredienti in modo da ottenere un composto omogeneo e lasciatela riposare un' ora coperta con un panno in frigorifero. Procedete poi a preparare la crema pasticcera che coprirete con la pellicola trasparente fino al momento dell'uso. Preparate poi delle polpettine, grandi come nocciole, con 200 g di carne tritata di pollo lesso mescolata a 1 uovo, 100 g di prosciutto cotto, 2 cucchiai di parmigiano, prezzemolo tritato e un pizzico di sale. Friggetele in abbondante olio e tenetele da parte. Fate insaporire in un po'di burro il pollo ed il prosciutto rimasti, tagliati a striscioline; aggiungete i fegatini, le salsicce, i funghi, le polpettine, i pisellini e cuoceteli per qualche minuto. Trasferiteli poi in una casseruola con qualche cucchiaiata di succo di carne e fate cuocere ancora per qualche minuto in modo che i sapori si mescolino bene. Lessate nel frattempo i maccheroni molto al dente, scolateli e conditeli con il sugo di carne, il burro, abbondante parmigiano e fateli raffreddare. Imburrate una tortiera ad anello di 30 cm di diametro e ricoprite il fondo ed i bordi con un terzo della pasta frolla che avrete steso sottile, circa 1/2 cm. E' importante che la pasta sporga un po'dai bordi in modo che con facilità possiate chiudere il timballo con l'altro disco di pasta. Disponeteci sopra metà dei maccheroni, distribuiteci sopra la finanziera di carne, le uova, spolverizzate con il parmigiano e il tartufo nero a lamelle, infine coprite con il resto dei maccheroni a cui darete una forma leggermente a cupola sulla quale verserete la crema pasticcera che farete penetrare bene. Ricoprite il timballo con la pasta frolla avanzata premendo bene i suoi bordi per farla aderire alla prima. Spenellate la sua superficie con dell'uovo sbattuto e fate cuocere per circa 45 minuti nel forno a 180 gradi. Prima di togliere l'anello, lasciatelo riposare per 5 minuti e servitelo subito.
 
Pap...ti do un compito da buon siciliano.......devi postare la ricetta della pasta 'ncasciata...ma no quella che posso trovare io su internet...quella che si fa nella case...original...traditional...
Smuovi nonne, zie, chi ti pare........dajeeeee....

le ricette sono centomila...la sicilia e' grande e eì' stata invasa da tutti....ti dico come la facciamo a casa mia:
1)melenzane; io uso le ''turche'' tonde e viola scurissimo ma in questa ricetta uso anche le ''seta'' tonde e viola piu' chiaro ,che pero' assorbono piu' olio.
tagliate a fette non troppo alte e messe per un due orette in acqua e sale,poi le risciacquo e le lascio in acqua,man mano che le vado friggendo le strizzo e le pongo su un canovaccio ad asciugare.ovviamente non vanno piu' salate. io non uso roba di serra quindi solo in stagione
2) salsa di pomodoro con poco trito di cipolla ,spicchio di aglio intero,olio evo e molte foglie di basilico a foglia.
in una teglia sul fondo pane grattuggiato, strato di melenzane,rigatoni conditi con la salsa , pezzetti di provola fresca od altro ''fondente'' e parmigiano grattuggiato,altro strato ecc. una spolverata di pane grattuggiato, coprire con carta forno ed infornare.
ottimale sarebbe usare al posto del parma, la ricotta infornata da grattugia ,ma si trova facilmente solo in prov di messina.
a volte metto anche un po di ricotta fresca e\o uva sode a pezzetti.
pap
 
Pasta "ncasciata" = messa in forma. Si tratta di pasta al forno con le ovvie variazioni. Ti passo la ricetta dal libro (Profumi di Sicilia) il libro della cucina Siciliana, di giuseppe Coria.
Soffriggere in olio 1 cipolla tritata o grattugiata fino ad imbionditura; unire il trito di 300 gr. di carne di maiale e 50 gr. di cotica, facendo insaporire per qualche minuto. Aggiungere 300 gr. di salsiccia col pepe secca, sfaldata a tocchetti; 2 spicchi d'aglio tritati; 1 cucchiaio di "strattu" (concentrato di pomodoro): una mescolata e quindi coprire con 1 litro d'acqua. Far cuocere finchè il sugo non risulti semidenso (controllare di sale soloi a questo punto). Facoltativa l'aggiunta di polpa di pomodoro (250 gr.).
Lessare un cavolfiore da 1 Kg., sgocciolarlo, tagliarlo a tocchetti, e farlo insaporire in padella con olio e un quarto di cipolla affettata. Cuocere 500 gr. di rigatini nella stessa acqua di cottura dei cavolfiori, e ben scolati metterli in una zuppiera: condirli con una terza parte del ragù e trito, una terza parte di cavolfiori ed abbondante cacio cavallo tagliato a fette sottilissime. Sistemare --- in una pirofila unta di olio o burro, spolverata di pan grattato --- la metà della pasta: su questo strato mettere un terzo del sugo, un terzo dei cavolfiori e pecorino; fare un secondo strato con l'altra metà pasta, e completare con l'ultimo ters
zo del sugo, e covolfiori, abbondando su quest'ultimo strato con pecorino grattugiato.
Buon appetito a tutti in particolare a LANDO.
piero
 
Pasta "ncasciata" = messa in forma. Si tratta di pasta al forno con le ovvie variazioni. Ti passo la ricetta dal libro (Profumi di Sicilia) il libro della cucina Siciliana, di giuseppe Coria.
Soffriggere in olio 1 cipolla tritata o grattugiata fino ad imbionditura; unire il trito di 300 gr. di carne di maiale e 50 gr. di cotica, facendo insaporire per qualche minuto. Aggiungere 300 gr. di salsiccia col pepe secca, sfaldata a tocchetti; 2 spicchi d'aglio tritati; 1 cucchiaio di "strattu" (concentrato di pomodoro): una mescolata e quindi coprire con 1 litro d'acqua. Far cuocere finchè il sugo non risulti semidenso (controllare di sale soloi a questo punto). Facoltativa l'aggiunta di polpa di pomodoro (250 gr.).
Lessare un cavolfiore da 1 Kg., sgocciolarlo, tagliarlo a tocchetti, e farlo insaporire in padella con olio e un quarto di cipolla affettata. Cuocere 500 gr. di rigatini nella stessa acqua di cottura dei cavolfiori, e ben scolati metterli in una zuppiera: condirli con una terza parte del ragù e trito, una terza parte di cavolfiori ed abbondante cacio cavallo tagliato a fette sottilissime. Sistemare --- in una pirofila unta di olio o burro, spolverata di pan grattato --- la metà della pasta: su questo strato mettere un terzo del sugo, un terzo dei cavolfiori e pecorino; fare un secondo strato con l'altra metà pasta, e completare con l'ultimo ters
zo del sugo, e covolfiori, abbondando su quest'ultimo strato con pecorino grattugiato.
Buon appetito a tutti in particolare a LANDO.
piero
e gia' solo a LANDO.........AHAHAHAH contraccambio piero sei unico.........h.d.t.......suzi.........e grazie del tuo apporto in questa stanza......con affetto mario il garganico........
 
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