La Cassazione dice che il 9 para non è da guerra (nr. 46085/2014)

[h=1]Cassazione, Sentenza 52526 / 2014. Il 9 para e le pistole in 9 para sono armi comuni senza se e ma![/h] LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott.
MARIA CRISTINA SIOTTO
Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
Dott. ADET TONI NOVIK
Dott. GIUSEPPE LOCATELLI
Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da: RASO ROBERTO N. IL 20/11/1972
avverso la sentenza n. 3865/2005 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 05/02/2013.
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso.
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale Paolo Canevelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5.02.2013 la Corte d'Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 7.04.2008 dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Palmi, appellata dall'Imputato, riduceva ad anni 3 mesi 6 di reclusione e € 1.120 di multa la pena inflitta a Raso Roberto per i reati, unificati in continuazione, di detenzione illegale, porto abusivo in luogo pubblico e ricettazione di una pistola Beretta cal. 9 parabellum con matricola abrasa, costituente arma da guerra, nonché del relativo munizionamento, rinvenuta (il 23.04.2005) in una cella frigorifera del capannone attiguo all'abitazione della sorella dell'imputato nel corso delle ricerche che avevano condotto all'arresto del Raso, all'epoca latitante; la pistola aveva il caricatore inserito e un proiettile nella camera di scoppio, mentre altri proiettili e un altro caricatore venivano rinvenuti sulla persona del prevenuto; la Corte territoriale ha invece assolto il Raso, perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato, dall'accusa relativa al caricatore (scomputando dalla pena irrogata in primo grado il relativo aumento per la continuazione), sul presupposto che lo stesso non può più considerarsi parte di arma in base alla definizione contenuta nella norma sopravvenuta di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 204 del 2010.
Pacifica la materialità dei fatti, la Corte territoriale ribadiva la natura di arma da guerra della pistola in questione, da valutarsi sulla base dei parametri normativi nazionali che valorizzano la spiccata potenzialità offensiva dell'arma, confermata dalla sua dotazione alle forze di polizia che ne attesta l'idoneità all'uso bellico (secondo una circostanza riscontrata dalla presenza della lettera Z nell'ultima cifra della matricola, rivelatrice della destinazione della pistola alla polizia penitenziaria).
Ricorre per cassazione Raso Roberto, a mezzo dei difensori, deducendo due motivi di censura.
Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 161, 171, 177 cod.proc.pen., censurando l'omessa notificazione all'imputato dell'avviso dell'udienza fissata per il giudizio d'appello, che non era stata eseguita presso il domicilio eletto (in Mazzano Romano) al momento della scarcerazione.
Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 1 e 2 della legge n. 110 del 1975, con riguardo all'errata qualificazione della pistola semiautomatica calibro 9 x 19 - la cui potenzialità offensiva era stata affermata dalla Corte territoriale sulla base di criteri astratti tratti dalla relazione del RIS e non già accertata in concreto - come arma da guerra anziché come arma comune da sparo; rileva che con D.M. 21 maggio 1990 l'arma in questione era stata inserita nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.Il primo motivo di ricorso, che deduce una nullità riguardante la citazione in giudizio deil'imputato che si sarebbe prodotta nel giudizio d'appello (e perciò deducibile mediante ricorso per cassazione), è infondato e deve essere rigettato. Dall'esame del fascicolo processuale, al quale questa Corte è legittimata ad accedere allorché (come nel caso di specie) la violazione di legge dedotta nel ricorso si risolva in un error in procedendo ai sensi dell'alt. 606 comma 1 lett. c) del codice di rito (essendo in tal caso la Corte di cassazione giudice del fatto processuale: Sez. Un. n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092; Sez. 1 n. 8521 del 9/01/2013, Rv. 255304), risulta che la notificazione del decreto di citazione per il giudizio d'appello è stata inizialmente tentata, il 5.01.2012, presso il domicilio dichiarato dall'imputato in Mazzano Romano, dove la stessa non è andata a buon fine in quanto il Raso risultava "trasferito", come attestato nella relativa relata; la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, divenuta impossibile nel domicilio dichiarato dalla parte (per fatto ascrivibile alla stessa), è stata pertanto ritualmente eseguita (per la nuova udienza alla quale il processo era stato rinviato) nelle forme dell'alt. 161 comma 4 cod.proc.pen., mediante consegna di copia al difensore, così da escludere qualsiasi paventata nullità della citazione e degli atti successivi del processo di secondo grado.
Il secondo motivo di ricorso è invece fondato, nei termini e per le ragioni che seguono.
L'orientamento tradizionale di questa Corte, da ultimo ribadito da Sez. 1 n. 16630 del 14/03/2013, Rv. 255842, e da Sez. 1 n. 12737 del 20/03/2012, Rv. 252560, secondo cui, anche dopo la modifica apportata all'alt. 2 della legge n. 110 del 1975 dall'alt. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 204 del 2010, la pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, e le relative cartucce, sono da considerarsi arma e munizioni da guerra, sul duplice presupposto della spiccata potenzialità offensiva e della destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi armati dello Stato, deve essere rimeditato alla stregua delle considerazioni e degli argomenti che seguono.
Il criterio della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra (e delle munizioni destinate al loro caricamento) contenuta nell'art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 110 del 1975, come requisito tipico e individualizzante dell'appartenenza del modello di pistola in oggetto alla categoria delle armi da guerra (o tipo guerra), è contraddetto e messo in crisi dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo della pistola semiautomatica calibro 9 x 21, liberamente commerciabile come tale (nell'ovvia osservanza della normativa di pubblica sicurezza) sul mercato interno, che costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di capacità balistiche pressoché identiche (se non addirittura superiori) a quelle del modello 9 x 19, rispetto al quale l'unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum (che costituisce, in generale, una delle cartucce per pistola più diffuse e utilizzate al mondo, anche al di fuori dell'Impiego militare e da parte delle forze di polizia, perché unisce una traiettoria piatta a un moderato contraccolpo e a un discreto potere d'arresto, oltre ad avere un costo economico contenuto).
L'esclusione dell'intrinseca potenzialità offensiva, tipica del munizionamento per armi da guerra (o tipo guerra, secondo la definizione contenuta nell'art. 1 comma 2 della legge n. 110 del 1975), della cartuccia cal. 9 x 19 parabellum è confermata dall'esistenza e dalla commerciabilità sul mercato italiano di munizioni per arma comune da sparo dotate di una superiore capacità di offesa alla persona (come il calibro 357 magnum 9 x 33 mm R), liberamente detenibili da soggetti privati nel rispetto della normativa di pubblica sicurezza, nonché - soprattutto - dalla circostanza che armi lunghe da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, come la carabina Thureon Defense di fabbricazione USA, hanno recentemente ottenuto dal Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia la certificazione di armi comuni da sparo importabili e commerciabili in Italia.
La conclusione, che ne consegue, per cui la qualificazione in termini di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l'utilizzo di munizionamento cal. 9 x 19 parabellum non può discendere da un - inesistente - carattere intrinseco della stessa come arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all'Impiego bellico, trova riscontro, sul piano normativo-sistematico, nel fatto che la relativa disciplina è contenuta non già nell'art. 1 della legge n. 110 del 1975 (che definisce, come si è visto, le armi da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra), ma nel successivo art. 2, che definisce le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo - al comma 2 - il divieto di fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di armi corte da fuoco "salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello Stato, ovvero all'esportazione", così presupponendo che, in mancanza di tale divieto, le armi stesse sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi comuni da sparo (posto che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione dell'art. 1, l'importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbe di per sé inibita dalla relativa qualità, senza la necessità di stabilire un apposito divieto al riguardo).
Il divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare, detenere e portare (con le debite autorizzazioni) il modello di pistola calibro 9 parabellum è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi di polizia, e prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di arma da guerra dovuta a una (inesistente) maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9 x 19 parabellum, il cui impiego sarebbe altrimenti - indifferentemente - proibito anche per le armi lunghe da fuoco: la relativa disciplina assolve così la funzione, non già di tutelare la sicurezza pubblica inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un'arma (e di un munizionamento) dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra (che la pistola calibro 9 parabellum si è visto non possedere), ma di consentire - o per converso di escludere - l'immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all'azione delle forze armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi corte il cui calibro corrisponda (o viceversa non corrisponda) allo specifico modello della pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato (posto che la similare cartuccia cal. 9 x 21 IMI, proprio a causa della maggiore lunghezza del bossolo, è impossibile da camerare sulle pistole munite di una camera di scoppio lunga solo 19 mm).
La destinazione, per quanto esclusiva, all'armamento delle forze armate e dei corpi armati dello Stato (italiano) non può pertanto assumere, nel caso della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione giuridica come arma da guerra, che - a seguito dell'abrogazione deH'art. 7 della legge n. 110 del 1975 per effetto della novella di cui aM'art. 14 della legge n. 183 del 2011, con conseguente soppressione con decorrenza dal 1° gennaio 2012 del catalogo ivi previsto - non è più possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.
Un'importanza fondamentale rivestono, invece, agli effetti della risoluzione della questione di diritto inerente alla corretta qualificazione che deve attualmente riconoscersi alla pistola in oggetto, la sopravvenienza della norma di cui all'art. 23, comma 12-sexiesdecies, della legge 7 agosto 2012 n. 135 (di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95), che, a seguito della abolizione del catalogo previsto dall'alt. 7 della legge n. 110 del 1975, ha attribuito al Banco nazionale di prova di cui aM'art. 11 comma 2 della medesima legge la competenza a verificare, per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché le conseguenti determinazioni che sono state adottate dal suddetto Banco nazionale di prova in attuazione dei nuovi compiti assegnati dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi comuni da sparo.
In particolare, per quanto qui interessa, deve essere richiamata la deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia, adottata all'esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1° marzo 2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con specifico riguardo alle armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum, dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui all'alt. 5 D.Lgs. n. 204 del 2010 ne consente "la fabbricazione e l'esportazione secondo la normativa delle armi comuni", ma "tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati", ha precisato che "per evitare equivoci" (come testualmente recita la risoluzione) le armi stesse non saranno inserite nell'elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di "arma comune non commercializzabile in Italia".
Alla stregua di tale ultima determinazione proveniente dall'ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle armi da fuoco prodotte o importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi, sul piano normativo, alla pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, il cui inserimento nell'elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati è inibito soltanto dal divieto normativo - contenuto nell'alt. 2 comma 2 della legge n. 110 del 1975 - che ne riserva la destinazione d'uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato, e non dalla natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto, che è e resta quella di un'arma comune da sparo; e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte.
Deve dunque essere affermata la natura di arma comune da sparo della pistola Beretta cal. 9 (x 19) parabellum sequestrata all'imputato e la conseguente natura di munizioni per arma comune da sparo delle relative cartucce cal. 9 (x 19) GFL Luger, costituenti la naturale dotazione dell'arma da fuoco in questione e prive delle caratteristiche di micidialità e di forza dirompente che costituiscono il discrimine per poterle qualificare come munizionamento da guerra (vedi Sez. 1 n. 9068 del 3/02/2011, Rv. 249874); ciò comporta che la detenzione delle cartucce deve essere riqualificata nella violazione dell'alt. 697 cod. pen., con conseguente maturazione del tempo massimo di prescrizione del reato contravvenzionale, che (in base alla normativa applicabile con riferimento all'epoca del fatto, antecedente la novella di cui alla legge n. 251 del 2005) è di quattro anni e sei mesi decorrenti dal 23.04.2005, mentre il relativo porto risulta penalmente irrilevante (vedi Sez. 1 n. 12941 del 29/01/2014, Rv. 259545, secondo cui la condotta di porto di munizioni per armi comuni da sparo non è sanzionata da alcuna previsione incriminatrice).
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio in relazione alla detenzione delle munizioni, perché il reato, come sopra riqualificato, è estinto per prescrizione; in relazione alle restanti imputazioni di cui agli artt. 2, 4 e 7 della legge n. 895 del 1967 (come novellati dagli artt. 10, 12 e 14 della legge n. 497 del 1974), e di cui all'alt. 648 cod. pen., riguardanti la detenzione illegale, il porto abusivo e la ricettazione della pistola, aggravate dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale contestata in rubrica e ritenuta dai giudici di merito, per le quali la prescrizione non è maturata né ai sensi della previgente che dell'attuale normativa, la sentenza impugnata deve invece essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria, per un nuovo giudizio limitato alla rideterminazione della pena base per il reato che sarà individuato come più grave a seguito della riqualificazione come arma comune da sparo della pistola oggetto delle condotte incriminate, nonché agli aumenti di pena per le aggravanti e per la continuazione, fermo restando il giudizio definitivo di colpevolezza dell'imputato per i relativi reati.

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P.Q.M.
Ritenuta la pistola di cui al capo 1 arma comune da sparo, annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla detenzione delle munizioni perché estinto il reato per prescrizione, nonché con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena per le residue imputazioni.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 17/09/2014


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La Cassazione torna sul 9 para

La Cassazione torna sul 9 para

La sezione I della suprema corte di Cassazione è tornata a occuparsi del 9 mm parabellum, con una sentenza, depositata il 12 febbraio 2015, decisamente originale. La Suprema corte, infatti, ammette che le cartucce in calibro 9x19 mm parabellum possono anche essere utilizzate in armi comuni da sparo, stabilendo quindi come discrimine per capire se considerarle munizioni da guerra o comuni da sparo, l'effettivo impiego in un'arma da guerra o comune da sparo.

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[h=1]La Cassazione dice che il 9 para non è da guerra (nr. 46085/2014)[/h] La Cassazione è riuscita in una impresa non da poco: è riuscita a dire una cosa giusta senza aver capito nulla e con una motivazione ignobile.
Pare che l’illuminazione portata dallo spirito santo nel collegio sia dovuta al fatto che qualcuno ha scoperto che parabellum è una parola che non vuole affatto dire che la cartuccia sia da guerra, ma è solo un marchio! Meno male che il produttore non la chiamò paraculum perché chissà la Cassazione su quali strade ci avrebbe portato!
Poi la sentenza fa uno sconclusionato discorso sul fatto che non essendo stata trovata un’arma da guerra assieme alla cartuccia, non si può affermare che fosse destinata ad un’arma da guerra; come se ciò fosse rilevante.
Questi sciagurati non sono neppure capaci di leggersi le norme dello stato italiano, ove troverebbero nero su bianco che è il legislatore stesso a dire che il 9 para non è più da guerra; norma che è stata scritta proprio per ovviare al fatto che la Cassazione non riusciva a capire che dal 1902 ad oggi il mondo è cambiato. Ricordo che per un lavoro di questo livello i 5 giudici e il PM incassano circa 42.000 euro netti al mese complessivament; pare che serva per garantire l'indipendenza. Sicuramente non sono schiavi della scienza giuridica.
Si veda:
Il nove para non è più da guerra e
La Cassazione sul 9 para
Ecco la sentenza
Cassazione, sez. I, 21/10/2014 n. 46085
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 237/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 30/09/2013;
RITENUTO IN FATTO
1. M.A., è stato giudicato colpevole - dal Tribunale di Varese, all'esito di giudizio abbreviato, e dalla Corte di appello di Milano, all'esito di giudizio camerale - del delitto previsto e punito dalla L. n. 895 del 1967, art. 2 come modificato dalla L. 14 ottobre 1997, n. 497, art. 10, per avere illegalmente detenuto - nel vano porta oggetti posto tra i sedili anteriori della propria auto, sottoposta a controllo da personale della Questura di Varese - "una cartuccia marca Fiocchi cal. 9 x 19 parabellum, munizionamento classificato da guerra. Fatto accertato in (OMISSIS)", ed è stato condannato alla pena di giustizia, avendo i giudici di merito ritenuto, per quanto specificamente ancora rileva nel presente giudizio di legittimità, che la qualificazione giuridica del fatto, doveva ritenessi corretta, conformemente alla più recente ed univoca elaborazione giurisprudenziale in argomento (in termini Sez. 1, n. 12737 del 20/03/2012 - dep. 04/04/2012, Tomasello e altro, Rv. 252560, secondo cui in materia di reati concernenti le armi, anche a seguito della modifica della L. n. 110 del 1975, art. 2 per effetto del D.Lgs. n. 204 del 2010, art. 5, comma 1, lett. a), le cartucce calibro 9 x 19 devono considerarsi munizioni da guerra, in quanto destinate esclusivamente alle Forze armate e ai corpi armati dello Stato); che la tesi difensiva prospettata dall'imputato - secondo cui egli avrebbe trovato per terra la cartuccia alcuni giorni prima e l'avrebbe raccolta, senza pensarci, lasciandola nel vano portaoggetti - non valeva ad escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo, essendo inverosimile che il M., "dopo aver raccolto volontariamente il proiettile ed averlo volontariamente riposto all'interno della sua vettura, in luogo di quotidiana ed accessibile visibilità, se lo sia poi dimenticato, inconsapevolmente".

2. Ricorre per cassazione, avverso la sentenza di condanna emessa in grado d'appello, il M. per il tramite del suo difensore, confutando in ricorso entrambe le rationes decidendi dell'impugnata sentenza illustrate in precedenza, sostenendo la tesi, quanto alla prima, che il D.Lgs. n. 204 del 2010, art. 5 del ha integrato la L. n. 110 del 1975, ragion per cui le cartucce di piccolo calibro, fra cui le più comuni le 9 parabellum e le 7,62 Nato, comunque denominate, sono da guerra solo quando montano proiettili incendiari, esplosivi, traccianti o a nucleo perforante, e che la cartuccia calibro 9 parabellum non è munizione da guerra, ma munizione destinata ad essere utilizzata in armi comuni da sparo, già catalogate come tali, e che le armi di tale calibro possono ritenersi da guerra solo se automatiche e prodotte per eserciti moderni; quanto alla seconda, che la motivazione della sentenza impugnata, relativamente alla sussistenza dell'elemento soggettivo, deve ritenersi insufficiente, non fornendo adeguata spiegazione delle ragioni per cui, la giustificazione addotta dall'imputato non possa ritenersi credibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L'impugnazione proposta nell'interesse di M.G., nei limiti meglio precisati in prosieguo, è fondata e merita accoglimento.
1.1 Privo di fondamento deve ritenersi, anzitutto, il motivo d'impugnazione con il quale si censura la decisione impugnata con riferimento alla mancata esclusione dell'elemento soggettivo del reato contestato, ove si consideri che lo stesso, per costante giurisprudenza di questa Corte (in termini, Sez. 1, n. 449 del 11/10/1993 - dep. 19/01/1994, Grippo, Rv. 195924, e più recentemente, Sez. 1, n. 21355 del 10/04/2013 - dep. 20/05/2013, Lamanna, Rv. 256302), non si configura come dolo specifico e che nel caso di specie la sussistenza di un dolo generico, è stata affermata dai giudici di merito, con logica e plausibile motivazione, come tale incensurabile nel presente giudizio di legittimità, avendo gli stessi ravvisato nella condotta dell'imputato, sulla scorta delle sue stesse dichiarazioni ed in considerazione dell'accertata collocazione della cartuccia in un posto ben visibile (il vano portaoggetti dell'auto da lui condotta), la coscienza e volontà di avere a disposizione materialmente le munizioni, senza averne fatto denuncia.
1.2 Fondato deve ritenersi invece il motivo di impugnazione che denunzia come insufficiente la motivazione della sentenza impugnata, relativamente alla qualificazione giuridica del fatto contestato al ricorrente.
Ed invero a fronte di deduzioni difensive dell'appellante che contestavano la qualificazione dell'unica cartuccia marca Fiocchi, calibro 9 x 19 parabellum detenuta dal M. come munizione da guerra, la Corte territoriale le ha disattese facendo esclusivo riferimento ad una decisione di questa Corte - la sentenza n. 12737 del 20/03/2012 - dep. 04/04/2012, Tomasello e altro, Rv. 252560 - secondo cui le cartucce calibro 9 x 19 devono considerarsi senz'altro munizioni da guerra.
Orbene ritiene questo Collegio che tale invero concisa motivazione, come dedotto dal ricorrente, sia in effetti incompleta e lacunosa.
Al riguardo va anzitutto rilevato che la decisione di legittimità richiamata dalla Corte territoriale milanese, si riferiva ad una fattispecie nella quale il ricorrente era chiamato a rispondere non solo della detenzione illegale di nove cartucce calibro 9x19 mm, marca G.F.L, ma, nel contempo, anche della detenzione di una pistola semiautomatica, marca Tanfoglio, calibro 9x19, qualificata dai giudici di merito come arma da guerra, in considerazione del contenuto di una consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero che aveva accertato la spiccata potenzialità offensiva dell'arma di cui sopra, all'esito di "un'attenta disamina delle connotazioni oggettive" della stessa e che aveva rilevato, tra l'altro, l'alterazione dell'arma de quo, in quanto la "canna originaria della pistola in calibro 9 x 19 mm. era stata sostituita con una canna in calibro 9 x 21".
Nel caso in esame, infatti, oltre a mancare nella decisione impugnata qualsiasi riferimento alla contestuale detenzione da parte del M. anche di una qualche arma da guerra, non risulta sia stato eseguito alcun accertamento tecnico sulla natura della cartuccia, fondandosi in definitiva la qualificazione della stessa come munizione da guerra, sul solo semplice rilievo, che si evince dalla decisione di primo grado, che la polizia giudiziaria, nella notizia di reato, ha riferito trattarsi di munizione destinata esclusivamente alle Forze armate e ai corpi armati dello Stato.
1.3 Orbene l'insufficienza di tale solo dato fattuale, non asseverato da qualificati ed argomentati accertamenti tecnici ed oggetto di argomentata confutazione da parte della difesa, è palese.
1.3.1 Al riguardo non è superfluo precisare, anzitutto, come evidenziato anche dalla dottrina che più approfonditamente ha esaminato la questione relativa alla distinzione tra munizioni da guerra e per armi comuni da sparo, che il termine "parabellum" non è indicativo della qualifica giuridica bellica di un'arma o della sua omologa munizione, come può desumersi dall'iscrizione sul Catalogo Nazionale delle Armi Comuni da Sparo di prototipi e modelli di armi corte in cal. 7,65 mm e in cal. 9 mm accompagnate dal medesimo termine.
Esso esprime più semplicemente la seconda parte del motto coniato dallo scrittore latino Vegezio "si vis pacem para bellum", assunto, nei primi anni del v900, dagli stabilimenti armieri della DWM di Spandau (Germania) a motivo dell'attività commerciale svolta, ed adottato dai detti stabilimenti per indicare le armi corte prodotte in cal. 9 mm e l'omologa munizione progettata da Georg Luger nel 1901.
1.3.2 Da tale preliminare considerazione circa l'assenza nel presente giudizio, di un affidabile accertamento tecnico che conforti l'assunto secondo cui la munizione detenuta dal detenuto sia effettivamente destinata esclusivamente al caricamento di un'arma da guerra, discende anche come non possa ritenersi adeguatamente argomentata la qualificazione giuridica del fatto contestato al ricorrente.
In particolare non è superfluo qui richiamare la lezione interpretativa di questa Corte (Sez. 1, n. 14617 del 09/12/1999 - dep. 23/12/1999, Genovese, Rv. 216108) che sulla scia anche di un precedente significativo arresto (Sez. 1, n. 3159 del 27/05/1988 - dep. 25/02/1989, Campanella, Rv. 180651), ha da tempo evidenziato come "il criterio adottato dal legislatore per stabilire se determinate cartucce siano da considerarsi munizioni da guerra o da arma comune da sparo è quello indicato dal complesso delle disposizioni della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 1, comma 3, secondo cui sono munizioni da guerra le cartucce destinate al caricamento delle armi da guerra, nonchè dalla citata Legge, art. 2, comma 4, in virtù del quale non possono essere munizioni per armi comuni da sparo quelle costituite con pallottole a nucleo perforante o aventi le altre caratteristiche di particolare capacità offensiva indicate nel predetto articolo".

In altri termini, come chiarito nella citata decisione 3159 del 1988, "l'unico criterio valido per stabilire se munizioni, utilizzabili indifferentemente sia per armi da guerra che per armi catalogate armi comuni da sparo possano o meno qualificarsi munizioni da guerra occorre far riferimento, non esistendo alcun tipo di munizioni legislativamente riservato per calibro od altro, (blindatura del proiettile), alle sole armi da guerra, integrandole fra loro, alla definizione che di munizioni da guerra dalla L. n. 110 del 1975, art. 2 e la disposizione di cui successivo art. 2, comma 4 per il quale "le munizioni a palla destinate alle armi comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, autopropellenti...". Se, pertanto, le munizioni hanno caratteristiche vietate per il munizionamento civile resta provato che esse sono destinate all'armamento bellico".

2. Dalle considerazioni sin qui svolte discende, conclusivamente, che la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla qualificazione del fatto, con rinvio degli atti, per nuovo giudizio al riguardo, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
PQM
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione del fatto, e rinvia per nuovo giudizio al riguardo, ad altra sezione della Corte di appello di Milano;

rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2014
 
Sentenza giusta pero' la baserei su 2 punti ,1 infatti e' possibile anche ricaricare la cartuccia 9 para con vari tipi di ogive ne deriva che non e' un unico tipo standardizzato,il secondo punto e' che pero' non conosco nessuna arma in vendita con regolare porto d'armi nel calibro 9x19 in utilizzo solo alle forze di polizia e forze armate.
 
Il 9 para definitivamente comune - Cass. 24046/2015

Il 9 para definitivamente comune - Cass. 24046/2015

Cass. I, nr. 24046 del 14-5-2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Estensore: BONI MONICA Data Udienza: 14/05/2015
Procuratore Generale in persona del Dott. Maria Giuseppina Fodaroni che ha chiesto l'annullamento della sentenza della Corte di Appello di Napoli.
Difensore :Avv. Marcello Severino


Con sentenza resa il 13 marzo 2014 la Corte di Appello di Napoli riformava parzialmente la sentenza, emessa all'esito del giudizio celebrato col rito abbreviato dal G.U.P. del Tribunale di Napoli in data 9 febbraio 2011 ed escludeva formalmente la recidiva contestata all'Imputato Luigi Ruffo, di cui il primo giudice non aveva tenuto conto nel calcolo della pena, e confermava nel resto l'impugnata sentenza che aveva affermato la sua responsabilità in ordine ai delitti di detenzione e porto illegali di due pistole calibro 9 x 19, complete di caricatore con tredici cartucce dello stesso calibro ciascuna.
Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso l'imputato personalmente, il quale si duole di violazione di legge in ordine all'erronea applicazione dell'art. 1 L. 110/75, in luogo dell'art. 2 L. 110/1975; secondo il ricorrente, era errata la qualificazione delle due pistole come armi da guerra, basata sull'attribuzione della denominazione "parabellum', che in realtà non è significativa, mentre la distinzione fra arma da guerra ed arma comune è stabilita dalla L. 185/1990, che definisce i criteri tecnici indicati nell' art. 1 L. 110/1975 e che, nel suo testo integrato dal D.M. 13 giugno 2003, stabilisce che fra le armi di piccolo calibro che interessano anche i privati, appartengono al materiale di armamento, e sono quindi armi da guerra, soltanto le armi lunghe o corte automatiche, prodotte per eserciti moderni, mentre tutte le altre sono armi comuni, così come le munizioni che impiegano. Oltre a ciò, la legge 110/1975 prevede l'assimilazione alle armi da guerra di quelle comuni modificate per assumere caratteristiche di arma da guerra; in particolare, l'art. 2 elenca una serie di armi, tra le quali le pistole semiautomatiche ed i fucili a canna rigata, che per loro natura e definizione sono comuni, a meno che non siano a raffica o presentino spiccata potenzialità. Nel caso di specie, dalla consulenza e dalla deposizione del teste Vollero è emerso che le pistole sequestrate sono di tipo semiautomatico, non modificate per tiro a raffica o per aumentarne la potenzialità e che le relative munizioni non sono, né a palla, né incendiarie, né di tipo diverso da quelle comuni, quindi rientrano nella previsione dell'art. 2 L. nr. 110/75. Dalla diversa qualificazione delle armi discende anche in diverso regime sanzionatorio.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.
L'impugnazione ripropone la tematica della corretta qualificazione giuridica da assegnare alle pistole illegalmente detenute e portate in luogo pubblico dal ricorrente; la Corte distrettuale ha ritenuto rientrassero nella categoria delle armi da guerra in quanto in dotazione delle forze dell'ordine ed equiparate quindi a quelle d'uso bellico.
E' noto che, secondo l'orientamento tradizionale di questa Corte, da ultimo ribadito da sez. 1 n. 16630 del 14/03/2013, Pezzella, rv. 255842, e da sez. 1 n. 12737 del 20/03/2012, Tomasello ed altro, rv. 252560, anche dopo la modifica apportata all'art. 2 della legge n. 110 del 1975 dall'art. 5, comma 1 lett. a), D.Lgs. n. 204 del 2010, la pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, e le relative cartucce, sono da considerarsi arma e munizioni da guerra, sul duplice presupposto della spiccata potenzialità offensiva e della destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi armati dello Stato. Ma tale linea interpretativa è stata recentemente sottoposta a revisione alla stregua delle considerazioni e degli argomenti che seguono.
II criterio della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra e del relativo munizionamento, contenuta nell'art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 110 del 1975, quale requisito specifico e tipico per individuare l'appartenenza del modello di pistola in oggetto alla categoria delle armi da guerra, o tipo guerra, è contraddetto dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo, in quanto tale liberamente commerciabile sul mercato interno, della pistola semiautomatica calibro 9 x 21. Trattasi di un modello di arma corta da fuoco, caratterizzato da qualità tecniche e capacità balistiche pressoché identiche, se non superiori, a quelle del modello 9 x 19, rispetto al quale l'unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm. e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum.
Inoltre, sul mercato italiano sono reperibili e liberamente detenibili da privati, pur nel rispetto delle disposizioni di pubblica sicurezza, anche munizioni per arma comune da sparo, dotate di una superiore capacità lesiva della persona, ad esempio quelle del calibro 357 magnum 9 x 33 mm R, nonché, nella categoria delle armi lunghe da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, la carabina Thureon Defense di fabbricazione statunitense, che ha recentemente ottenuto dal Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia la certificazione quale arma comune da sparo importabile e commerciabile in Italia. Anche tali considerazioni contribuiscono ad escludere l'intrinseca potenzialità offensiva, tipica del munizionamento per armi da guerra, ai dispositivi camerati con munizioni cal. 9 x 19 parabellum.
Né la qualificazione in termini di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l'utilizzo di questo tipo di munizionamento può dipendere da un carattere intrinseco della stessa in quanto arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all'impiego bellico. Tale conclusione riceve conforto sul piano normativo-sistematico dal fatto che la relativa disciplina è contenuta, non già nell'art. 1 della legge n. 110 del 1975, che definisce le armi da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra, ma nel successivo art. 2, che individua le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo, al comma 2, il divieto di fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di armi corte da fuoco "salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello Stato, ovvero all'esportazione". In tal modo la norma postula che, in mancanza di tale divieto, tali dispositivi sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi comuni da sparo, dal momento che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione dell'art. 1, la loro importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbero di per sé inibite dalla relativa qualità, senza la necessità di imporre un apposito divieto al riguardo. Deve desumersi che il divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare, detenere e portare con le debite autorizzazioni.
il modello di pistola calibro 9 x 19 parabellum è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi di polizia, ma prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di arma da guerra, dipendente da una maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9 x 19 parabellum, il cui impiego sarebbe altrimenti proibito anche per le armi lunghe da fuoco.
La relativa disciplina assolve così alla funzione, non già di tutelare la sicurezza pubblica, inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un'arma e di un munizionamento dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra, ma di consentire - o per converso di escludere - l'immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all'azione delle forze armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi corte, il cui calibro corrisponda o meno allo specifico modello della pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato.
La destinazione, per quanto esclusiva, all'armamento delle forze armate e dei corpi armati dello Stato italiano non può pertanto assumere, nel caso della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione giuridica come arma da guerra, che - a seguito dell'abrogazione dell'art. 7 della legge n. 110 del 1975 per effetto della novella di cui aM'art. 14 della legge n. 183 del 2011, con conseguente soppressione con decorrenza dal 1° gennaio 2012 del catalogo ivi previsto - non è più possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.
Rilievo decisivo riveste, invece, agli effetti della risoluzione della questione di diritto la sopravvenienza della norma di cui all'art. 23, comma 12-sexiesdecies, della legge 7 agosto 2012 n. 135, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95. La disposizione, a seguito della abolizione del catalogo previsto dall'art. 7 della legge n. 110 del 1975, ha attribuito al Banco nazionale di prova di cui all'art. 11 comma 2 della medesima legge la competenza a verificare, per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo. Al riguardo il suddetto Banco, in attuazione dei nuovi compiti assegnatigli dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi comuni da sparo, ha varato la deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia, adottata all'esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1° marzo 2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con specifico riguardo alle armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum, dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 204 del 2010 ne consente "la fabbricazione e l'esportazione secondo la normativa delle armi comuni", ma "tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati", ha precisato testualmente che "per evitare equivoci, le armi stesse non saranno inserite nell'elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di arma comune non commercializzabile in Italia".
Alla stregua di tale ultima determinazione, proveniente dall'ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle armi da fuoco prodotte ed importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi, sul piano normativo, alla pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, il cui inserimento nell'elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati è inibito soltanto dal divieto normativo - contenuto nell'art. 2 comma 2 della legge n. 110 del 1975 - che ne riserva la destinazione d'uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato, e non dalla natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto, che è e resta quella di un'arma comune da sparo; e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte, che intende dare seguito ai principi di diritto già espressi nei termini suesposti da sez. 1, n. 6875 del 05/12/2014, Colitti, rv. 262609 e sez. 1, n. 52526 del 17/09/2014, Raso, rv. 262186.
Da quanto precede discende la fondatezza della doglianza espressa col ricorso: deve dunque essere affermata la natura di arma comune da sparo delle due pistole marca Walther modello p990 cal. 9 x 19 ed altrettanto va detto quanto alle cartucce, in quanto prive delle caratteristiche di micidialità e di forza dirompente che costituiscono il discrimine per poterle qualificare come munizionamento da guerra (vedi sez. 1 n. 9068 del 3/02/2011, Marino, rv. 249874).
In conseguenza dell'operata diversa qualificazione giuridica del fatto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra esposti, per la rideterminazione della pena complessiva da infliggere al ricorrente.
P. Q. M.
riqualificato il fatto come detenzione e porto di armi comuni da sparo e relative munizioni, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

NOTA

Sono 60 anni che mi occupo di armi, prima come cacciatore e poi come giudice. Da ragazzo leggevo la rubrica delle risposte ai lettori che un mio zio magistrato teneva su "Il Cacciatore Italiano". Nel 1974 pubblicai su La Giustizia Penale un articolo fondamentale sulla nozione di arma da guerra che portò alle definizioni introdotte dalla legge 110/1975.
Da allora ho dovuto sempre combattere contro l'inerzia mentale di giudici e burocrati che restavano legati alle nozioni del passato e cercavano di adattare le nuovo norme ad esse!
Ho impiegato 20 anni per far capire che una baionetta non è un'arma da guerra.
Ho impiegato 12 anni a far accettare l'idea che gli esplosivi andavano distinti fra quelli micidiali e quelli non micidiali.
Ho impiegato mezzo secolo a far comprendere che non può esistere un pugnale senza lama da pugnale.
Ma ci sono riuscito!
Restava il punto delle armi e dei civili usati da forze armate e che il Ministero si ostinava a voler considerare da guerra in contrasto con l'uso normativo internazionale, supinamente seguito da squallidi periti e da giudici che non avevano adeguate conoscenza per poter decider di testa propria (avrebbero potuto affidarsi alla dottrina!).
Batti e ribatti sono riuscito a convincere molti giudici di merito sul fatto che il calibro 9 para non era da guerra, sono riuscito a convincere la Commissione Consultiva, ma restava lo scoglio della Cassazione con i giudici aggrappati come le cozze a giurisprudenze della prima guerra mondiale. A quel punto le fondamenta del sistema erano scosse ed è intervenuto l'amico e collega Claudio Lo Curto che con il suo trattato sulle Armi e munizioni da guerra, monumento di acribia giuridica e scientifica, ha dimostrato in modo tale che solo in malafede si potevano sostenere cose diverse, quale è la corretta interpretazione da dare alle norme in materia.
Ora questa ottima sentenza, preceduta da altre un po' più esitanti, pare proprio mettere un punto fermo sulla questione.
È la prima volta, a quanto mi risulta, che lo stesse Procuratore Generale si associa alle richieste della difesa e fa piacere vedere che sia il P.G. che l'estensore della sentenza siano due gentili magistrate.



fonte:earmi.it
 
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