Diniego di rilascio del porto d'armi

Enzo

Utente Registrato
Messaggi
1,088
Punteggio reazioni
13
Punti
38
Porto d'armi. Natura e finalità. Presupposti per il diniego. Valutazione dell'autorità pubblica in ordine al requisito dell'affidabilità. Discrezionalità ampia. Arresti domiciliari. Motivazione. Sufficiente.
Cons. St., Sez. III, Sentenza 31 ottobre 2014, n. 5398

Porto d'armi. Natura e finalità. Presupposti per il diniego. Valutazione dell'autorità pubblica in ordine al requisito dell'affidabilità. Discrezionalità ampia. Arresti domiciliari. Motivazione. Sufficiente.
1. Nel nostro ordinamento l’autorizzazione alla detenzione delle armi deve considerarsi eccezionale e le esigenze di incolumità di tutti i cittadini sono prevalenti e prioritarie, per cui la richiesta di porto d’armi può essere soddisfatta solo nell’ipotesi che non sussista alcun pericolo che il soggetto possa abusarne richiedendosi che l’interessato sia esente da mende e al di sopra di ogni sospetto o indizio negativo in modo tale da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica. Pertanto la revoca o il diniego dell’autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione stessa potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi.
2. L'autorizzazione alla detenzione ed al porto d'armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza, conseguentemente la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili tanto che il giudizio di "non affidabilità" è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a "buona condotta" (cfr. Cons. Stato, sez. III, 19/09/2013, n. 4666).
3. La licenza di porto d'armi può essere negata o revocata anche in assenza di pregiudizi e controindicazioni connessi al corretto uso delle armi, potendo l'Autorità amministrativa valorizzare, nella loro oggettività, sia fatti di reato, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, anche se non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa comunque desumere la non completa "affidabilità" da parte del soggetto interessato all'uso delle stesse (cfr. Cons. Stato, sez. III, 29/07/2013, n. 3979).
4. Le norme di cui agli artt. 11 e 43 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, oltre ad ipotesi tipiche di diniego vincolato, collegato alla condanna per alcuni reati, consentono di negare le autorizzazioni di polizia anche in altri casi essendo previsto, all’art. 43, che "la licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi" (la prova della buona condotta, a seguito della sentenza della Corte Cost. 16 dicembre 1993, n. 440, grava sull'Amministrazione). Pertanto la circostanza che il soggetto richiedente sia stato sottoposto a misure di sicurezza e detenuto agli arresti domiciliari è del tutto significativa ben potendo giustificare un giudizio di non sussistenza del requisito soggettivo della "affidabilità"; la motivazione è sufficiente a rendere comprensibile l'iter logico seguito e non illogiche le conclusioni adottate; trattasi, infatti, di elemento idoneo a fondare la valutazione fatta dal Prefetto, della quale non si evidenzia alcuna irragionevolezza o difetto di istruttoria, alla luce della propensione dell'interessato alla violazione delle regole.
Cons. St., Sez. III, 31 ottobre 2014, n. 5398
N. 05398/2014

N. 00023/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso numero di registro generale 23 del 2009, proposto da:
Utg - Prefettura di Perugia e Ministero dell'Interno in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
contro

Mezzasomma Fabrizio, rappresentato e difeso dagli avv. Lorenzo Contucci e Michele Bromuri, con domicilio eletto presso Lorenzo Contucci in Roma, via Candia n.. 50;
per la riforma

della sentenza del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA n. 00593/2008

Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2014 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Cerè su delega di Bromuri e dello Stato D'Ascia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1- Con decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo (Area I bis Ordine e Sicurezza Pubblica) prot. 0026231 2008 06 17 del 17.6.2008, notificato in data 8.7.2008, nonché con il correlato decreto Cat. 6F/2008/Divisione Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione/Settore 11 del Questore della Provincia di Perugia, emesso il 20.6.2008 e notificato in data 8.7.2008 è stata vietata la detenzione delle armi al ricorrente e sospesa la licenza di porto d'armi.

Tali provvedimenti sono stati adottati in quanto il ricorrente è stato sottoposto a processo per “… i reati di associazione a delinquere, turbativa d'asta corruzione ed altro” .

Il ricorrente lamentava l'erroneità dei presupposti di fatto dei provvedimenti impugnati giacché, diversamente da quanto ritenuto dalla Prefettura, lo stesso non era stato imputato anche del reato di associazione a delinquere sostenendo l'erroneità ed il difetto della motivazione per l’insufficienza del mero riferimento alle imputazioni (o alle misure cautelari) giacché afferenti a supposti reati non concernenti, direttamente o indirettamente, le armi.

Il Tar, richiamati alcuni precedenti giurisprudenziali cui faceva rinvio ( Tar Umbria 6 giugno 2002 n.382; 15 settembre 2006 n. 449; 30 agosto 2007 n.639 e 640; 28 settembre 2007 n. 708; 9 luglio 2008 n. 336), accoglieva il gravame sul rilievo che il provvedimento prefettizio si limitava a tener conto della pendenza del processo penale (tra l'altro citato in maniera imprecisa, quanto ai capi d’accusa), senza esprimere alcuna valutazione specifica circa le ragioni per le quali aveva ritenuto che il ricorrente non fosse più idoneo a detenere armi e munizioni.

Secondo il Tar la motivazione del provvedimento si rendeva necessaria in quanto i reati ascritti al ricorrente (turbativa d’asta e reati connessi) non rientravano fra quelli che, per comune esperienza, sono indice di una personalità incline all’abuso delle armi o alla violenza fisica, alla minaccia o altro.

Veniva annullato anche il provvedimento della Questura, atto meramente conseguenziale al provvedimento prefettizio.

Nell’atto di appello si sostiene la erroneità della sentenza del Tar Perugia evidenziando che il primo giudice non avrebbe tenuto conto che i provvedimenti impugnati derivavano dalla adozione di misure cautelari di sicurezza a carico del ricorrente che si trovava agli arresti domiciliari, inoltre che il divieto di detenzione delle armi può essere disposto in applicazione degli artt. 11 e 39 del TULPS anche in assenza di sentenze di condanna per specifici reati quando per circostanze legate alla condotta del singolo interessato, l’amministrazione non possa presumere la sicura affidabilità di tale soggetto.

Si è costituito l’appellato insistendo per la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza del Tar.

Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

2.- L'appello merita accoglimento.

In generale occorre osservare che l'autorizzazione alla detenzione ed al porto d'armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza, conseguentemente la valutazione dell'Autorità di pubblica sicurezza, caratterizzata da ampia discrezionalità, persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili tanto che il giudizio di "non affidabilità" è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a "buona condotta" (Cons. Stato, sez. III, 19/09/2013, n. 4666).

Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, la licenza di porto d' armi può essere negata o revocata anche in assenza di pregiudizi e controindicazioni connessi al corretto uso delle armi, potendo l'Autorità amministrativa valorizzare, nella loro oggettività, sia fatti di reato, sia vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale, anche se non attinenti alla materia delle armi, da cui si possa comunque desumere la non completa "affidabilità" da parte del soggetto interessato all'uso delle stesse (Cons. Stato, sez. III, 29/07/2013, n. 3979).

Le norme di cui agli artt. 11 e 43 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, difatti, oltre ad ipotesi tipiche di diniego vincolato, collegato alla condanna per alcuni reati, consentono di negare le autorizzazioni di polizia anche in altri casi essendo previsto, all’art. 43, che "la licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi" (la prova della buona condotta, a seguito della sentenza della Corte Cost. 16 dicembre 1993, n. 440, grava sull'Amministrazione).

Nella fattispecie trova applicazione tale parte della sopradetta disposizione.

Nel caso in esame i provvedimenti del Prefetto e del Questore sono stati adottati sul rilievo che il ricorrente era stato sottoposto a misure di sicurezza e detenuto agli arresti domiciliari; d’altro canto l’errore commesso dal Prefetto nella indicazione dell’insussistente reato di associazione a delinquere, ai fini della portata del provvedimento, risulta irrilevante dovendosi considerare centrale il fatto oggettivo che il ricorrente era stato tratto in arresto.

Come esattamente rilevato dall’appellante, risulta quanto meno paradossale e contrario ad elementari principi, ancor prima che di diritto, di buon senso, consentire ad un detenuto, sia pure agli arresti domiciliari, il possesso e l’uso delle armi.

Sotto altro profilo il comportamento messo in essere dal ricorrente, rilevante penalmente e che aveva dato luogo all’arresto, induceva a ritenere che, così come lo stesso aveva integrato, per ragioni di profitto personale, condotte in contrasto con i principi di civile convivenza, del pari poteva mettere in essere un uso distorto delle armi venendo a mancare quindi l’affidabilità alla base del rilascio e della conservazione del titolo autorizzatorio.

E’ da ricordare che nel nostro ordinamento l’autorizzazione alla detenzione delle armi deve considerarsi eccezionale e le esigenze di incolumità di tutti i cittadini sono prevalenti e prioritarie, per cui la richiesta di porto d’armi può essere soddisfatta solo nell’ipotesi che non sussista alcun pericolo che il soggetto possa abusarne richiedendosi che l’interessato sia esente da mende e al di sopra di ogni sospetto o indizio negativo in modo tale da scongiurare dubbi e perplessità sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Come già rilevato, la revoca o il diniego dell’autorizzazione possono essere adottate sulla base di un giudizio ampiamente discrezionale circa la prevedibilità dell’abuso dell’autorizzazione stessa potendo assumere rilevanza anche fatti isolati, ma significativi.

In definitiva, i provvedimenti impugnati indicano una circostanza di fatto rappresentata dall’arresto del deducente del tutto significativa, pervenendo quindi ad un giudizio di non sussistenza del requisito soggettivo dell' "affidabilità"; la motivazione è sufficiente a rendere comprensibile l'iter logico seguito e non illogiche le conclusioni adottate; trattasi, infatti, di elemento idoneo a fondare la valutazione fatta dal Prefetto, della quale non si evidenzia alcuna irragionevolezza o difetto di istruttoria, alla luce della propensione dell'interessato alla violazione delle regole.

In conclusione l'appello deve essere accolto, la sentenza riformata, il ricorso di primo grado respinto.

3. - Le spese del doppio grado di giudizio, attesa la peculiarità della fattispecie, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza appellata, accoglie l’appello in epigrafe indicato, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo,Presidente

Carlo Deodato,Consigliere

Roberto Capuzzi,Consigliere, Estensore

Dante D'Alessio,Consigliere

Silvestro Maria Russo,Consigliere



L'ESTENSOREIL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/10/2014
 
Armeria online - MYGRASHOP
Sponsor 2024
Indietro
Alto