Licenze di porto d’armi. Recentissimi principi sanciti dal Consiglio di Stato.

Questi articoli di cui vogliamo portarvi a conoscenza, sono stati pubblicati sul quotidiano online della Pubblica Amministrazione ritenendoli importanti.
[h=2]Autorizzazioni di polizia: il giudizio sull'affidabilità e buona condotta[/h]Il Consiglio di Stato, con la sentenza della terza Sezione 4.12.2015, n. 5522 interviene in una materia delicata quale quella delle autorizzazioni di pubblica sicurezza ben rappresentando come, anche in tali casi, l’autorità debba muoversi nel pieno rispetto del principio di legalità e dei principi generali che governano l’azione amministrativa di tipo procedimentale.
E lo fa bacchettando la questura che aveva revocato una licenza per l’esercizio di attività di commercio di oggetti preziosi senza idonea motivazione e istruttoria.
Nel caso di specie il Giudice amministrativo (sia di primo sia di secondo grado: il Consiglio di Stato, nel caso in esame, conferma sentenza del TAR Calabria, Rc, n.802/2014) rileva come il provvedimento di revoca si fondasse “su una episodica frequentazione e su un indimostrato pericolo di abuso, dedotto da una altrettanto indimostrata contiguità con soggetti terzi, coinvolti in vicende penali, alla quale non è stato offerto alcun valido riscontro e dalla quale non può inferirsi nessun pericolo di abuso che raggiunga il limite della rilevanza anche solo un un’ottica pubblicistica
Ma il Consiglio di Stato va anche più in là.
Nel replicare alle deduzioni processuali dell’Avvocatura, sottolinea anche come la mancanza della “buona condotta” (art. 11 del r.d. 773/1931) non possa “sostanziarsi solo in una genericacolpa d’autore”, costituita da un giudizio di disvalore su eventuali cattive frequentazioni e sulla vita spregiudicata e, più in generale, sul comportamento del titolare della licenza, ma deve concretizzarsi in un motivato e ragionevole giudizio sulla presenza di specifici atti, fatti o legami che, per natura, intensità, caratteristiche, contesto ambientale, lascino temere che la licenza possa essere strumento di abusi o, ancor peggio, illeciti impieghi da parte del titolare o di soggetti terzi, anche legati a dinamiche di criminalità organizzata.
Al contrario, prosegue il Consiglio di Stato, nella materia delle autorizzazioni di polizia, la carenza di affidabilità e buona condotta devono esser desunte da condotte significative, collegate e coerenti con il tipo d’attività soggetta a tali titoli di polizia, con la precisazione, però, che il relativo giudizio deve partire dai dati - e dunque da una corretta istruttoria - per giungere ad una ragionevole valutazione complessiva della loro rilevanza, così da desumerne il serio e non remoto pericolo di inaffidabilità e cattiva condotta inerente all’attività e, da qui, l’abuso del titolo stesso (CdS, III, 3.4.2013, n. 1867).
In assenza di tale motivato e ragionevole giudizio, sorretto da adeguata istruttoria e non da meri sospetti o denunce anonime, dunque i provvedimenti di dinieghi e revoche di autorizzazioni sono illegittimi per difetto di motivazione.
Sentenza da condividere pienamente non solo perché conforme ai principi elementari in materia di motivazione provvedimentale ma perché pone dei significativi e chiari paletti in una materia, quale quella delle autorizzazioni di Pubblica sicurezza, dove diritti “fondamentali” direttamente garantiti dalla costituzione si scontrano con i penetranti poteri restrittivi e impeditivi delle autorità di Pubblica sicurezza.
In questo contesto, è il procedimento amministrativo la cartina al tornasole del grado di democraticità del sistema, spartiacque tra libertà e autorità.
Fonte: Consiglio di Stato
Paolo Pittori
(11 dicembre 2015)
[h=2]Hai un arsenale in casa? Rischi la revoca del porto d'armi![/h]Detenere un mostruoso numero di munizioni in casa (nella specie 3029 proiettili, stando al verbale di sequestro) può portare legittimamente alla revoca della licenza di porto d’armi, ove il giudizio dell’Amministrazione sia correttamente fondato sull’inaffidabilità dell’interessato in ordine ad un corretto uso delle armi.
E’ quanto ha sentenziato il TAR della Puglia, Prima sezione di Lecce, con il provvedimento n. 1103 del 24 aprile scorso, sul presupposto che il potere di revocare la licenza di porto d’arma si fonda sulla valutazione discrezionale dell’Amministrazione, in base al disposto degli artt. 11, terzo comma, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 ("Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione") e 43, secondo comma, dello stesso TULPS ("La licenza può essere ricusata … a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi").
E’ invero principio pacifico, più volte affermato dalla giurisprudenza, quello per il quale è sufficiente che l’Autorità abbia correttamente valutato l’inaffidabilità del soggetto titolare della licenza, con il correlato rischio che della stessa possa farsi un uso improprio.
Infatti, il potere di vietare - o ab initio ovvero con revoca di una precedente autorizzazione - la detenzione di armi nei confronti di chi è ritenuto ben capace di abusarne, si basa su una considerazione assolutamente ed ampiamente discrezionale, che si esercita con prevalente riguardo all'interesse pubblico che mira all'incolumità dei cittadini ed alla prevenzione del pericolo di turbamento ipotizzabile in concreto per un eventuale uso delle armi, in riferimento alla condotta ed all'affidamento che il soggetto può dare in ordine alla possibilità di un eventuale uso improprio.
Posto che tale valutazione presenta un connotato preventivo, non è richiesto che vi sia stato un concreto ed accertato abuso da parte dell'interessato, essendo sufficiente invece che - sulla base di elementi obiettivi - se ne dimostri una scarsa affidabilità nell'uso delle armi, oppure un'insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni.
Rodolfo Murra
(27 aprile 2014)
[h=2]Porto d'armi: il diniego di rinnovo deve essere adeguatamente motivato[/h]Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 04858/2014, ha definitivamente accolto le ragioni avanzate da un cittadino lombardo che aveva visto illegittimamente respingere dal Prefetto la propria istanza di rinnovo del porto di pistola per difesa personale in ragione della scarsa entità del volume d’affari dichiarato dal ricorrente.
Il cittadino in questione era titolare di una licenza per porto di pistola per difesa personale dal 1997, rinnovata di anno in anno fino al 2011. Tale licenza veniva rilasciata a seguito di un tentativo di estorsione subito nel 1996 dal ricorrente e dalla sua famiglia. Non essendo mutati i presupposti che avevano determinato l’originario rilascio ed in considerazione dei successivi rinnovi, il ricorrente presentava fiducioso istanza di rinnovo per il periodo 2011-2012, indicando le ragioni a supporto della richiesta, quali l’elevato tasso di criminalità della zona limitrofa la sua abitazione e l’elevato volume d’affari che lo vede coinvolto, ma il prefetto respingeva l'istanza.
Il Giudice amministrativo, accogliendo le ragioni del protagonista della vicenda sia in primo che in secondo grado, ha inteso ripristinare le ragioni del ricorrente, affrontando il delicato tema della discrezionalità della Pubblica amministrazione nel rilasciare determinati provvedimenti in tema di Pubblica Sicurezza.
Nello specifico, il giudice amministrativo ha precisato che l'elevata discrezionalità di cui è indubbiamente titolare l’Autorità di pubblica sicurezza in tale materia, deve, tuttavia, essere esercitata secondo i principi di trasparenza dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento del privato nei confronti di essa, senza che ciò possa trasmodare in irrazionalità manifesta.
Pertanto, secondo quest’ordine di idee, in caso di diniego del rinnovo della licenza, la Pubblica Amministrazione procedente non potrà esimersi dall’indicare, nella motivazione, “il mutamento delle circostanze, di fatto e soggettive, che l’avevano già indotta a rilasciare, negli anni antecedenti, il suddetto titolo” .
Eleonora Finizio
(27 settembre 2014)
[h=2]Porto d'armi: quando il convivente o l'ambiente familiare possono bloccare il rinnovo[/h]Sebbene l'Autorità di pubblica sicurezza abbia il compito, da esercitare con ampia discrezionalità, di prevenire per quanto possibile i delitti (ma anche i sinistri involontari) e, comunque, i fatti lesivi della sicurezza pubblica, che potrebbero avere occasione per il fatto che vi sia la disponibilità di armi, e sebbene la discrezionalità vada esercitata con il massimo rigore, ben potendo attribuirsi valore a qualsiasi circostanza che consigli l'adozione del divieto, tuttavia, i requisiti soggettivi del richiedente vanno valutati con stretto riferimento alla persona del titolare dell'autorizzazione, che deve essere persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi, e deve anche assicurare la sua personale affidabilità circa il buon uso delle armi.
Sulla base di questa premessa la Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 7.12.2015 n. 5542 haproceduto a valutare il diniego di rinnovo della licenza di porto della pistola e detenzione di qualsiasi tipo di arma emesso dal Prefetto e basato sui numerosi precedenti del convivente del richiedente il rinnovo.
Nella sentenza - pur richiamandosi la giurisprudenza che afferma come il pericolo di abusi potrebbe derivare da soggetti conviventi appartenenti alla famiglia del titolare dell’autorizzazione o con cui egli intrattiene rapporti personali, anche di vicinato - il Collegio precisa però che, in tal caso, occorrerebbe indicare altrettanto rigorosamente quali indizi lasciano ritenere che la convivenza e l’ambiente familiare possa condizionare negativamente il giudizio di non affidabilità personale; ad es., elementi circostanziati potrebbero consistere nella presenza di situazioni di conflittualità fisica e verbale nei rapporti familiari o di convivenza (ad es. con scambio di querele, minacce e lesioni) in un contesto di conflittualità inusuale fra persone che vivono sotto lo stesso tetto.
In conclusione il Consiglio di Stato ha accolto l'appello ai fini di una rivalutazione dell’affidabilità della ricorrente e di una motivazione circostanziata, alla luce del principio di diritto sopra enunciato, sulla scorta di un quadro indiziario chiaro e dettagliato.
Fonte: Consiglio di Stato
Enrico Michetti
La Direzione
(8 dicembre 2015)
[h=2]Porto d'armi: scatta la revoca per la foto nel profilo facebook con la pistola in pugno e l'invito a farne uso[/h]Aveva pubblicato sul suo Profilo Facebook, in riferimento a forme di "autotutela" della proprietà privata, una foto con la pistola in pugno e l’invito a farne uso. Su segnalazione da parte della Compagnia dei Carabinieri la Prefettura emetteva il provvedimento di divieto di detenzione di armi e munizioni.
Inutile è stato il ricorso al giudice amministrativo in quanto il TAR Umbria, Sez. I, con sentenza del 19 febbraio 2016 n. 123 ha ritenuto infondati i motivi prospettati.
In particolare, il Collegio ha rilevato che il provvedimento prefettizio ex art. 39 del t.u.l.p.s. rientra tra gli atti caratterizzati da particolari esigenze di celerità, per i quali può essere omessa la comunicazione di avvio del procedimento.
Il provvedimento di divieto di detenzione delle armi ha natura cautelare, e rispetto allo stesso l’urgenza è qualificata dal pericolo della compromissione degli interessi pubblici (ordine e sicurezza pubblica) che caratterizzano la misura preventiva. Ne discende che l’esigenza di celerità diviene attuale in correlazione con l’apprezzamento, sotto il profilo del pericolo dell’abuso, di una determinata condotta, purchè significativa, nella sua connotazione, di una prognosi sul pericolo di abuso.
Aggiunge il TAR che il divieto di detenzione d’armi, avendo la finalità di prevenire la commissione di reati e di fatti lesivi dell’incolumità pubblica, non necessita che l’abuso da cui fare derivare il provvedimento si sia effettivamente verificato, essendo sufficiente che sussista una situazione di potenziale pericolo; l’Autorità di polizia, in definitiva, nella sua discrezionalità può ritenere valutabili anche quei comportamenti che, pur non integrando responsabilità penali, facciano ritenere che sia venuto meno il requisito dell’affidabilità.
La circostanza che nel profilo facebook si faccia riferimento a forme di “autotutela” della proprietà privata e sia pubblicata una foto con la pistola in pugno e l’invito a farne uso costituisce un elemento di valutazione, da parte dell’Amministrazione, non incongruo od illogico, tale dunque da non superare il limite sistemico del sindacato giurisdizionale consentito al giudice amministrativo.
D’altro canto - precisa il Collegio - occorre considerare che il rilascio della licenza di porto d’armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio, in deroga al divieto di portare armi sancito dall’art. 699 del cod. pen. e dall’art. 4 della legge n. 110 del 1975; di conseguenza, in tale quadro, il controllo effettuato dall’Autorità di pubblica sicurezza viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe e spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa.
Il potere dell’Amministrazione, conclude il TAR, non è sanzionatorio o punitivo, ma è quello cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità, ragione per cui non occorre un obiettivo ed accertato abuso delle armi, ma è sufficiente la sussistenza di una o più circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso.
Fonte: Giustizia Amministrativa
Enrico Michetti
La Direzione
(2 marzo 2016)
 

Alberto 69

Capo Redattore Rassegna stampa
Membro dello Staff
Supermoderatore
Utente Premium
Messaggi
21,272
Punteggio reazioni
8,037
Punti
650
Armeria online - MYGRASHOP
Sponsor 2024
Indietro
Alto