Consigliio di Stato 2312/2014: Le condotte di parenti non legittimano il diniego di l

axel69

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“AMPIA DISCREZIONALITA’, MA NON LIBERO ARBITRIO !..”

E’ credenza popolare che le colpe dei genitori ricadano sui figli. La Prefettura di Reggio Calabria, invece, ha ribaltato questo antico pensiero, decidendo che le colpe dei figli ricadono sui genitori.
Infatti, quel Prefetto ha ritenuto necessario applicare l’art. 39 del T.U.L.P.S., vietando di detenere armi ad un soggetto ritenuto non affidabile per la sola colpa di essere padre di una figlia accompagnatasi con un personaggio “ricoprente ruoli di primaria importanza in nota cosca della ‘drangheta”.
Il provvedimento è stato motivato con la semplice deduzione che, siccome la figlia si accompagna con un soggetto non affidabile, “non è possibile escludere che le armi” detenute dal padre, ancorchè non convivente, “possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed essere utilizzate per fini illeciti”.
L’interessato, dopo aver esperito ricorso al T.A.R., con esito negativo, ha proposto appello al Consiglio di Stato, riuscendo ad averne l’accoglimento (Cons. St. sentenza 6 maggio 2014, n. 2312).
Il Consiglio di Stato, pur riconoscendo al Prefetto “l’ampia sfera di discrezionalità”, nell’applicazione dell’art 39 del T.U.L.P.S., tuttavia ha rilevato che “le relative determinazioni devono essere sostenute da congrua motivazione” per “l’adozione di una misura che comporta una restrizione della sfera giuridica del destinatario”.
Infatti, il provvedimento ha considerato “unicamente il dato soggettivo del rapporto di affinità” con un soggetto pregiudicato, non evidenziando, né dimostrando, invece, “alcuna stabile frequentazione e contiguità del detentore delle armi con la persona legata da rapporto di affinità, cui possa collegarsi il paventato abuso del titolo autorizzatorio”.
Peraltro, il ricorrente è persona incensurata e moralmente irreprensibile, né sono mai emersi a suo carico rilievi e inadempienze relative alla custodia delle armi.
La giurisprudenza amministrativa è oramai costante sulla illegittimita’ di provvedimenti basati solo ed esclusivamente sul rapporto di parentela con soggetti non affidabili (Cons. St. sentenze 6 ottobre 2005, n. 5438; 5 febbraio 2014, n. 581).
In merito è da tener presente che lo stesso legislatore, con il codice delle leggi antimafia (at. 67 D.L.vo 159/2011), ha riconosciuto al giudice la potestà di applicare divieti e decadenze, in materia di licenze di polizia, anche nei confronti di “chiunque convive con persona sottoposta a misure di prevenzione”, ma solo ed esclusivamente per chi “convive”, non certo nei confronti di soggetti, anche se amici o parenti, che, però, abitino in luoghi diversi.
Sarebbe , dunque, opportuno che il Ministero richiamasse l’attenzione degli uffici interessati, evidenziando la illegittimità di provvedimenti adottati su sole presunzioni astratte o elementi indiziari, confondendo così il principio dell’ampia discrezionalità con quello del libero arbitrio.
Non mancano, peraltro, all’Autorità di P.S. gli strumenti normativi che le permettono di agire efficacemente sulla prevenzione, prima di adottare provvedimenti drastici, come nel caso di specie. Si pensi all’art. 38 del T.U.L.P.S. che riconosce espressamente a detta Autorità la “facoltà di eseguire, quando lo ritenga necessario, verifiche di controllo” nei confronti dei detentori di armi e “di prescrivere misure cautelari che ritenga indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico”.
Oramai, dunque, è certo che i provvedimenti che comportano una restrizione della sfera giuridica di un soggetto, debbono essere adeguatamente supportati da una congrua ed esauriente motivazione, con riferimento ad “eventi e circostanze”, dai quali si possa facilmente dedurre il venir meno dell’affidabilità di un soggetto.
Se è discutibile la credenza popolare che le colpe dei genitori ricadono sui figli, certamente quelle dei figli non possono ricadere sui genitori !...

Angelo Vicari Firenze 24 maggio 2014



Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 27 marzo – 6 maggio 2014, n. 2312
Presidente Cirillo – Estensore Polito

Fatto e diritto
1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, il sig. Angelo Valenzise impugnava per dedotti motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili il provvedimento della Prefettura di Reggio Calabria prot. n. 13342/W/Area I bis in data 25 febbraio 2010, con il quale era disposto nei suoi confronti il divieto di detenere armi, “in quanto padre di Antonella Valenzise (cl. 83) la quale risulta convivere con persona gravata da vicende giudiziarie nonché ricoprente ruoli di primaria importanza in nota cosca della 'ndrangheta operante in Cinquefrondi”.
Nella parte motivata del provvedimento erano posti in rilievo “i rapporti di parentela con soggetto per il quale risultano pregiudizi penali relativi a reati connessi alla criminalità organizzata indicativi di un contesto che incide sulla completa e perfetta affidabilità del soggetto e considerato peraltro che non è possibile escludere che le armi stesse possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed essere utilizzate per fini illeciti”.
Con sentenza n. 913 del 2011 il T.A.R. adito - dopo diffusa ricognizione di precedenti giurisprudenziali nella materia e sottolineata l’ampia sfera di discrezionalità di cui la Amministrazione dispone nel governo della disponibilità di armi da parte dei privati cittadini - respingeva il ricorso.
Avverso la pronunzia reiettiva il sig. Valenzise ha proposto appello ed ha contrastato le conclusioni del primo giudizio insistendo nei motivi di violazione degli artt. 11 e 39 del r.d. n. 773 del 1931 e di eccesso di potere nei profili della carenza, contraddittorietà ed erroneità della motivazione del provvedimento impugnato.
All’udienza di discussione l’appellante ha insistito nelle proprie tesi difensive.
Il Ministero dell’ Interno si è costituito in resistenza formale.
2. L’appello è fondato.
2.2. Come accennato nell’esposizione del fatto il provvedimento di inibitoria della detenzione di armi trae fondamento nel rapporto di affinità del soggetto abilitato alla detenzione di armi con persona nei cui confronti gravano precedenti giudiziari e ricoprente ruoli di primaria importanza in clan malavitoso (coniuge di Antonella Valenzise figlia del ricorrente).
La determinazione di cui innanzi dà rilievo al potenziale vulnus alle condizioni di sicurezza e di incolumità delle persone per la possibile sottrazione dell’arma da parte di persone socialmente pericolose con possibile uso per fini illeciti.
Osserva il collegio che - anche nel quadro dell’ampia sfera di detenzione di cui l’ Amministrazione dispone in ordine all’adozione di provvedimenti impeditivi della disponibilità di armi di offesa a prevenzione di possibili abusi ai sensi dell’art 39 del r.d. n. 773 del 1931 – le relative determinazione devono essere sostenute da congrua motivazione in ordine ai presupposti ed agli elementi significativi che inducono alla adozione di una misura che comporta una restrizione della sfera giuridica del destinatario.
L’ atto impugnato dà rilievo unicamente al dato soggettivo del rapporto di affinità con soggetto nei cui confronti si riscontrano pregiudizi e contiguità alla criminalità organizzata.
Non emerge dagli atti del procedimento il riscontro, sul piano oggettivo, di una stabile frequentazione e contiguità del detentore della armi con la persona legata da rapporto di affinità, cui possa collegarsi il paventato abuso del titolo autorizzatorio. Né, sul piano soggettivo, vengono posti in rilievo precedenti penali a carico dell’appellante e, tantomeno, una condotta di vita che sia segnata da episodi idonei a far
dubitare della sua irreprensibilità morale, ovvero che siano sintomatici di una vicinanza ad appartenenti ad organizzazioni criminali.
In fattispecie analoghe questo Consiglio si è pronunziato nel senso dell’illegittimità del provvedimento di inibitoria basato sul solo elemento soggettivo del rapporto di parentela o di affinità, senza indicare eventi e circostanze da cui possa derivare in fatto il periculum per omessa o insufficiente custodia (cfr. Cons. St. Sez. III, n. 581 del 5 febbraio 2014; sez. IV, n. 1671 del 31 marzo 2003).
Tanto più ove si consideri che nel luogo periodo in cui il ricorrente è stato autorizzato alla detenzione delle armi non sono emersi rilievi ed inadempienze quanto al corretto assolvimento degli obblighi di custodia.
Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto e, per l’effetto, va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il provvedimento impugnato n. 13345 /W/Area I bis in data 25 febbraio 2010. Resta fermo che la presente decisione non preclude in assoluto all’autorità di p.s. l’esercizio dei poteri di controllo e di riesame, qualora emergano elementi di fatto significativi paventato vulnus alle condizioni di sicurezza, ordine pubblico ed incolumità delle persone, nel senso sopra accennato, e ne venga dato adeguatamente conto nella motivazione.
Il relazione ai profili della controversia spese ed onorari possono essere compensati fra le parti per i due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
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