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Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 34748 del 4 maggio 2010 (dep. 27 settembre 2010)
Rilascio di licenza di porto d’armi – Art. 43, comma 2, Tulps – Omicidio colposo mediante omissione – Art. 40, commi 2, 41, 489, commi 1 e 3, cp
È responsabile a titolo di omicidio colposo il funzionario di polizia il quale ha rilasciato l’autorizzazione al porto di fucile per uso tiro a volo in presenza di indicatori di notevole pericolosità, litigiosità e scarsa capacità di autocontrollo del soggetto licenziatario, laddove questi abbia successivamente commesso omicidio doloso con l’arma ac acquistata in forza della predetta licenza.
La vicenda oggetto della pronuncia qui annotata trae origine dal rilascio di una licenza di porto di fucile per il tiro a segno da parte del funzionario di polizia V., dirigente del Commissariato di P.S. Fiera in (omissis). In forza di tale autorizzazione il soggetto licenziatario acquistava una pistola semiautomatica calibro 45 e, pochi mesi dopo, con la medesima arma faceva fuoco sui passanti dalla sua abitazione, sita al terzo piano di un palazzo, cagionando la morte di due persone (fra le quali la propria convivente) e le lesioni gravissime di altri tre passanti, ed infine si suicidava.
Con la sentenza in epigrafe i giudici di legittimità confermano la sentenza della Corte d’Appello che aveva condannato il dirigente del commissariato per i delitti di cui all’art. 40, comma 2, art. 41 e art. 589, commi 1 e 3, in quanto ritenuto responsabile della morte dei passanti, in concorso di cause indipendenti con i medici che avevano sottoscritto le necessarie certificazioni e condannati in via definitiva in un separato processo.
Nella condotta del funzionario che aveva rilasciato la licenza di porto d’armi sono infatti ravvisabili, a parere della Corte, gli estremi della colpa specifica, avendo lo stesso violato le regole cautelari fissate dall’art. 43, comma 2 Tulps (nella parte restata in vigore dopo l’intervento di Corte Cost. 16/12/1993 n. 440), il quale stabilisce che la licenza di porto d’armi possa essere ricusata alle persone a carico delle quali siano stati acquisiti elementi indicativi della insussistenza della buona condotta e alle persone che non diano affidamento di saper evitare l’abuso delle armi.
In particolare, i giudici di legittimità ravvisano la colpa del funzionario nell’aver rilasciato, nella sua qualità di dirigente del commissariato, l’autorizzazione al porto di fucile per uso tiro al volo richiesta da C. nonostante esistessero presso l’ufficio di polizia numerosi atti (querele, annotazioni di intervento, atti di polizia giudiziaria tutti nei confronti del C.) che evidenziavano la pericolosità del richiedente. E, ancora, viene addebitata al funzionario la omessa interrogazione sugli esiti delle notizie di reato conosciute, l’omesso svolgimento di informazioni presso il condominio nel quale il C. abitava e, dunque, il mancato accertamento della condotta aggressiva, litigiosa e incontrollata del richiedente l’autorizzazione.
In presenza di un siffatto quadro complessivo, le regole di ordinaria prudenza e diligenza imponevano al funzionario di esercitare in senso negativo il potere discrezionale di rilascio della licenza in quanto, nonostante la sussistenza dei certificati medici di idoneità psico-fisica, mancavano le condizioni per le quali si potesse ritenere il richiedente quale soggetto alieno dagli abusi o, comunque, fornito di una capacit&aità di autocontrollo tale da scongiurare l’abuso in qualsiasi forma dell’arma.
Sotto il profilo oggettivo, sussiste il nesso di causalità tra il rilascio della licenza di porto d’armi e la condotta omicida del licenziatario a mezzo dell’arma acquistata in forza di quell’autorizzazione in quanto le condotte del C. emergenti dagli atti in possesso dell’ufficio di polizia erano sempre state “caratterizzate da violenza e discontrollo di notevole rilevanza quanto a taluni episodi e quanto al contesto complessivo, e dunque la condotta omicidiaria e lesiva a mezzo di arma da fuoco non era né improvvisa né imprevedibile”.
La Corte sottolinea, inoltre, che non vale ad escludere la rilevanza penale della condotta negligente dell’imputato il riconoscimento della notevole serietà e dell’impegno personale del funzionario nello svolgimento ordinario dei propri compiti, a fronte di un episodio isolato di superficialità nella valutazione dei presupposti per il rilascio della licenza in questione.
Né valgono a escludere la responsabilità penale del funzionario di polizia le condotte dei due medici che avevano sottoscritto le necessarie certificazioni e condannati in via definitiva in un separato processo, né tantomeno le condotte dolose del V., poi suicidatosi.
Si è, infatti, in presenza di un concorso di cause tra loro indipendenti, che sono state autonomamente valutate con individuazione dell’apporto causale di ciascuna.
Sotto tale aspetto, la pronuncia in esame postula la configurabilità di un concorso colposo in un delitto doloso, sia nel caso di cause colpose indipendenti, sia nel caso di cooperazione colposa tra alcuno dei compartecipi dei quali uno o più sia in dolo, purché in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto nella forma colposa e la sua condotta sia caratterizzata da colpa.
Rilascio di licenza di porto d’armi – Art. 43, comma 2, Tulps – Omicidio colposo mediante omissione – Art. 40, commi 2, 41, 489, commi 1 e 3, cp
È responsabile a titolo di omicidio colposo il funzionario di polizia il quale ha rilasciato l’autorizzazione al porto di fucile per uso tiro a volo in presenza di indicatori di notevole pericolosità, litigiosità e scarsa capacità di autocontrollo del soggetto licenziatario, laddove questi abbia successivamente commesso omicidio doloso con l’arma ac acquistata in forza della predetta licenza.
La vicenda oggetto della pronuncia qui annotata trae origine dal rilascio di una licenza di porto di fucile per il tiro a segno da parte del funzionario di polizia V., dirigente del Commissariato di P.S. Fiera in (omissis). In forza di tale autorizzazione il soggetto licenziatario acquistava una pistola semiautomatica calibro 45 e, pochi mesi dopo, con la medesima arma faceva fuoco sui passanti dalla sua abitazione, sita al terzo piano di un palazzo, cagionando la morte di due persone (fra le quali la propria convivente) e le lesioni gravissime di altri tre passanti, ed infine si suicidava.
Con la sentenza in epigrafe i giudici di legittimità confermano la sentenza della Corte d’Appello che aveva condannato il dirigente del commissariato per i delitti di cui all’art. 40, comma 2, art. 41 e art. 589, commi 1 e 3, in quanto ritenuto responsabile della morte dei passanti, in concorso di cause indipendenti con i medici che avevano sottoscritto le necessarie certificazioni e condannati in via definitiva in un separato processo.
Nella condotta del funzionario che aveva rilasciato la licenza di porto d’armi sono infatti ravvisabili, a parere della Corte, gli estremi della colpa specifica, avendo lo stesso violato le regole cautelari fissate dall’art. 43, comma 2 Tulps (nella parte restata in vigore dopo l’intervento di Corte Cost. 16/12/1993 n. 440), il quale stabilisce che la licenza di porto d’armi possa essere ricusata alle persone a carico delle quali siano stati acquisiti elementi indicativi della insussistenza della buona condotta e alle persone che non diano affidamento di saper evitare l’abuso delle armi.
In particolare, i giudici di legittimità ravvisano la colpa del funzionario nell’aver rilasciato, nella sua qualità di dirigente del commissariato, l’autorizzazione al porto di fucile per uso tiro al volo richiesta da C. nonostante esistessero presso l’ufficio di polizia numerosi atti (querele, annotazioni di intervento, atti di polizia giudiziaria tutti nei confronti del C.) che evidenziavano la pericolosità del richiedente. E, ancora, viene addebitata al funzionario la omessa interrogazione sugli esiti delle notizie di reato conosciute, l’omesso svolgimento di informazioni presso il condominio nel quale il C. abitava e, dunque, il mancato accertamento della condotta aggressiva, litigiosa e incontrollata del richiedente l’autorizzazione.
In presenza di un siffatto quadro complessivo, le regole di ordinaria prudenza e diligenza imponevano al funzionario di esercitare in senso negativo il potere discrezionale di rilascio della licenza in quanto, nonostante la sussistenza dei certificati medici di idoneità psico-fisica, mancavano le condizioni per le quali si potesse ritenere il richiedente quale soggetto alieno dagli abusi o, comunque, fornito di una capacit&aità di autocontrollo tale da scongiurare l’abuso in qualsiasi forma dell’arma.
Sotto il profilo oggettivo, sussiste il nesso di causalità tra il rilascio della licenza di porto d’armi e la condotta omicida del licenziatario a mezzo dell’arma acquistata in forza di quell’autorizzazione in quanto le condotte del C. emergenti dagli atti in possesso dell’ufficio di polizia erano sempre state “caratterizzate da violenza e discontrollo di notevole rilevanza quanto a taluni episodi e quanto al contesto complessivo, e dunque la condotta omicidiaria e lesiva a mezzo di arma da fuoco non era né improvvisa né imprevedibile”.
La Corte sottolinea, inoltre, che non vale ad escludere la rilevanza penale della condotta negligente dell’imputato il riconoscimento della notevole serietà e dell’impegno personale del funzionario nello svolgimento ordinario dei propri compiti, a fronte di un episodio isolato di superficialità nella valutazione dei presupposti per il rilascio della licenza in questione.
Né valgono a escludere la responsabilità penale del funzionario di polizia le condotte dei due medici che avevano sottoscritto le necessarie certificazioni e condannati in via definitiva in un separato processo, né tantomeno le condotte dolose del V., poi suicidatosi.
Si è, infatti, in presenza di un concorso di cause tra loro indipendenti, che sono state autonomamente valutate con individuazione dell’apporto causale di ciascuna.
Sotto tale aspetto, la pronuncia in esame postula la configurabilità di un concorso colposo in un delitto doloso, sia nel caso di cause colpose indipendenti, sia nel caso di cooperazione colposa tra alcuno dei compartecipi dei quali uno o più sia in dolo, purché in entrambi i casi il reato del partecipe sia previsto nella forma colposa e la sua condotta sia caratterizzata da colpa.