Alberto 69

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Per i fringillidi occorre distinguere tra specie di cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la cd. caccia in deroga, con disposizione regionale. Soltanto le prime rientrano nella lettera b) dell’art. 30 in esame, mentre per le altre specie si renderà applicabile la lett. h) della medesima disposizione; poiché non vi sono limitazioni di carattere numerico, la medesima lett. b) è dunque configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21/6/2017, il Tribunale di Brescia dichiarava M. G. colpevole della contravvenzione di cui all’art. 30, comma 1, lett. h), l. 11 febbraio 1992, n. 157, e lo condannava alla pena di 400,00 euro di ammenda; allo stesso era contestato di aver abbattuto un esemplare di fringuello, del quale la caccia non è consentita.
2. Propone ricorso per cassazione il G. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
– inosservanza ed erronea applicazione della norma contestata, relativamente al contestato abbattimento di un solo esemplare. Il Giudice non avrebbe verificato che, ai sensi dell’art. 31, lett. g), l. n. 152 del 1997, la detenzione (al pari di caccia, cattura o abbattimento) di fringillidi in numero non superiore a cinque costituisce mero illecito amministrativo;
– inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 28, comma 2, l. n. 157 del 1992, relativamente alla disposta confisca. La misura di sicurezza sarebbe stata disposta in contrasto con la lettera della norma citata, che non contempla – tra i casi nei quali è prevista la misura ablatoria – l’art. 30, lett. h) contestato al Gavazzi. Peraltro, a sostegno della misura disposta dal Tribunale non potrebbe richiamarsi neppure l’art. 240 cod. pen., che, quale norma generale, cederebbe di fronte alla previsione speciale appena indicata.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza e la restituzione del fucile confiscato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato soltanto quanto alla seconda doglianza.
In ordine alla prima, si osserva che l’art. 30, comma 1, lett. b), l. n. 157 del 1992 punisce con l’arresto o l’ammenda chi abbatte, cattura o detiene mammiferi o uccelli compresi nell’elenco di cui all’art. 2; alla lett. h) si prevede, invece, la sanzione penale per chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o fringillidi in numero superiore a cinque o per chi esercita la caccia con mezzi vietati; la stessa pena si applica a chi esercita la caccia con l’ausilio di richiami vietati di cui all’art. 21, comma 1, lett. r).
4. Orbene, la più recente giurisprudenza di questa Corte sostiene – quel che il Collegio condivide – che è configurabile la violazione della lett. b) in esame nel caso di esemplari protetti riconducibili all’allegato 2 della Convenzione di Berna (Sez. 3, n. 23931, 22/6/2010; n. 16441 del 16/03/2011 Rv. 249859); ciò in quanto la lettera dello stesso art. 30, lett. b), richiama l’art. 2 della medesima legge che, oltre alle specie espressamente indicate, alla lett. c) fa espresso riferimento alle specie che le direttive comunitarie o le convenzioni internazionali (o apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) indicano come minacciate di estinzione. Vengono quindi in esame la direttiva 147/2009 del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e la Convenzione di Berna relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979. La prima, all’art. 4, sancisce che “Per le specie elencate nell’allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione”; nell’allegato 1, quindi, include i Fringillidae Carduelinas. L’Allegato 2^ della Convenzione di Berna, così come emendato, dal 27 aprile 1996, a seguito di una revisione delle liste delle specie operata dal Comitato permanente della Convenzione in data 26/1/1996 (pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 1996), espressamente include invece tra i carduelis: Carduelis chloris; Carduelis carduelis; Carduelis spinus; Carduelis flavirostris; Carduelis cannabina; Carduelis flammea; Carduelis hornemanni. Orbene, se è vero che la direttiva 147/2009/CE si limita a prevedere con la norma citata differenti gradi di protezione, e non una generica tutela valevole per tutte le specie indicate, e che non può essere, quindi, considerato decisivo il richiamo a quest’ultima per ricondurre alla lettera dell’art. 30, lett. b), tutte le specie di Fringillidae Carduelinas, tale rilievo non può evidentemente valere per le specie riconducibili al divieto imposto dalla Convenzione di Berna (compresa quella di cui al caso in esame).
Alla lett. h) di cui all’art. 30 in esame, pertanto, occorre avere riguardo solo per le restanti specie di fringillidi, diverse da quelle menzionate; anche per questa disposizione, peraltro, si rendono necessarie talune puntualizzazioni.
5. Come già accennato, la stessa previsione sanziona penalmente con l’ammenda chi abbatte, cattura o detiene più di cinque fringillidi. Qualora il numero di questi, abbattuti, catturati o detenuti, sia inferiore alla predetta quantità, la l. n. 157 del 1992, art. 31, comma 1, lett. h), contempla invece la sola sanzione amministrativa (invocata dal ricorrente). Il sistema sanzionatorio descritto deriva probabilmente, come evidenziato anche dalla dottrina, dalla circostanza che – al momento dell’entrata in vigore della legge quadro sull’attività venatoria – vi erano specie di fringilli che poi sono stati espunti dall’elenco delle specie cacciabili, a seguito dell’emanazione del D.P.C.M. del 22/11/1993. Per effetto di quest’ultimo, pertanto, si è posta la necessità di rivisitare quegli orientamenti di legittimità che avevano recepito l’originaria distinzione normativa; questa Sezione (con la sentenza n. 11111 del 30 marzo 2006, Rv 233668) ha dunque affermato che, dopo l’entrata in vigore del decreto da ultimo citato, le disposizioni relative ai fringillidi appartenenti alla fauna selvatica (senza distinzione tra fringuelli, peppole ed altre specie) non sono più applicabili, giacché la cattura, l’abbattimento o la detenzione anche di un solo esemplare appartenente a tale famiglia sono puniti con l’ammenda ai sensi dell’art. 30, lett. H), trattandosi di specie per la quale la caccia non è consentita in alcun periodo dell’anno.
La sentenza in questione, in tale ottica, ha ritenuto possibile distinguere tra l’abbattimento lecito e quello illecito, a seconda che avvenga o meno nei periodi venatori previsti, e tra il trattamento sanzionatorio penale o amministrativo in base al numero degli esemplari abbattuti, soltanto se e quando fringuelli, peppole o altri fringillidi siano nuovamente inclusi tra le specie cacciabili per effetto di direttive comunitarie o convenzioni internazionali, recepite nell’ordinamento italiano attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (ex art. 18, comma 3), ovvero per effetto di deroghe regionali disposte della l. n. 157 del 1992, ex art. 19 bis, secondo le finalità e i rigorosi requisiti previsti dall’art. 9 della direttiva 79/409/CE (ora 147/2009/CE).
6. Su quest’ultimo aspetto, peraltro, la decisione si allinea evidentemente alle indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 129 del 2004, originata da un conflitto di attribuzione della Regione Lombardia nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002 nell’ambito di un procedimento penale per il reato previsto dalla L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 30, comma 1, lett. h). E, dunque, in presenza di normativa regionale, si è ritenuto ancora operativo il discrimine tra illecito penale e amministrativo costituito dal numero degli esemplari di fringillidi, che per
l’illecito penale deve essere superiore alle cinque unità (ex multis, Sez. 3, n. 40265 del 03/10/2002 Rv. 225700; Sez. 3, n. 47872 del 20/10/2011 Rv. 251966).
7. Conclusivamente, dunque, per i fringillidi occorre distinguere tra specie di
cui è fatto divieto assoluto di caccia da quelle per le quali è ammessa la cd. caccia in deroga, con disposizione regionale. Soltanto le prime rientrano nella lettera b) dell’art. 30 in esame, mentre per le altre specie si renderà applicabile la lett. h) della medesima disposizione; poiché non vi sono limitazioni di carattere numerico, la medesima lett. b) è dunque configurabile nel caso in cui anche uno solo degli esemplari rientri tra quelli indicati al paragrafo precedente. (come peraltro già più volte affermato da questa Corte: Sez. 3, n. 48579 del 13/9/2016, Basile, non massimata; Sez. 3, n. 11111, cit.; successivamente, tra le altre, Sez. 3, n. 40982 del 26/6/2013, Pucillo, Rv. 257732; Sez. 3, n. 47482 del 20/10/2011, Garatti, Rv. 251966; Sez. 3, n. 23931 del 27/5/2010, Fatti, Rv. 247798)
Orbene, alla luce di tutto quanto precede, rileva la Corte che la sentenza impugnata deve essere confermata, non ravvisandosi il vizio denunciato; il Tribunale, infatti, ha fatto buon governo dei principi di diritto appena enunciati, con congrua motivazione, ed ha anche evidenziato che non risultava adottato dalla Regione Lombardia alcun regime derogatorio, sì da rendere punibile la condotta contestata anche a fronte di un solo fringuello.
Deve esser confermata, quindi, la dichiarazione di responsabilità.
8. Per contro, merita accoglimento il secondo motivo di gravame, con il quale si contesta l’avvenuta confisca del fucile impiegato dal G. nella caccia.
Come più volte richiamato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 34994 del 9/7/2015, Biemmi, Rv. 264453; Sez. 3, n. 7390 del 7/1/2015, Lattanzi, Rv. 262420; Sez. 3, n. 6228 del 14/1/2009, Mecucci, Rv. 242774), la l. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 28, comma 2, dispone che, in caso di condanna per le ipotesi di reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), le armi ed i mezzi di caccia siano in ogni caso confiscati.
Si tratta, come chiaramente emerge dal tenore della disposizione, di confisca obbligatoria. Il successivo art. 30 stabilisce poi, al comma 3, che “salvo quanto espressamente previsto dalla presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di legge e di regolamento in materia di armi”. Delle due disposizioni richiamate questa Corte ha fornito, nel tempo, una uniforme interpretazione, rilevando come la norma preveda espressamente la confisca solo in caso di condanna e per le ipotesi di reato esplicitamente indicate.
Con un prima decisione (Sez. 3, n. 15166 del 28/1/2003, Filippone Giuseppe, Rv. 224709), infatti, veniva chiarito che il richiamo operato dal legislatore alla disciplina delle armi non ha natura di rinvio in senso tecnico, tale da determinare un collegamento sanzionatorio tra la normativa sulla caccia e quella in materia di armi trattandosi, al contrario, di una mera precisazione finalizzata ad eliminare ogni dubbio in merito alla possibilità di concorso tra i reati previsti dalle diverse disposizioni, facendo salvo il solo principio di specialità.
E proprio sulla base del rapporto di specialità intercorrente tra la disciplina venatoria e quella sulle armi veniva esclusa la possibilità di applicare il combinato disposto degli artt. 240 cpv. c.p. e l. 22 maggio 1975, n. 152, art. 6, in forza del quale può disporsi la confisca anche in assenza di una pronuncia di condanna quando trattasi di reati concernenti le armi.
9. Successivamente si è specificato che, in caso di condanna per il reato d’abbattimento, cattura o detenzione di specie nei cui confronti la caccia non è consentita, non è possibile procedere alla confisca delle armi in applicazione della l. n. 157 del 1992, art. 28, comma 2, in quanto tale disposizione è riferita ad altre, diverse, ipotesi di reato (Sez. 3, n. 27265 del 8/6/2010, De Meio, Rv. 247930; Sez. 3, n. 6228 del 14/1/2009, Mecucci, Rv. 242744; Sez. 3, n. 43821 del 16/10/2008, Gioffredi, Rv. 241680). Si osservava inoltre, nella richiamata sentenza 11407/2013, che la detenzione di un fucile da caccia non è vietata in modo assoluto, essendo la stessa possibile previa autorizzazione, né detta arma costituisce una cosa intrinsecamente pericolosa. Si ribadiva, conseguentemente, il principio secondo il quale l’unica disposizione operante in materia di confisca di armi detenute e portate legittimamente, ma utilizzate per commettere reati venatori, è quella di cui all’art. 28, secondo comma legge 157/92, che ne impone l’applicazione solo in caso di condanna per le contravvenzioni espressamente indicate.
Principi – quelli appena riportati – che il Collegio condivide ed intende in questa sede nuovamente affermare.
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza senza rinvio, limitatamente alla disposta confisca, confisca che il Collegio elimina.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca, confisca che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2018



Fonte:lexambiente.it
 

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