Re: Nubi nere all'orizzonte...
Giusto per ricordare anche al sig. Grillo contro cui dovrà "cozzare"....
NAPOLITANO, LA LESA MAESTÀ E GRILLO-GUGLIELMO TELL
Con il Regio Decreto n. 1398 del 19 ottobre 1930, Vittorio Emanuele III, “per grazia di Dio e per volontà della Nazione, re d’Italia”, decretava l’approvazione del testo definitivo del Codice Penale, con la firma di Benito Mussolini e del Guardasigilli, il napoletano Alfredo Rocco, estensore del documento che è ancora oggi in vigore ed è ricordato con il suo nome ( “Codice Rocco”).
In perfetta sintonia con i tempi, il Codice conteneva sette articoli che punivano severamente i “delitti contro la personalità interna dello Stato”. I primi quattro (276, 277, 278 e 279) avevano come oggetto la protezione del Re e dei membri della Famiglia Reale, gli altri quella del Capo del Governo, cioè del Duce.
Con l’avvento della Repubblica sono stati aboliti gli articoli che si occupano del Capo dell’Esecutivo, ma non quelli del Capo dello Stato. Il Presidente ha semplicemente sostituito il re.
Vediamo questi articoli superstiti.
Art. 276 (Attentato contro il Presidente della Repubblica) “Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l’ergastolo”.
Art. 277 (Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica) “Chiunque, fuori dai casi previsti dall’articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”.
Art. 278 (Offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica) “Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
Art. 279 (Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica) “Chiunque, pubblicamente, fa risalire al Presidente della Repubblica il biasimo o la responsabilità degli atti del Governo è punito con la reclusione fino a un anno e con la multa da lire mille a diecimila” (poi aggiornato per svalutazione a 103 e 1.032 Euro).
I primi due articoli sono piuttosto ragionevoli nel contenuto ma introducono una evidente differenza fra il Presidente e i comuni cittadini, attentare alla vita o alla libertà dei quali “costa” molto meno. Ed è anche stato fatto un passo avanti, perché gli articoli redatti da Rocco prevedevano addirittura la pena di morte e la reclusione anche per chi attentasse al Reggente, alla Regina, al Principe Ereditario e ad altra persona della Famiglia Reale. Per fortuna i parenti dei Presidenti sono oggi esclusi da questa affettuosa protezione.
Nel dopoguerra gli articoli 278 e 279 accorciano le pene detentive ed è buffo che prevedano per chi offenda l’onore del Presidente gli stessi anni di carcere che erano previsti un tempo per la Regina.
In uno slancio di pudore democratico l’articolo 279 è stato abrogato nel 2006.
Resta, granitico, l’articolo 278, che viene utilizzato in questi giorni dalla Procura di Nocera Inferiore per indagare gli ignoti che su Internet offendono l’onore e il prestigio del Capo dello Stato, “istigati” dalla recente polemica con Beppe Grillo e dalla sua reazione alla poco elegante sortita di Napolitano sul “boom” elettorale del Movimento Cinque Stelle.
Assieme a svariati altri articoli che si occupano di “vilipendio” alla Repubblica, alla Nazione, alle Forze Armate e alla Bandiera (tutte scrupolosamente maiuscolate), questo costituisce il più autentico residuo di antiche consuetudini autocratiche, e in particolare dell’arcaico delitto di “lesa maestà”, nonostante che la “maestà” dovrebbe essere stata sostituita da tempo da un rappresentante e da un garante della democrazia.
Insomma, in Italia non si può parlar male di Garibaldi (anche se nessun articolo si occupa del dettaglio) e soprattutto non si può farlo del Presidente: si può infierire contro il Buon Dio e tutti i Santi (un po’ meno contro Allah), ma sicuramente si deve portare formale rispetto per il residente del Quirinale. Naturalmente la cosa dovrebbe essere interpretata come una difesa della rispettabilità della carica e non della persona fisica che la riveste ma è una distinzione difficile da fare per chi non ne può più, e ancora più difficile, se non impossibile, per chi intenda reprimere con durezza ogni dissenso. É già difficile non provare riprovazione nei confronti di una istituzione che costa ai contribuenti più di 200 milioni l’anno e che si avvolge di liturgie bizantine, ma il confine fra rispetto sincero e formale risulta particolarmente labile nel caso del signor Napolitano, poco adatto ad attirare simpatie per la sua storia personale, per la sua peculiare visione del suo ruolo politico, ma anche e soprattutto per talune poco eleganti prese di posizione: dai suoi giudizi poco benevoli su chi ha manifestato opinioni non del tutto allineate sul 150° dell’unità alle recenti sortite sui grillini.
In democrazia nessuno può essere sopra la legge, e non è neppure bello che la legge non impedisca che si possano impunemente insultare e insolentire milioni di persone per i motivi più vari ma che si debba stare attenti anche solo a come si guarda chi invece è protetto dalla “lesa maestà” garantita da un Codice fascista. Il mito di fondazione dell’indipendenza e della libertà svizzera ricorda che tutto era nato dal rifiuto di Guglielmo Tell di salutare un cappello, cioè di manifestare formale (e servile) ossequio a un simulacro del potere. Come se la cava Grillo nell’uso della balestra?
14 Maggio 2012