I giudici e il piccione
CORRIERE DELLA SERA Milano
I 18 magistrati impegnati
per il piccione ucciso
Già sei gradi di giudizio per la vicenda del volatile colpito col
fucile ad aria compressa da un legale
di Giuseppe Guastella
Il Tribunale di Milano
Per quasi 5 anni 18 magistrati si sono occupati della morte di un
piccione in un andirivieni di processi che è la dimostrazione lampante
di come la giustizia italiana possa riuscire a perdere tempo pestando
acqua in assurdi bizantinismi. E non è ancora finita. Tutto comincia
il 6 giugno 2010 quando un avvocato di 50 anni si affaccia ad una
finestra della sua villetta nella zona est di Milano e con un colpo di
fucile ad aria compressa centra un piccione che cade morto nel cortile
del palazzo a fianco. I vicini, secondo i quali da due anni l’avvocato
sparava agli uccelli, chiamano i Carabinieri.
Ai militari che bussano alla villetta si presenta un uomo «in palese
stato di ebbrezza alcolica», scrivono nel verbale firmato in quattro,
che dice di avere sparato perché anni prima suo figlio si era ammalato
ed era «entrato in coma a causa di uno di questi volatili». Per
rimuovere la carcassa dell’animale deve intervenire un mezzo speciale
del Comune. Uccisione di animali con crudeltà e «getto pericoloso di
cose» (il proiettile) in luogo privato di uso altrui, recita l’accusa
formulata dal pm della Procura al gip Bruno Giordano, che quattro mesi
e mezzo dopo il fatto emette un decreto penale condannando il reo
confesso a ottomila euro di multa. L’imputato non ci sta, si oppone e
chiede di essere giudicato con il rito abbreviato. Per quei reati la
prescrizione è di cinque anni. I primi due vanno via ancor prima che
il fascicolo arrivi sul tavolo del giudice Andrea Ghinetti che il 6
marzo 2012, su richiesta di un secondo pm, condanna l’avvocato a un
mese e 20 giorni di arresto con la condizionale.
La cosa potrebbe finire qui, ma anche stavolta lo sparatore non si
ferma e, avvalendosi di ogni suo diritto, fa appello perché,
sostengono i suoi due difensori, le prove erano insufficienti, nessuno
ha visto sparare, i Carabinieri non hanno «redatto un verbale per
constatare lo stato del piccione» e, poi, chi l’ha detto che l’uccello
è stato ucciso dal proiettile? Non potrebbe essere che si è fatto male
da solo andando a sbattere contro un ramo? E «se fosse davvero morto
per cause naturali?». E la confessione? «Inutilizzabile» perché resa
senza la presenza di un avvocato.
Il processo d’appello (tre giudici e un sostituto procuratore generale
per l’accusa) l’ 8 ottobre 2012 conferma la condanna dopo aver
analizzato il caso da capo a piedi. Neppure questo basta a far
desistere gli avvocati che spostano la battaglia in Cassazione. La
prescrizione continua a correre.
Bisognerà aspettare 16 mesi prima di sapere cosa 5 giudici della terza
sezione penale rispondono al pm che, manco a dirlo, chiede la conferma
della condanna. Gli ermellini approfondiscono anche loro il caso,
quasi ci si appassionano. Vergano tre pagine di motivazioni che
confermano come al solito la condanna. Ma attenzione, solo per
l’uccisione dell’animale rimandando indietro la questione del «getto
pericoloso» perché non era stata sufficientemente motivata
dall’Appello. Si torna a Milano il 30 gennaio 2015, Corte d’appello,
sezione quarta. Il ricordo del piccione continua a vivere solo nelle
aule di giustizia. Tre giudici e il sostituto pg Gaetano Amato
Santamaria, che con tutti gli altri che li hanno preceduti fanno la
bellezza di 18 magistrati con i quali hanno lavorato qualche decina di
cancellieri e impiegati, per l’ennesima volta analizzano la sorte
dell’animale finendo perfino a disquisire se il «getto» potesse
riguardare la caduta «del corpo stesso del piccione ferito e
agonizzante precipitato tra le persone» e non il pallino che lo ha
trapassato ad un’ala. Sentenza confermata di nuovo anche per il
secondo reato. Ci vorrebbero 30 giorni per le motivazioni, ma il
presidente Francesca Marcelli le deposita il 10 febbraio.
Il gong finale della prescrizione suonerà a giugno 2015, ma c’è ancora
la possibilità di un ricorso in Cassazione: altri sei magistrati.
Resta la condanna definitiva per il primo reato, ammesso che ci sia un
magistrato dell’esecuzione che tra i fascicoli che gli sommergono
l’ufficio abbia anche lui tempo da dedicare al povero piccione e al
suo uccisore.
13 febbraio 2015 | 09:04