Non approvo in nessun modo quei bracconieri.
Eppure nei racconti di mio zio che era di Palmi rivivo tutt'oggi l'enfasi delle sue parole nel descrivere quella caccia che anche lui aveva praticato finchè permessa. L'essere eletto "sindaco" (colui il quale nell'intero periodo non aveva ucciso almeno un adorno), l'essere dileggiato con l'appellativo di "*******", lo sfottò nelle piazze verso il malcapitato "padellaro" di pecchiaioli erano solo il contorno di un'attività venatoria che aveva, di fatto, radici più profonde.
Gli adorni passavano solo sullo stretto di Messina e in brevi tratti della costa tirrenica. Chi è di quelle parti lo sa bene. Ogni luogo conserva o ha una connotazione venatoria, una tradizione legata ai selvatici di quel posto ecco perché "l'aciaddu" rivestiva per i cacciatori locali una grande opportunità.
Ma ancora più di tutto questo erano la bellezza di quel trofeo, la difficoltà dell'abbattimento (tiri spesso lunghi perché nel suo modo di prendere le correnti ascensionali l'adorno svolgeva vasti giri concentrici cosicché il cacciatore doveva saper scegliere il "volteggio" che gli si presentava utile) e non ultimo il paesaggio di una bellezza ineffabile. Chi può immagini scogliere alte e aspre con vegetazione d'arbusti e qualche pianta che si gettano selvaggiamente sul mare meraviglioso.
I racconti di zio erano conditi di storie di personaggi che sacrificavano tempo, denaro ma che addirittura arrivavano a far stringere rapporti umani tra le persone di quell'epoca (si pensi a comparaggi e addirittura a combinare matrimoni per avere una buona posta per la caccia all'adorno) e anche numerosi dispetti.
Oggi per mancanza di conoscenza, perché quella caccia non l'abbiamo mai vista ma soprattutto perché, giustamente, l'adorno va protetto in ogni modo, liquidiamo il problema con frasette ovvie. Eppure a pensar bene in ogni parte d'Italia vi è qualche tradizione (anche illecita) discutibile o fuori dai tempi.
Viva l'adorno, la caccia che è stata e NON dovrà più essere.