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Mister Robertson[/h]
[h=2]Il cacciatore “omofobo” non ha chiesto scusa come Barilla. E’ stato il ministero della Tolleranza a farlo[/h]
Camille Paglia, la esile ma aggressiva madrina del dissenso femminista, aveva parlato di “tattiche staliniste e fasciste usate contro Phil Robertson”. Di lui, del cacciatore più famoso d’America, l’inventore del “Duck Commander”, uno speciale richiamo per gli uccelli che ha avuto uno strepitoso successo commerciale dagli anni Settanta, il Foglio aveva parlato il 21 dicembre scorso. Raccontando di come il protagonista di “Duck Dynasty”, il reality show da quattordici milioni di spettatori prodotto dal network A&E, era incappato nelle ire del politicamente corretto e della polizia del pensiero con una intervista a una delle riviste più radical chic d’America, GQ, in cui Robertson esponeva la sua visione del mondo. “Tutto quel che dovete fare è guardarvi attorno e vedere che cosa ne è delle società che hanno eliminato, o non hanno mai conosciuto Gesù”, dice il magnate-cacciatore. “Vi faccio quattro esempi: nazisti? Niente Gesù. Gli scintoisti? Hanno iniziato a far qualcosa di veramente brutto a Pearl Harbor. C’era Gesù con loro? No. I comunisti? Neanche loro. Gli islamisti? Zero Gesù. Negli ultimi ottant’anni sono sorte ideologie in cui Gesù non poteva entrare. E guardate all’incredibile numero di omicidi commessi da queste quattro ideologie”.
Il putiferio scoppia quando Robertson parla dell’omosessualità: “Il peccato è diventato accettabile”. E ancora: “Per me, in quanto uomo, una vagina sarebbe molto più desiderabile dell’ano di un uomo. Sono fatto così. Sto solo pensando: c’è di più! Una donna ha di più da dare! Voglio dire, dài, ragazzi! Capisci cosa voglio dire? Non è razionale, amico mio, non è razionale”.
L’emittente A&E sospende a tempo indeterminato il cacciatore-celebrità e i commentatori liberal, la brava gente di spettacolo e le associazioni per i diritti civili formano una sorta di “ministero della Tolleranza”, come è stato ribattezzato dal giornale Human Events, per svergognare e impoverire, letteralmente, il reprobo Robertson e la sua famiglia di “redneck millionaires”, questi milionari cafoni.
Dunque un caso Guido Barilla all’americana, come l’industriale della pasta che ha chiesto scusa di fronte al mondo per aver detto alla radio che il matrimonio lui lo intende fra un uomo e una donna. Soltanto che Robertson non ha chiesto scusa. Alla fine sono stati i suoi avversari a farlo.
Il giorno dopo il lancio dell’offensiva per la sua estromissione, Phil Robertson diffonde un comunicato in cui ribadisce la sua “missione”. Anche la famiglia Robertson, a cui la stampa liberal chiede di “dissociarsi” dal capofamiglia, lo difende: “Phil è un uomo del Signore che segue gli insegnamenti della Bibbia. Phil non ha mai istigato odio contro alcuno. Siamo delusi dal fatto che Phil sia stato messo in mezzo a questa bufera per aver espresso la sua fede, il che è un diritto protetto dalla Costituzione”.
Ma intanto il network televisivo ingiunge a Robertson di pentirsi in pubblico e di chiedere scusa. Lo sponsor di Robertson, la catena di ristoranti Cracker Barrel, ritira dalla vendita i gadget con l’immagine del patriarca. Non soltanto Robertson non chiede scusa, ma manda a quel paese tutto il plotone di esecuzione. Facebook, storico alleato dei gruppi Lgtb, chiude per “eccesso di traffico” un sito pro Robertson che in poche ore aveva ricevuto 900 mila “likes”. Twitter blocca i tweet dei sostenitori del cacciatore “omofobo”.
Robertson aveva fatto sapere che non si sarebbe accontentato di essere riassunto. Voleva le scuse del network, e anche della comunità gay che aveva violato la sua libertà di parola. Alla fine si è scusata la rete A&E, si è scusato Twitter, si sono scusati dalla Cracker Barrel. La caccia alla strega aveva fallito. Robertson è tornato in televisione dai boschi di West Monroe, Louisiana, armato della sua Bibbia, della sua tuta mimetica, del suo fucile, della sua lunga barba e di quelle idee semplici e indigeribili alle élite che volevano farne un cafone della morale.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Giulio Meotti