L'ultimo San Giuseppe
Il giovane e suo padre lasciarono Roma prima dell'alba nella vecchia Ford Consul bianca. Arrivarono alle piane del Tevere, poche miglia da Fiumicino, e parcheggiarono al ciglio della strada, a mezzo chilometro dalla caserma, appena in tempo per ascoltare l'alzabandiera propagato dgli altoparlanti del sito militare. Attraversarono un maggese per arrivare all'argine del biondo dio dei Quiriti. L'argine era alto e coperto di cespugli. e alberi sparsi.
Poco prima di arrivare all'argine il giovane fu sorvolato da un branchetto di uccelli, che nella sua inesperienza gli sembrarono allodole. Ne stacco' uno con una fucilata ben azzeccata, e con grande sua sorpresa raccolse non un'allodola, ma un bel bottaccio grasso. Non aveva mai visto un branchetto di tordi quando cacciava negli uliveti della Sabina, solo individui isolati, o branchetti di due, tre, o al massimo quattro o cinque tordi. Ecco perche' aveva creduto che fossero allodole. Nel cielo terso, altissimi veleggiavano parecchi aironi, forse aspettando il vento propizio che li spingesse verso nuovi lidi.
Con la luce del giorno cominciarono ad arrivare tanti uccelli di tutte le specie: allodole, tordi, storni. Molti, alti, proseguivano verso il mare, verso il nord. Ma tanti, attratti dai cespugli e dalla promessa di qualche bacca o qualche chiocciola uscita nella guazza della notte, si buttavano verso l'argine. Il giovane e suo padre per chissa' quale ragione non dovevano competere con altri cacciatori, cominciarono a "lavorare" l'argine, il giovane sul sommo, il padre sotto, camminando sul maggese. Dai cespugli partivano, zirlando, tanti tordi, saettando come beccaccini. I due cacciatori ne sbagliarono diversi, ma ne fermarono piu' di quelli che la scampavano. Tanti altri frullavano fuori tiro.
Ogni tanto passava una punta di storni a tiro di fucile, e anche quelli pagarono il dazio. Passavano anche pavoncelle e pivieri, e anche qualche punta di alzavole, ma a tre tiri di schioppo. Il giovane, vedendoli arrivare, si abbassava, sperando e pregando che venissero a tiro, ma questi uccelli ambitissimi non avevano alcuna intenzione non dico di abbassarsi, ma neanche di rallentare. Verso le nove il ripasso scemo' quasi improvvisamente. Ancora qualche tordo o storno ritardatario e un paio di merli incassarono o schivarono le schioppettate dei due. Il giovane scese giu' dal sommo dell'argine e comincio' a incrociare sul maggese come un pointer che descriveva i suoi lacets, sperando di incontrare e frullare un beccaccino o magari un croccolone. Ma dopo un po' dovette desistere perche' il sole cominciava a farsi caldo e camminare su quel maledetto maggese era una fatica del diavolo. Si fermarono all'ombra di un albero a fare colazione. Erano le dieci e mezza e non volava piu' nulla, se non qualche branco di storni alti nel cielo come una spruzzata di pepe nero contro il bianco delle nuvole che avevano cominciato a spezzare il blu del cielo. Ma avevano i fucili pronti ai loro piedi. Un gruppetto di tre gambette, altissime, stava venendo verso di loro. Il giovane neanche mise giu' il panino per afferrare il suo sovrapposto. Eppure aveva il vizio, spesso rimproverato da suo padre, di fare tiri esagerati, sprecando cartucce inutilmente. Invece proprio suo padre afferro' la Bernardelli Roma e spedi' una Winchester Standard del 9 attraverso la canna piu' strozzata. La gambetta di punta sembro' volare indenne per un secondo o due, ma poi incontro' il piombo e si accartoccio', cadendo poi ai loro piedi. "Roba da non credere!" esclamo' il figlio. "Manico, manico!" rispose il padre, sorridendo.
Con i laccioli carichi di uccelli, i due attraversarono il maggese e tornarono alla Consul. Durante il viaggio parlarono poco, assaporando invece la felicita' di una giornata passata insieme nella grande passione che li accomunava, e rivivendo mentalmente ogni colpo andato a segno.
Arrivarono a Roma poco prima di mezzogiorno. Si fermarono sull'Appia Nuova fra piazza San Giovanni e Piazza Re di Roma davanti alla pasticceria Partenopea. Con i fucili a spalla le cartuccere quasi vuote e i due mazzi di uccelli impiccati ai laccioli che pendevano dai passanti dei pantaloni entrarono pieni d'orgoglio nella pasticceria. Ordinarono due vassoi di bigne' di San Giuseppe, quelli fritti e imbottiti di crema, e mentre i vassoi venivano preparati si mangiarono due sfogliatelle calde, appena sfornate. Gli altri clienti della pasticceria si complimentavano con loro per i ricchi carnieri. Uno disse, guardando i tordi, "Che belle pernici!"
Bilanciando i vassoi sulle loro mani tornarono alla macchina e da li' si diressero a casa. Invece di parcheggiare sotto casa, il padre preferi' parcheggiare nel garage dall'altro lato dell'isolato di palazzoni anteguerra. Cosi' avrebbero potuto fare il giro lungo intorno all'isolato per sfoggiare i loro carnieri...
Fu l'ultimo San Giuseppe a caccia insieme. Le tempeste della vita cominciarono a soffiare, e il padre non ebbe piu' il tempo e la voglia di andare a caccia, preoccupato com'era di debiti, cambiali, conti da pagare. Il figlio continuo' a cacciare, e ancora caccia, ancora accompagnato dal ricordo del padre,ormai morto da quasi mezzo secolo.