Toscana: Allevamento di ungulati a cielo aperto

e secondo il relatore la situazione attuale di ingovernabilità a livello di regioni si risolve se la palla passa a livello statale per cui si dovrebbe ricavare una sola soluzione uguale per tutta italia ?
cosi la prima "brambilla" di turno ti fa una bella legge anticaccia e lo mette al c**o a tutti ?
forse è meglio che atterra sul pianeta terra , si faccia un giro nel parlamento romano facendo un sondaggio sulla caccia e poi ne riparliamo ...
 

Alberto 69

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Ritenendo che possa costituire una buona base di discussione sul problema della gestione della fauna selvatica in Italia, pubblichiamo la relazione del dr. Paolo Banti, dirigente dell'Ufficio Caccia della Regione Toscana, in occasione del seminario tenutosi all'Accademia dei Georgofili (Firenze) lo scorso 28 febbraio 2013.

La gestione faunistica è materia complessa, che si articola principalmente su quattro filoni: la fauna migratrice, la piccola selvaggina stanziale, gli ungulati e le specie alle quali è accordato un particolare regime di protezione.

Tutte le specie selvatiche sono protette, anche quelle cacciabili hanno regimi di protezione, come previsto dalla L. 157/92, che all’art. 1, comma 2, recita “l’esercizio dell’attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica….”.

Il comma 3 prevede che ”le regioni provvedono ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica…”, rafforzando così il concetto del comma precedente.

Questo dettato, che considera tutta la fauna alla stessa stregua, era sicuramente valido all’inizio degli anni ’90, quando la popolazione di ungulati selvatici era limitata nei numeri e negli areali occupati, i danni alle coltivazioni agricole erano sostenibili e gli incidenti stradali causati dalla fauna una vera rarità.
Inoltre, in quegli anni, il numero dei cacciatori era elevatissimo, in Toscana erano circa 150.000, nell’intero Paese quasi 1,5 milioni e molti di questi erano giovani, quindi particolarmente attivi nell’attività venatoria.

Adesso il quadro è mutato radicalmente, i 21 anni passati dall’approvazione della L. 157/92 hanno visto una trasformazione della realtà che per molti versi ha ribaltato le posizioni, anche sotto il profilo giuridico a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione che è intervenuto sull’assetto delle competenze in materia.

E’ l’insieme di tutte le componenti che gravitano attorno alla fauna selvatica a farci riflettere sulla necessità di un diverso approccio, sia tecnico che politico o economico.

L’agricoltura è oggi tra i settori produttivi maggiormente incisivi sulla bilancia commerciale, una delle voci principali di export e di produzioni di eccellenza.

Gli agricoltori toscani in particolare hanno sempre compiuto la scelta delle produzioni limitate ma di elevata qualità, dove la perdita di prodotto non può semplicemente essere rimborsata con una somma in denaro, perché spesso si trasforma in perdita di mercato, che nessun indennizzo potrà compensare. Ma in tutto questo c’è una nota stonata: gli ungulati selvatici, nati sul territorio delle aziende agricole, cresciuti con produzioni che, spontanee o meno, sono di proprietà dell’azienda agricola, divengono automaticamente patrimonio indisponibile dello Stato. Questo è tollerabile quando i numeri sono limitati o quando le specie sono protette, ma non può essere il quotidiano, l’ordinario.

Se le aziende agricole perdono produzione, perde produzione il sistema Italia, se le aziende chiudono, chiude un pezzo di Italia ed i posti di lavoro persi vanno a carico di un sistema che non sopporta altri pesi.

Su una tematica così importante non si può pretendere che le scelte gestionali siano fatte nelle aule giudiziarie, di tutti i livelli, dal TAR fino alla Suprema Corte, passando attraverso Procure e Tribunali.

I pareri che le Regioni devono richiedere per la gestione faunistica, non possono identificare un mondo perfetto dove l’habitat ideale di un cinghiale è un bel campo di mais a maturazione cerosa attraversato da un limpido torrente. Di cinghiali in Toscana ne abbiamo fra 160.000 e 180.000, altrettanti caprioli e poi daini, cervi e mufloni, quindi un carico di circa 300/350.000 capi ungulati. E nonostante questo la gestione deve essere conservativa anche per gli ungulati, lo dice una legge di 21 anni fa.

Tutto ciò non è più sostenibile. Questi pareri, anche se tecnici, devono essere emessi solo dopo essere stati concordati in Conferenza Stato/Regioni e deve anche cambiare l’atteggiamento di chi costruisce le linee guida gestionali sulla base della bibliografia scientifica, senza un raccordo con la realtà del territorio e nemmeno con l’impresa, che infine è quella che subisce tutte le scelte.

Le Regioni devono poter individuare il carico massimo sopportabile dal territorio in rapporto a fattori ambientali, economici, occupazionali e di sicurezza.

I capi eccedenti devono poter essere prelevati avendo la massima copertura normativa per non dover continuamente soggiacere a ricorsi e denunce.

Altrimenti entra in gioco la retorica, nella quale determinate ideologie, del tutto scollegate dalla realtà produttiva, continuano a contrastare le posizioni delle Regioni affermando che queste operano solo per sostenere i cacciatori.

Dobbiamo renderci conto che oggi non si tratta di sostegno alla caccia, ma di tutela delle aziende produttive e, francamente, il dibattito “caccia si, caccia no” ormai ci appassiona molto poco. Chiaramente dovranno essere individuati nuovi sistemi per ridurre la pressione di queste specie, ma il problema nasce dall’applicazione della L. 157.

La Regione Toscana ha avuto idee molto precise su come arginare il fenomeno e garantire un’adeguata presenza delle popolazioni selvatiche. Purtroppo le formule adottate, proprio quando cominciavano a dare risultati concreti, hanno subìto una battuta di arresto per aspetti giuridici collegabili a norme nazionali ormai superate dalla realtà

Su questa base possiamo individuare due posizioni opposte ed i soggetti promotori di entrambe:

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Come molti sostengono la Toscana è ormai un allevamento di ungulati a cielo aperto, quindi le basi normative di riferimento devono cambiare. Serve una nuova intesa, va rilanciato un percorso normativo nazionale sul quale confrontarsi, a partire dalla messa a punto di un apposito disegno di legge che il nuovo Parlamento dovrà approvare con la massima urgenza, che affronti direttamente il conflitto agricoltura/fauna.

Capisco che è molto più facile accontentare un’opinione pubblica animalista piuttosto che parlare di “gestione non conservativa” per non dire “densità zero ungulati” in quelle aree dove tali specie non possono convivere con l’indirizzo produttivo, ma questa strada è ineludibile e in questo percorso saranno parte attiva le Organizzazioni rappresentative del mondo agricolo.

Scordiamoci che ci siano alternative o di andare a ricercare le colpe, la situazione è questa e deve essere risolta. Deve essere risolta dalle Regioni, che saranno in grado di farlo se potranno applicare gli strumenti più idonei, senza pastoie e senza il continuo ricatto dei ricorsi che scattano puntualmente ogni qualvolta un ente democraticamente eletto si scosta dal verbo di chi si sente depositario della verità. E non è vero che i pareri devono solamente essere richiesti, ma poi non è obbligatorio uniformarsi a questi, tesi ricorrente e più volte ripresa da chi i pareri li esprime guardando solo una faccia della medaglia. Ogni volta che l’amministrazione vi si discosta, partono immediati i ricorsi e nelle aule di tribunale i pareri risultano superiori alla norma nazionale, in quanto vengono considerati il livello minimo di conservazione al quale uniformarsi.

Questa è la situazione attuale

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Questa è invece quella che dovrebbe essere


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Di conseguenza, visto che questo non è, sarebbe preferibile che la gestione faunistica non fosse più demandata alle regioni. Dovremo insistere perchè lo Stato si riprenda la delega e predisponga i piani di gestione con il parere dei propri organismi tecnici.

Un altro tipo di soluzione potrebbe essere la realizzazione di un Istituto regionale, peraltro previsto dalla L.157, che analizzi la particolare situazione toscana, ma ovviamente questo avrebbe dei costi aggiuntivi per l’Amministrazione.

Al momento non possiamo che augurarci la fine di questa situazione di ingovernabilità, nella quale da una parte viene assegnata una competenza, dall’altro si nega l’autonomia decisionale e si forniscono anche i metodi gestionali ai quali uniformarsi.

Ma vi sembra una missione possibile quella affidata alle Regioni, che oltretutto devono metterci ogni giorno la faccia?
 
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