Re: La caccia grossa ieri oggi e domani

Nè più nè meno ciò che succedeva in maremma. ho ascoltato racconti di caccia fin dalla più tenera età e poi ho cominciato a viverli. Purtroppo, anche se certe tradizioni e regole non scritte vengono ancora mantenute e rispettate, questa caccia si va sempre più "deteriorando". I tempi sono profondamente cambiati e cambiano di anno in anno in modo esponenziale. Dobbiamo star dietro a mille leggi e leggine, regolamenti il più delle volte letteralmente inventati da qualche burocratello. Anche gli uomini sono cambiati, ancor solo nei primi anni che cacciavo, la braccata era appannaggio di soli veri appassionati, ora sempre più cacciatori si danno al cinghiale per mancanza di altra selvaggina o magari di dicembre quando il passo è fermo. Caccia di ripiego insomma.
Mi piacerebbe vedere gente che si avvicina a questa caccia umilmente, cercando di capire le dinamiche e regole fondamentali che governano il "gioco", invece di star a pensare al tal calibro e la migliore palla, il cinghiale muore pure col 12 con cui vai a tordi.
Ma non mi arrendo, continuo a fare il mio lavoro in squadra e per quel che posso cerco di tramandare quel poco di buono che sò e poi...sia quel che sia.
 
Re: La caccia grossa ieri oggi e domani

Quelli si che erano bei tempi.
Cmq ti posso dire che in un paesino di campagna come il mio, che conta poco più di 100 abitanti, questi valori nei confronti delle persone e della natura, in particolare fra cacciatori, esistono ancora.....purtroppo siamo rimasti pochi, ci contiamo sulla punta delle dita e spesso sono proprio quelli che vengono da fuori a cacciare nelle nostre terre che non si comportano come dovrebbero.
 
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La caccia è stata l'attività che per lunghissimo tempo ha contribuito a soddisfare parte del fabbisogno alimentare delle popolazioni di tutto il mondo costituendo la prima e la più importante occupazione dell'uomo. Questi con il trascorrere dei millenni ne ha messo in pratica le forme più svariate adattandole alle varie specie di selvaggina e ai territori nei quali la esercitava.
Con l'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento la caccia ha in parte perduto questa sua funzione originaria per poi rivestirla nuovamente durante particolari fasi storiche.
Durante il millennio scorso gli abitanti della Sardegna hanno quasi sempre dovuto fare i conti con dominazioni straniere ( si pensi ai circa 400 anni di presenza degli Spagnoli e a quelli successivi che videro i Piemontesi farla da padroni) . Furono secoli durissimi fatti di stenti e miseria durante i quali procacciarsi il cibo dando la caccia agli animali selvatici era una necessità imprescindibile.
Anche negli anni durante i quali nel mondo si svolsero le due guerre planetarie la situazione non era molto differente quindi possiamo tranquillamente affermare che la caccia ha costituito un mezzo di sostentamento per le genti di Sardegna fino a non tantissimi anni fa.
Credo che la caccia al cinghiale in modo particolare sia quella che ha avuto il ruolo più importante.
Testimoni della storia di questa pratica venatoria sono i cacciatori più anziani custodi delle proprie esperienze personali ma soprattutto dei racconti dei loro genitori e dei padri di questi.
Mi è capitato tante volte di assistere a discussioni fra cacciatori anziani che narravano di storie di caccia grossa e ho sempre ascoltato con l'attenzione dovuta durante la lettura di un libro di storia, cercando di cogliere tutti i particolari che mi permettessero di comprendere cosa sia stata la caccia al cinghiale, da quali meccanismi sia stata governata, quali fossero le leggi non scritte che la hanno disciplinata per poi avere un'idea di quale possa essere la caccia grossa di oggi e del futuro.
Ho potuto apprendere che proprio per la grande importanza che ha rivestito per la sopravvivenza della gente la caccia al cinghiale in Sardegna è stata caratterizzata da regole molto rigide: la disciplina, il rispetto dei compiti assegnati, lo spirito di gruppo e il sacrificio dei singoli per il raggiungimento degli obbiettivi comuni costituivano i punti cardine su cui poggiava questo tipo di attività.
Coloro i quali praticano la caccia grossa nell'ambito di compagnie nelle quali viene preteso un certo modo di comportarsi, sanno bene di cosa sto parlando, anche se oggigiorno le cose in parte rilevante sono cambiate.
Il capocaccia era la figura che rivestiva la massima importanza in ciascuna compagnia di caccia grossa e la sua autorevolezza era riconosciuta dagli altri membri sia per la sue capacità che per le sue qualità dal punto di vista morale. Per questi motivi le regole impartite dal capocaccia venivano sempre rispettate senza contestazioni.
La prima cosa che veniva imposta ad un nuovo membro di una compagnia di caccia grossa era la massima serietà e la massima attenzione nel maneggio delle armi: non veniva tollerato alcun episodio che potesse mettere a rischio l'incolumità di persone e cani. A questo proposito ho sentito parlare di un tale che sparando ad un cinghiale colpì e uccise per errore un cane che lo braccava da vicino: quel tale abbandonò la compagnia e non imbracciò mai più un fucile.
La compagnia operava secondo piani prestabiliti sia per il buon andamento delle battute che per evitare che potessero verificarsi incidenti per cui ognuno doveva eseguire scrupolosamente il compito che gli era stato affidato e non poteva assolutamente improvvisare agendo di testa propria.
Si tenga presente che era molto difficile entrare a far parte di una compagnia di caccia grossa e lo si considerava un grande onore ma era anche facilissimo farsi buttare fuori se non si rispettavano le regole.
La caccia non aveva mai come obbiettivo le carneficine, si prelevava il giusto ed era mal vista l'esibizione dei trofei.
I rapporti fra le compagnie erano regolati da antiche consuetudini e fondavano sul reciproco rispetto e talvolta sulla collaborazione: era uso comune che qualora un cinghiale uscito da una battuta con cani al seguito abbattuto dai componenti di un'altra compagnia venisse diviso in parti uguali o utilizzato per una cena comune durante la quale i rapporti si consolidavano ulteriormente.
Il territorio di caccia delle singole compagnie veniva rispettato e quando due compagnie si trovavano a dover effettuare battute confinanti, i capocaccia concordavano sempre tempi e modi per evitare di disturbarsi a vicenda e di creare situazioni di pericolo e spesso decidevano di organizzare insieme un'unica grande battuta.
Venivano curati i rapporti con il mondo agro-pastorale, cosa inevitabile visto che anche i cacciatori facevano parte di quel mondo e ne conoscevano e condividevano le regole. Era normalissimo che ad un pastore che usava la cortesia di ritirare il proprio bestiame per consentire lo svolgimento di una battuta oltre ai ringraziamenti venisse riservata una parte della carne come ad un componente della compagnia.
In sintesi credo di poter affermare che il modo di comportarsi che veniva richiesto ai membri di una compagnia di caccia grossa rispondesse agli stessi principi ai quali il padre di famiglia chiedeva si dovessero adeguare i propri figli durante la vita quotidiana. Questa affermazione è avvalorata dal fatto che quasi sempre le compagnie di caccia grossa erano costituite da gruppi di amici e parenti nelle quali i più giovani potevano trarre lezioni di vita dall'esempio dei più grandi come avviene in ambito familiare.
In conclusione ritengo che per il mondo venatorio sia indispensabile riappropriarsi dei principi e dei valori che sono stati alla base delle attività di caccia del passato in modo da fare di nuovo nostro quel modo di vivere e comportarsi a caccia che ha fatto del cacciatore una figura degna di rispetto e ammirazione. Questa è l'unica soluzione che ci permetterà di cancellare l'immagine negativa che ci siamo e ci hanno cucito addosso e che è presente, purtroppo, nell'immaginario di tanta gente comune quando sente parlare di cacciatori.
 
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