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La dittatura verde ambientalista avanza: il caso di George Will.
Tolleranza zero per chi non la pensa come loro. Non è la prima volta che gli ecologisti riservano questo trattamento a chi sostiene idee che contraddicono la loro dogmatica dottrina, ma nel caso di George Will sono davvero riusciti a superarsi. Per aver scritto un editoriale contro l’allarmismo climatico e contro l’eco-pessimismo, cioè per aver espresso la propria opinione, è stato accusato di quello che per un giornalista è un peccato mortale: mentire. E il giornalista menzognero, si sa, quando gli è tolta la sua credibilità, rischia la condanna a non scrivere più.

La vicenda inizia il 15 febbraio, quando sul Washington Post esce un pezzo di Will intitolato "Verdi profeti di sventura", in cui il giornalista rievoca una nutrita serie di catastrofi predette dagli ecologisti che però poi non si sono verificate, dalla moderna era glaciale annunciata negli anni Settanta (che avrebbe causato, tra l’altro, una riduzione della produzione agricola mondiale per il resto del secolo), all’allarme lanciato di recente per la prossima e definitiva dissoluzione dei ghiacciai marini (causata senza ombra di dubbio dal global warming di umana responsabilità).

A partire dallo scorso settembre, proprio quest’ultima catastrofe è stata ufficialmente scongiurata dagli autorevoli scienziati del Centro Ricerche sul Clima Artico del’Università dell’Illinois, che hanno comunicato il ritorno del livello globale dei ghiacci marini a quello rilevato 29 anni fa.

George Will, classe 1941, premio Pulitzer nel 1977, di idee tendenzialmente conservatrici, ma che più di una volta ha preso posizioni personali e non sempre allineate riguardo alla politica interna ed estera del suo Paese, ha sempre esercitato il proprio diritto di opinione e di espressione, offrendo attraverso i media il proprio pensiero. Nel corso della sua lunga carriera di giornalista è stato più volte contestato, ha trovato chi la pensava in modo diverso da lui, ma mai si era trovato a dover combattere contro un’aggressione mediatica della portata di quella che stavolta lo ha investito.

Gli ecologisti di tutta l’America si sono uniti per metterlo all’indice. Hanno organizzato una raccolta di firme via internet rivolta all’ombundsman del Washington Post (una sorta di garante dei lettori) attraverso la quale, più che chiedere, si intima al giornale di non permettere più ai propri giornalisti di “offuscare” con le loro opinioni (qualificate come menzogne), la verità inconfutabile del global warming.

Scrivono, «Questo deve finire». Il tono di questo appello appare davvero molto imperativo. Troppo imperativo per associazioni che si definiscono non dogmatiche, libere da pregiudizi ideologici e soprattutto democratiche. E la libertà di opinione dove la mettiamo?
(Cara Ronza)
 
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