Soldi al canile, ma gli animali non ci sono.

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Soldi al canile, ma gli animali non ci sono. Truffati 7 comuni piacentini



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Ci sono anche sette comuni della provincia di Piacenza fra quelli in tutta la Regione vittime loro malgrado di una truffa di cui è stato accusato un veterinario che gestiva a San Secondo (Parma) una struttura di ricovero e pensioni per cani.

A fare luce sul raggiro è stato il Corpo Forestale di Parma, a seguito di un’indagine partita dalla segnalazione di una dipendente dell’anagrafe canina di un comune della provincia di Piacenza: secondo l’accusa il veterinario si faceva pagare la retta dai Comuni anche quando gli animali erano morti o adottati. Il professionista ha chiesto di patteggiare 10 mesi per vari reati.

Dai risultati delle indagini, infatti, è emerso che diversi Comuni dell’Emilia Romagna continuavano a pagare al canile il mantenimento di cani che, in forza di convenzioni, dovevano essere ospitati e mantenuti nel canile, ma che invece non erano più presenti perché in alcuni casi erano stati adottati o addirittura deceduti, anche anni prima.

Sette, da quanto si è appreso, i comuni in provincia di Piacenza rimasti vittima della truffa: Bettola, Cortemaggiore, Rivergaro, Podenzano, Monticelli e Castelvetro, oltre ad Alseno, che - come ha precisato il sindaco Rosario Milano - aveva stipulato con la struttura una convenzione annuale forfettaria e non in riferimento ai singoli animali. In particolare i primi tre paesi citati hanno versato nel periodo preso in esame al canile cifre da 2mila a 3800 euro.

Il trucco era semplice: i cani randagi che effettivamente erano stati recuperati in diversi comuni della regione da Bellaria (Rn) ad Alseno (Pc) venivano trasferiti presso la struttura di San Secondo per essere successivamente dati in affido a privati. Quando però questi animali venivano realmente affidati o morivano, il veterinario che gestiva il canile non avrebbe comunicato l’avvenuta adozione o la morte ai Comuni continuando a percepire la retta per il loro mantenimento che, diversa a seconda della convenzione, ammontava a circa tre euro al giorno per esemplare: un raggiro che per i soli due anni presi in esame, ha superato i diecimila euro.

Gli accertamenti hanno inoltre permesso di scoprire che il veterinario, nonostante si fosse volontariamente cancellato dall’Albo professionale per raggiunti limiti di età contributiva, avrebbe continuato ad esercitare la professione facendo operazioni chirurgiche, inoculando microchip e prescrivendo farmaci. Per questo motivo è stato deferito all’Autorità Giudiziaria per abusivo esercizio della professione medico veterinaria.

Il veterinario ha concordato con il pubblico ministero il patteggiamento per truffa aggravata, falso ideologico, falso materiale, falso in certificati e abusivo esercizio di professione, per una pena complessiva di dieci mesi di reclusione e poco meno di 500 euro di multa, pena sospesa per la condizionale.

 
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