Re: Lipu: Uccelli in declino causa agricoltura e perdita di habitat
LE SPECIE CACCABILI IN ITALIA NON GODONO DI BUONA SALUTE
Considerazioni della LIPU in merito all’articolo pubblicato dal blog [url]www.bighunter.it[/URL]
alla pagina [url]http://www.bighunter.it/Home/Editoriale/Editoriale/tabid/197/newsid707/10594/Default.aspx[/URL]
dal titolo “Rapporto LIPU: specie cacciabili in ottima salute”.
Con riferimento all’articolo da Loro pubblicato nei giorni scorsi sul rapporto “Uccelli comuni in Italia”, la LIPU intende precisare quanto segue.
Il lavoro in questione traccia un quadro conoscitivo dei trend delle popolazioni di specie comuni nidificanti in Italia nel periodo 2000-2010. Occupandosi delle sole popolazioni nidificanti, il rapporto non ha a che fare, come invece da Loro affermato, con “la gestione faunistica della caccia programmata”, vale a dire con il rapporto tra l’attività venatoria e lo stato di conservazione degli uccelli, in particolare quelli appartenenti alle specie cacciabili. Ciò, soprattutto considerando che l’attività venatoria si esercita in larghissima maggioranza sulle popolazioni migratorie delle specie cacciabili, che non sono oggetto dello studio.
Come è infatti noto, la caccia a specie come Allodola, Cesena, Colombaccio, Merlo, Quaglia, Tordo bottaccio e Tortora selvatica, si effettua in Italia, a partire dalla terza domenica di settembre, su popolazioni di preferenza provenienti dal nord-est d'Europa, le cui caratteristiche peraltro non sempre sono conosciute a sufficienza. La stessa caccia allo Storno (in Italia esercitata solo in deroga ai sensi dell’articolo 9 della direttiva Uccelli) impatta principalmente su popolazioni provenienti, nei mesi di autunno e inverno, dai Paesi del nord Europa, le quali non tutte risultano in aumento e anzi, in diversi Paesi europei, registrano un vistoso calo della specie, attualmente classificata come Spec 3 (ossia “specie non concentrata in Europa con status di conservazione sfavorevole”, laddove con Spec 2 si intende “specie concentrate in Europa e con status di conservazione sfavorevole”). A ciò andrebbe anche aggiunto il problema della presenza dello Storno nero in Sardegna e Sicilia, su cui sarebbe utile una riflessione.
Quanto al tema specifico del lavoro LIPU, ci preme evidenziare che la cattiva agricoltura gioca senz’altro un ruolo significativo nella diminuzione delle specie legate a questa tipologia di paesaggio. Alle specie legate al paesaggio agricolo appartiene comunque soltanto una delle specie cacciabili risultate in crescita (la Quaglia), laddove le altre risultano o più boschive o generaliste (Gazza, ghiandaia, Cornacchia grigia), e dunque, in questo secondo caso, tali da adattarsi a (e probabilmente trarre vantaggio da) un ambiente banalizzato, come spesso risulta essere quello agricolo nella fascia planiziale.
Il punto da sottolineare, tuttavia, è che se varie specie di uccelli risultano in calo pur senza essere oggetto di caccia, è logico pensare che un’ulteriore forma di pressione, quale quella rappresentata dall’attività venatoria, costituirebbe senza dubbio un aggravio del già sfavorevole status di conservazione, come indirettamente affermato dalla Guida interpretativa della Commissione europea al paragrafo 2.4.20, secondo cui “Una popolazione sottoposta a prelievo venatorio, anche se stabile e cacciata in modo sostenibile, si manterrà inevitabilmente ad un livello inferiore rispetto ad una popolazione in condizioni simili ma non soggetta a caccia”.
D’altro canto, riguardo alle specie il cui declino non è determinato direttamente (e addirittura nemmeno indirettamente) dall’attività venatoria, la stessa Guida ci ricorda come sia preferibile “non autorizzare la caccia a tali specie o popolazioni”, anche se, per l’appunto, “la caccia non è la causa dello stato di conservazione insoddisfacente né vi contribuisce”.
Soprattutto, va affermato con chiarezza che, contrariamente a quanto si coglie dal titolo con cui è stato rubricato l’articolo, le specie cacciabili in Italia non godono di buona salute. Sono infatti 19 le specie cacciabili in Italia classificate come SPEC (14 Spec 3, 5 Spec 2), e dunque versanti in stato di conservazione non favorevole.
Tale decisivo tema viene richiamato dalla Guida della Commissione europea, in particolare alla Figura 10 (“Specie cacciabili aventi uno stato di conservazione insoddisfacente”), dove si assume lo schema di classificazione SPEC e si elencano alcune delle specie cacciabili aventi stato di conservazione non favorevole, per le quali, afferma la Guida, la caccia non deve essere autorizzata, a meno che la specie non sia parte di un piano conservazione adeguato che riguardi anche la tutela dei relativi habitat (“nel caso di una specie in declino la caccia non può per definizione essere sostenibile, a meno che non faccia parte di un piano di gestione adeguato che preveda anche la conservazione degli habitat e altre misure in grado di rallentare e di invertire la tendenza al declino”, Guida, Paragrafo 2.2.25).
Tra le specie menzionate dalla Figura 10 (tutte cacciabili in Italia) segnaliamo la Canapiglia, il Codone, l’Alzavola, la Quaglia, il Frullino, la Beccaccia, l’Allodola, la Tortora, il Moriglione, il Beccaccino, la Pavoncella, il Combattente. Per nessuna di queste specie risulta attivo, in Italia, un adeguato piano di gestione. Il che, anche a norma di legge, dovrà comportare la sospensione della cacciabilità di tali specie, per la cui richiesta LIPU e altri hanno già scritto alle regioni italiane e alle amministrazioni centrali.
Un ultima nota vorremmo dedicarla al tema della sostenibilità generale del prelievo venatorio in Italia. Tanto la direttiva Uccelli quanto la legge nazionale 157/92 prevedono che l’attività venatoria possa esercitarsi solo a patto di non contrastare con la conservazione della natura. In ciò sostanzialmente consiste il concetto di “sostenibilità”, che ha come precondizione logica la misurazione dell’attività venatoria. Un aspetto che in Italia risulta completamente inevaso, col risultato che oggi non è dato sapere cosa, quanto e come si caccia in concreto in Italia. La sostenibilità della caccia italiana è dunque nella migliore delle ipotesi de facto “sospesa”, e lo è almeno fino a quando gli strumenti di registrazione, trasmissione, analisi e valutazione dei dati non saranno realmente operativi. Si tratta evidentemente di un’inadempienza clamorosa (non l’unica ma forse la più generale e per questo la più grave) che richiede iniziative che appaiono ormai improcrastinabili.
Ringraziando per l’attenzione e l’ospitalità,
LIPU-BirdLife Italia
Parma, 18 maggio 2012