axel69

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[h=1]In risposta all'ennesima inchiesta inutilmente sensazionalistica del Corriere della Sera, il presidente di Assoarmieri, Antonio Bana, ha replicato con pacatezza, sottolineando come i cittadini armati non costituiscano affatto un pericolo sociale[/h]





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Il presidente di Assoarmieri, Antonio Bana, è stato intervistato dal Corriere della Sera, in risposta all’inchiesta pubblicata lo scorso 9 luglio dal titolo (inutilmente sensazionalistico) “Lombardia a mano armata”, nel quale si sottolineava con toni allarmistici l’aumento di richieste di Porto d’armi nella regione. «Parlare di Lombardia o di Italia a mano armata, secondo noi, è un allarme ingiustificato», ha commentato Bana, «Tutti i possessori di armi acquistate legalmente hanno regolari titoli per la detenzione a ogni livello e attività, dal tiro a volo alla difesa personale passando per la caccia. Tutti insomma devono sottostare a una normativa che è molto severa, così vale anche per i collezionisti».
Le licenze per i porti d’arma in quattro anni sono aumentate di 180 mila unità.
«Una gran parte degli aumenti è dovuto al tiro sportivo che si sta diffondendo. Dall’altra parte abbiamo un leggero calo, tolte le zone tradizionali, delle licenze per uso caccia».
Tra questi numeri non si nasconde un maggior desiderio di avere un’arma in casa?
«Nessuno nasconde nulla. È palese, e legittima, la volontà di possedere un’arma o più a seconda delle necessità e delle attività alle armi correlate. Non credo che la difesa della propria casa, del proprio luogo di lavoro, dei propri beni e dei propri famigliari sia un’attività riprovevole o illecita».
Una parte delle Forze dell’ordine riconosce che la difesa del domicilio possa portare a ulteriori problemi di ordine pubblico. Non è d’accordo?
«Da soggetto che detiene regolarmente armi, ho il diritto più che sacrosanto, in caso di minaccia grave alla mia persona, di utilizzarle. Così come chiunque può utilizzare un coltello da cucina. Diverso è andare in giro armati e avere reazioni sproporzionate alla minaccia».
Fatto sta che non sappiamo quante armi circolino legalmente nel nostro Paese.
«La procedura è farraginosa e l’unico numero che possiamo avere al momento è quello di una stima. Una rilevazione a tappeto non si fa da tempo».
Un aspetto grave della vicenda, non crede?
«Sicuramente, c’è da rimettere ordine in una burocrazia bizantina. Le armerie ora devono passare attraverso l’ufficio della polizia di Stato che a sua volta si occupa di inviare la documentazione alla Questura che registra il tutto. Una procedura che può innescare dei ritardi».
State lavorando per risolvere la situazione?
«Da due anni collaboriamo con il ministero. C’è la garanzia della totale tracciabilità, ma occorre che l’inserimento dei dati vada snellendosi».
 
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