Parlare della mia passione, anzi della mia seconda pelle, la caccia, la commozione è tanta, anzi tantissima. Sin da bambino, poco più all’età di cinque anni non smettevo un minuto di osservare i panni mimetici che mio padre teneva nel suo armadio, sognando ad occhi aperti le mie future, allora utopiche giornate venatorie. Crescendo però, quello che sembrava utopia, divenne realtà ; tornato da scuola un giorno, mio padre mi fece trovare una camicia mimetica sul letto della mia camera, facevo la quinta elementare ancora lo ricordo, la mia gioia fu immensa gli occhi mi brillavano, il mio stupore però arrivò un attimo dopo, quando quasi per incanto papà pronunciò quella frase che aspettavo da tempo “mettiti la camicia che andiamo a caccia”. Feci un salto il quale aveva tutto il sapore della felicità vera, della felicità sincera; prendemmo l’attrezzatura, capanno, stampi per le allodole e ci recammo sul posto di caccia, quel giorno non passò nulla ma a me non importava, l’importante era essere lì tra i campi e la natura, il resto non contava . Questa fu la mia prima giornata di caccia. Le volte successive fu ancora più fiabesco, si perché iniziai ad andare con mio nonno materno, che purtroppo adesso non c’è più e qui una lacrima scende dai miei occhi. Lui mi insegnò molte cose, fischiare alle allodole e ai tordi, posti e molto altro, soprattutto come muoversi tra i boschi, trasmettendomi appieno la passione da “capannista”. Ora guardando la doppietta che mi regalò per il primo anno di porto d’armi, penso a quanto fui fortunato ad avere mio nonno come maestro di caccia e di vita. Dopo anni e anni passati ad aspettare con ansia il compimento dei 18 anni, finalmente arrivarono i fatidici giorni, il giorno dell’esame prima e del rilascio della licenza poi, basta pensare che presi prima il porto d’armi e successivamente la patente. Ed ecco ci siamo, la prima alba da cacciatore, quasi non ci credevo nemmeno io, lì aspettando i tordi allo spollo la luce del sole mi sembrava non arrivasse mai, fu una bella mattinata padellai non so quanti tordi ma per me si realizzava un sogno ed ero al settimo cielo. Ora che sono un pó di anni che pratico l’attività venatoria, vado sempre di più specializzandomi , insieme a miei carissimi amici ed a Maria Lucia, la mia ragazza, sulla caccia ai tordi, prima passo e poi in pastura e alle allodole aiutandomi fischiando alle prede, come mi insegnò mio nonno. Praticare l’attività venatoria per un giovane è immergersi in un mondo parallelo, il sabato sera spesso non si esce perché la mattina dopo sveglia presto, magari, anzi sicuramente fare qualche sacrificio per mettere da parte una sommetta per il rinnovo o l’attrezzatura, insomma un ragazzo che si dedica al magico universo della caccia, spesso dai suoi coetanei è visto come un marziano ma è soltanto colui che porta avanti una tradizione che prima o poi, presto o tardi tornerà in voga facendo si che la si apprezzi per l’antica e nobile arte quale è.

Oggi che purtroppo, per colpa di una società strana, pregiudizievole e incanalata da media che spesso neanche sanno di cosa parlano, molti additano noi cacciatori come sterminatori, come assassini senza fare però un ragionamento logico; un cacciatore, per esercitare al meglio la propria passione deve far si che la natura e l’ecosistema ambientale sia il più possibile in ottime condizioni, altrimenti il primo a essere danneggiato è proprio lui. Quindi un messaggio lo rivolgo a chi in buona fede, storce il naso a sentir parlare di caccia, documentatevi da soli senza bombardamenti mediatici dovuti soltanto al passo con la moda e la tendenza del momento per qualche visualizzazione in più , vedrete che il mondo venatorio, ma non solo, il mondo rurale tutto è l’essenza è la linfa vitale per il bene di Madre Terra.

Questo è l’umile e modesto racconto di un giovane cacciatore ventiquattrenne

Autore del racconto: Vittorio Venditti – [email protected]