
La campagna è avvolta da una leggera foschia che svanisce con l’inoltrarsi del giorno; Il cielo è terso, l’aria è piacevolmente fresca. I campi sono vuoti, sembra non ci sia anima viva; però ogni tanto una fucilata rompe il silenzio…è un giorno di passo.
Sparano qua e là. Si ode che la voce di un Tizio che indica all’amico dove è caduta la preda. Ci rende conto che i cacciatori sono appostati in ogni angolo della campagna, per non danneggiarsi a vicenda. Si odono i colpi, che via via aumentano: non perchè s’ingrossino le file dei cacciatori, ma per il semplice motivo che le occasioni che hanno di veder passare il selvatico a buon tiro sono di più. Arrivano tordi, merli, che si abbassano fino a sfiorare gli alberi e cercano pastura negli oliveti.

Soprattutto i tordi non stanno fermi a lungo. Saltellano di ramo in ramo. Passano di albero in albero. Si alzano di quota e poi si abbassano per posarsi sugli alberi o nella macchia. Volano veloci e quando si sono posati, già mostrano l’intenzione di spiccare di nuovo il volo. E così le occasione di mirare a selvatici e sparargli sono molte.
Man mano che passano le prime ore del mattino, ci si accorge che, oltre ai tordi e ai merli, arrivano stuoli di storni.

Proseguono tutti nella medesima direzione: da nord est a sud ovest. Ogni tanto nel cielo compare un gruppo più o meno esteso di puntini neri che si muovono insieme. Sembra che gli storni non vogliano fermarsi in nessun posto. Eppure chi, invece di appostarsi, pratica la caccia vagante avrà qualche volta la gradita sorpresa di vederne sbucare rumorosamente dalle fronde di un olivo, poichè sono ghiotti dei suoi frutti, o di vederne allineati sui fili della corrente elettrica. Forse alcuni sentono la necessità di riposare dalle fatiche della migrazione.
Un colombaccio, o tre colombacci, o anche uno stormo nuvoloso di colombacci compaiono all’improvviso sulla pineta e proseguono il volo rasente i canneti, al limite della campagna, giacchè dopo vi è la costa e il mare.

A ogni modo qualcuno si inoltra all’interno del territorio. Qualunque siano volatori eccezionali, non disdegnano di posarsi non sulla cima ma ai lati degli alberi, ornandoli di frutti tanto ambiti dai cacciatori.

Ormai il sole sparge i suoi raggi intorno e il giorno luminoso che è nato rallegra l’animo degli uomini che hanno scelto di recarsi in campagna e di stare all’aria aperta e di praticare lo sport preferito.
Nel cielo transitano frotte di fringuelli che emettono un verso che è quasi in bisbiglio.

Quando si accorgono dei cacciatori appostati, scartano per lo spavento. Tuttavia nessuno gli reca molestia.
Le allodole, invece, sono fiduciose. Neppure le schioppettate riescono a fargli perdere il buon umore. Pigolano per avvisare il cacciatore che sono sulla sua testa. Battono e chiudono le ali intorno al corpo, proseguono in un volo lento e continuo.

Mai che volino ad una altezza tale che sia arrischiato sparargli. Alcuni stormi vanno via, altri si posano nei campi e nei prati privi di folta vegetazione. Le zone adatte ad ospitarle, i territori aperti e vasti, ne ospiteranno a migliaia.
Allora si vedranno capanni e civette meccaniche o specchietti.

Si vedranno cacciatori che le cacciano alla borrita.

É il momento dell’abbondanza. Tutti vogliono prendere la loro parte. E le allodole si alzeranno dal suolo e si libereranno nell’aria cantando. Andranno fiduciose sugli specchietti. Se le schioppettate mancheranno il segno, torneranno a farsi abbattere. Pure qualcuna, incalzata da chi pratica la caccia alla borrita, volerà bassa, a zigzag, e quindi salirà nel cielo, si allontanerà indenne. Ciò dimostra che in appresso possono anche diventare furbe.
Alcune quaglie e qualche tortora giungevano nel sud quando vi era un grosso passo di altri selvatici in ottobre.

Appunto in questo mese, oltre alle sparute tortore ritardatarie, vi erano giovani tortore delle ultime nidiate che migravano e i cacciatori le chiamavano << tortore ottobrine>>. Transitavano dopo le dieci, intorno a mezzogiorno. Spesso arrivano nel pomeriggio. Mentre le adulte ritardatarie erano isolate, esse si muoveranno a stormi. Avevano una maggiore tendenza a posarsi a terra, anzichè sugli alberi. E, a seconda delle annate, potevano molte o poche.

Il cacciatore che praticava la caccia vagante si imbatteva in questo o in quel selvatico e il suo carniere era vario.
Avveniva che spiccasse il volo un frullino mentre percorreva la macchia sulla costa. Se si inoltrava nella stoppia, potevano alzarsi le tortore ultime nate dell’anno, << le ottobrine>>. Anche i beccaccini arrivano nei giorni favorevoli per il passo in genere.
Beccaccini, frullini, tortore, tordi, merli, colombacci, allodole e storni pendevano dai laccioli di chi aveva voluto scarpinare.

E la vita era più piena perchè il cacciatore aveva vissuto tante emozioni. Nella sua testa i pensieri si affollavano. Certo, aveva sbagliato alcuni colpi. Però aveva sparato d’imbracciata a una tortora che gli era comparsa all’improvviso spiccando il volo dall’altra parte del muro di pietre a secco e venendo velocissima nella sua direzione. L’aveva vista cadere di schianto. E anche i tordi che sfrecciavano li aveva visti arrestare il volo e cadere. Ormai non ricordava quelli che se ne erano andati indenni ma quelli che aveva abbattuti. Era stanco eppure voleva proseguire a cacciare. Incontrava gli amici che avevano preferito appostarsi e si raccontavano reciprocamente sia le occasioni perse sia le altre che non si era fatte sfuggire. Ed anche il raccontare era un proseguire la caccia, un rivivere le emozioni provate.
Passava sul sentiero poco distante il cacciatore con il cane e mostrava agli amici la prima beccaccia, un rivivere le emozioni provate.

Infatti, quando c’è un considerevole arrivo di turdidi in ottobre, immancabilmente con essi arrivano alcune beccacce. É così ogni volta.
Sopraggiunge un altro cacciatore con il cane. Porta appese ai laccioli alcune quaglie.

Gli uomini appostati ai piedi degli alberi o a ridosso di un cespuglio o di in muro di pietre a secco non prestano più molta attenzione agli uccelli che passano.

Solo ogni tanto si ode una schioppettata. Non vogliono cimentarsi nei tiri difficili, nei tiri lunghi. Hanno preso la loro parte. Non torneranno a mani vuote.
E l’ottuagenario che si è fatto, con le pietre e un fascio di paglia, un sedile accosto al parapetto di un posso, spiuma i selvatici che ha abbattuto pregustando il momento in cui porgerà alla sua vecchia quei bocconcini prelibati che, fra l’altro, sono testimonianza ch’egli, nonostante il peso degli anni, è ancora bravo a servirsi dello schioppo.
Qualcuno che non ha tanti anni né tanta esperienza quanto lui, darà la colpa alle cartucce se il carniere è misero, oppure alla sfortuna che lo perseguita.
Tuttavia i più non avranno che dir bene di quella giornata di passo abbondante che si ripete una volta l’anno e bisogna augurarsi di vivere in buona salute fino all’ottobre dell’anno venturo per prendervi parte.
Non sempre tutti sono presenti. Possono mancare perché hanno altri impegni. Ma inesorabilmente ai vecchi si sostituiscono i giovani.

L’ottuagenario ha ben donde essere felice di non aver lasciato vacante il suo posto.
E tutti in fondo sono contenti quando si vedono transitare tanti selvatici. D’accordo, il grosso del passo non si ripete, ma altri arrivi vi saranno in appresso.
Ognuno ha goduto di trascorrere tante ore nella campagna assolata di ottobre. Sono stanchi, soddisfatti eppure desiderosi di praticare la caccia ai migratori in alte giornate di passo.
di Giuseppe Perrone
Tratto da DIANA Rivista del Cacciatore n. 9 del 8 maggio 1986
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