Sarebbe lungo descrivere dettagliatamente tutte le sensazioni vissute giorno dopo giorno e notte dopo notte in palude, sempre così uguali ed allo stesso tempo tanto diverse. La mattina, all’alba, quando la notte se ne va, avviene sempre un nuovo miracolo! Anche questa volta è tutto pronto da ore. Gli stampi sono ben messi, il capanno è pressoché perfetto.
Le cartucce sono a posto: quelle del piombo 7 nella tasca destra, il 5 nell’altra e le “ocarole” sempre a portata di mano negli ultimi scomparti della cartucciera. I fischietti da richiamo sono nel taschino di sinistra; il cappello è ben calzato in testa; il fucile, carico, è appoggiato a portata di mano. La pipì l’ho appena fatta… ed ora aspetto in silenzio quasi sperando che oggi faccia giorno prima! Di tanto in tanto controllo nervosamente l’orologio illuminandolo con la piccola lampadina tascabile, ben accorto a non far vedere nulla al padule. Il tempo sembra essersi fermato. I minuti non sono più minuti, ma indefinibili quantità di tempo, e cerco di ingannare l’attesa sgranocchiando caramelle e un pezzo di cioccolata. Vedo dei fari arrivare veloci nella notte. Sono i ritardatari, gli “sciacalli” di palude, che pretendono di mettersi, appena albeggia, ai bordi di un “chiaro” ben attrezzato a mendicare qualche animale. Per questo ci siamo Walter ed io, guardie giurate venatorie, a far rispettare la legge e, soprattutto, le distanze regolamentari.Il cielo comincia a schiarire appena e qualche stella si spegne.
Prendo il fucile in mano con l’indice della mano destra che accarezza nervosamente il grilletto e comincio a scrutare nel buio in ogni direzione, alla ricerca di un’ombra, cercando di percepire ogni pur lieve movimento! I miei sensi sono tesi allo spasimo. C’è sempre qualcuno che spara prima di me all’alba e questo mi rende nervoso.
Allora stringo più forte il fucile e, col cuore in tumulto, attendo, ancora più teso, l’arrivo di qualche selvatico.
Se sento sparare solo un colpo mi rammarico perché sarà stato un tiro a fermo sul “chiaro” dall’esito senz’altro positivo. Se è una scarica rabbiosa sono felice perché sono quasi certo che è un’anatra “padellata”! Ben più triste divento se si sente prima la classica “sbrodolata” e poi i colpi a fermo sull’acqua per ribattere i feriti.
Finalmente il cielo si tinge di azzurro, gli stampi, che mi sembravano lontani, sono ora a 15 metri dal capanno, quell’anatra che credevo di intravedere sulla sinistra è solo un ciuffo d’erba piegato mosso dal vento.
Quel cielo colorato di rosso e d’azzurro è bellissimo. Quel colore argenteo dell’acqua, quel verde scuro dell’erba sono stupendi. Vorrei fermare quest’attimo per godere più a lungo di questa visione. Quella gru (meccanica) che si vede all’orizzonte mi ricorda che non sono in Africa, ma a Ladispoli, come del resto me lo ricorda pure quel vecchio frigorifero bianco quasi del tutto sommerso nell’acqua del laghetto. Nonostante tutto sono ammaliato, stregato dalla bellezza irreale di tutto quello che mi circonda. Ora mi rilasso un attimo. Il fucile è appoggiato alla mia sinistra, sul bordo del capanno: è bello cacciare così… Ed è proprio in quel momento, mentre il cuore era tornato finalmente a pulsare normalmente che appare dal nulla quel moriglione con le ali a “coppo” che descrive un semicerchio sorvolando gli stampi e, ondeggiando un po’, con i “carrelli” giù, si posa nel chiaro. E’ un attimo di emozione intensa.
Una scarica di adrenalina mi scuote da quel meraviglioso torpore ed il cervello mi comanda di imbracciare il fucile velocemente, in assoluto silenzio. Punto l’arma. Miro con cura. Aspetto ancora un po’, quasi a voler prolungare l’immenso piacere che si prova in questi momenti.
Poi ecco, improvviso, lo sparo.
Quasi al rallentatore.
Quel corpo è ora riverso sull’acqua, ma si muove ancora. Sparo un altro colpo quasi a volermi assicurare quell’animale senza vita. E mentre meccanicamente ricarico il serbatoio del fucile, vado quasi di corsa a recuperarlo.
Ora è tra le mie mani ancora caldo, con il collo floscio e le ali aperte in un atteggiamento scomposto di morte!
Ha gli occhi soccchiusi e una goccia di sangue che esce dal becco mi macchia la mano. Mi sembra bellissimo quel moriglione maschio.
E’ stupendo…
E’ quasi un peccato che ora sia morto!
Ancora tremante dal freddo e dall’emozione, ritorno al capanno con quel prezioso fardello ormai senza vita.
Gli altri, gli amici, saranno ansiosi di sapere cos’è.
Qualcuno, forse, non si è accorto di nulla!

Patrizio Abboni
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