Il “biiip” del telepass  mi rammenta,se mai ce ne fosse bisogno,che sto entrando in autostrada;
quel tratto di autostrada che conosco come le mie tasche e che mi riporta,bontà sua,verso il mare.

Mi accingo a tornare verso casa dopo una pesante mattinata trascorsa girovagando per uffici disordinati,occupati da impiegati annoiati,da arredi dozzinali e da computer fuori moda;
e da tanta carta,ancora oggi,quando tutto è telematico.

Il tempo è brutto:
ora pioviggina ma nei giorni scorsi ha piovuto tanto.

Tanta,troppa la pioggia dei giorni addietro;
una quantità inconsueta per questa stagione.

Pochi attimi,il tempo di prendere un po' di velocità,e sono già sul ponte sotto al quale scorre quel corso d'acqua che da sempre è croce e delizia della gente che abita nei pressi degli argini trascurati;
un pensiero alla povera gente che ha subito la recente inondazione ed uno sguardo al di là della rete di protezione:
sotto di me c'è un fiume gonfio,ma non troppo,di acqua torbida che corre,veloce,verso l'ormai vicino mare.

L'automobile,sospinta dai pochi giri svogliati del motore diesel,sale il nastro d'asfalto nero e lucido che porta alla galleria;
ogni tanto un rivolo d'acqua attraversa la carreggiata a segnalare un leggero cambio di pendenza.

La bocca della galleria mi inghiottisce famelica:
evidentemente,c'è stato poco traffico questa mattina e lei non ha divorato macchine a sufficienza;
mi ritrovo nel buio appena rischiarato dalle luci della volta che mi appaiono giallognole...
...e dai fari della mia macchina.

In fondo,dopo la curva,la galleria defeca espellendomi fuori dall'orifizio opposto alla bocca come se fossi quello che rimane di un pasto gradito ma,ormai,digerito;
al di qua delle colline non piove più ed un timido sole di fine inverno riscalda il cuore e tenta,per ora senza riuscirci,di asciugare l'asfalto.

A questo punto,ne sono sicuro,gli occhi della maggioranza delle persone sono attratti dalla immensa distesa azzurra che dalla chioma dei pini si perde fino all'orizzonte; 
con questa luce incerta l'azzurro,di solito brillante,appare un po' scuro e mette malinconia.

Il mare.
E' molto mosso perchè il forte vento di libeccio di questi giorni ha fatto,come accade da sempre,il suo ingrato lavoro agitando le acque salmastre e spingendo i nuvoloni neri e gonfi di pioggia verso le colline.

La strada,ora,dopo la galleria,è in discesa.

Il mio sguardo,a differenza di quello di tutti,non arriva al mare;
si ferma prima,al mare giallognolo di falasco che incornicia lo specchio d'acqua del lago che,oggi,è dello stesso colore dell'asfalto bagnato:
nero e lucido.

Il padule.

A questo punto,tutte le volte mi succede la stessa cosa e,ormai,non me ne stupisco più:
si riavvolge il film della mia vita e riparte sempre dal solito fotogramma che,per un istante,rimane fermo davanti agli occhi della mia mente,come se la pellicola avesse bisogno del mio consenso per continuare a scorrere.

Sempre lo stesso fotogramma.

Impresso sulla pellicola un uomo non più giovanissimo ma ancora nel pieno delle forze,non tanto alto,magro quel tanto che basta per poterlo considerare un uomo in forma,bei lineamenti gentili...
...con una lisa cacciatora di velluto beige che,senza dubbio,doveva aver conosciuto tempi migliori,in piedi sul poppaccino di un traballante barchino a fondo piatto:
il remetto,nelle sue mani esperte,senza uno sforzo apparente,incita al moto la piccola imbarcazione.

Sempre la stessa lacrima che scende giù;
a volte scende soltanto nella mente,quando in macchina con me c'è qualcuno ad evitare la mia solitudine,mentre a volte,come oggi per esempio,scende anche fisicamente e mi bagna il viso,giù fino al mento:
sono solo e me lo posso permettere.

Mio zio,il fratello di mio padre:
l'uomo impresso su quel fotogramma è mio zio Ennio.

Nella mia mente non è difficile trovare una giustificazione al fatto che la vista del padule faccia scattare sempre,automaticamente,lo stesso ricordo e la stessa lacrima;
io so cosa ha significato per quell'uomo,prima,e,dopo,anche per me quel luogo inospitale,freddo ed umido d'inverno e caldo e maleodorante d'estate.

Poi la pellicola inizia il suo scorrimento e al primo fotogramma succedono gli altri,veloci, nitidissimi,con i colori,sempre vivi,delle diverse stagioni;
ma la scena è sempre quella:
il padule.

Anche i protagonisti sono sempre gli stessi:
mio zio ed io.

Per non so quale strana alchimia,mi pare che questa pellicola non riproponga soltanto immagini e suoni ma,anche,che porti alle narici odori conosciuti;
e,allora,sento,ma soltanto nella mente,odore di fango torboso che ribolle sotto il sole estivo,odore di falasco bruciato,odore di cane bagnato che stenta ad asciugarsi sotto la prua del barchino,odore del velo d'olio che tenta di proteggere dalla pioggia e dall'umidità i “ferri” del mestiere.

Odore di passione,di sacrificio …
...di gioia. 

Il lungo remetto,nelle sue mani avvezze,fa viaggiare la piccola imbarcazione attraverso l'acqua calma di una cava di sabbia,lungo un fossone e,poi,nel piccolo collettore quasi invaso dalle cannelle,fino in fondo,dove c'è il chiaro;
sempre sicuro,senza incertezze,anche con la pioggia che la celandra non riesce a riparare e con il vento da levante che muove quell'acqua quasi sempre ferma e scura,che sembra densa come petrolio.

Pochi movimenti privi di tentennamenti e la tesa delle stampe abbozzate nel legno e fissate sulle croci viene completata dalle stampe di plastica dai colori sgargianti della primavera,sempre perfetti;
poi le anatre vive a completare l'attrazione e l'inganno di quel gioco meraviglioso.

Poche parole sussurrate nel buio,cercando di non offendere quel silenzio irreale,per spiegarmi  i suoi movimenti voloci e sempre precisi;
la luce di una piccola torcia,cercando di non offendere il chiarore gratuitamente offerto dalla volta celeste,soltanto quando necessario.

E io,novizio con tanta passione,mi paragono alla carta assorbente di un vecchio scribacchino con i manicotti neri sulla camicia bianca logora e mi scopro sempre attento alle parole ed ai movimenti, desideroso di imparare da lui quell'arte antica,come lui l'ha imparata da suo padre e come,purtroppo, ora ne sono consapevole,io non insegnerò a mio figlio.

L'umidità,invadente,tenta di mischiarsi al leggero sudore procurato da tutto quel lavoro trapassando l'abbigliamento;
è quasi l'alba ed è l'ora di sfruttare la protezione delle botti che paiono non esserci tanto sono magistralmente inserite in quella piccola punta di falasco sempre curata all'inverosimile;
per completare l'inganno.

Il barchino scompare nel suo riparo di cannelle e noi scompariamo nelle due botti,uno accanto all'altro,in un sodalizio composto di poche parole,di cenni e di sguardi;
in un accordo perfetto fatto,oltre che dalle tante ore trascorse insieme,da un legame di sangue e di passione.

Tutto è pronto;
l'alba incombe con il suo tentativo di squarciare la notte.

Ora è freddo;
freddo e umido.

Alle nostre spalle,dietro i monti,quel chiarore annuncia il sole che sta sorgendo un'altra volta,in un'alba meravigliosa che non c'è tempo di ammirare perchè tutti i sensi,ora,sono tesi per individuare un'ombra,per sentire un leggero sciacquettio che non sia quello delle nostre ana...
...le nostre anatre “ragnano” a uccelli non c'è tempo per capire,non c'è tempo per sentire o vedere meglio;
un branchetto di marzaiole irrompe nel chiaro.

Sono soltanto piccole ombre affusolate,velocissime,nella luce ancora incerta o,per meglio dire,nel buio che non ne vuol sapere di cedere il posto alla luce come se si fosse affezionato,anch'esso,a quel piccolo paradiso fatto di poca acqua stagnante,di limo e di falasco;
ed è fatto di sogni,di delusione,di speranza,di rammarico,di gioia...
...di dolore!

Ma,a quel tempo,non potevo immaginare che il ricordo di quel luogo tanto caro ed al quale eravamo così affezionati,potesse generare in me un sentimento come il dolore;
l'ho scoperto da poco tempo:
da quando il film della mia vita ha perso uno degli attori principali.  
Sei colpi che a chi,da lontano,ha visto od ascoltato,forse con un pizzico di invidia,possono essere sembrati soltanto tre,tanto perfetta è stata la sincronia con la quale i percussori hanno battuto sull'innesco delle munizioni,una volta liberati dal loro vincolo di acciaio;
sei colpi di fucile sparati nella notte che sta diventando sempre meno notte e sempre più giorno;
sei colpi che irrigidiscono nell'aria alcuni di quei veloci bersagli interrompendo il fulmineo battere d'ali...
...poi,dopo un istante,la forza di gravità ha la meglio e la superficie immobile dell'acqua viene colpita,infranta;
ora quattro corpi inanimati galleggiano all'interno di quattro serie di piccole onde concentriche che si scontrano tra loro e si vanno perdendo.

Lo guardo cercando uno scontato,ma tanto prezioso per me,cenno di approvazione.
La gioia è nei suoi occhi mentre,in piedi,con le mani ancora serrate sui legni dell'arma,mi guarda e mi sorride;
e l'approvazione che cerco è tutta nella malcelata felicità che trasmette lo sguardo soddisfatto di quell'uomo.

Quello sguardo!

Mentalmente blocco lo scorrimento della pellicola su quest'ultimo fotogramma;
sul primo piano di un uomo non più giovanissimo ma ancora nel pieno delle forze,non tanto alto,magro quel tanto che basta per poterlo considerare un uomo in forma,bei lineamenti gentili...
...un uomo sereno!

E' quello che io ricordo con maggior piacere dell'uomo che è stato così importante per me;
lo sguardo sereno del quale io non avrei mai voluto fare a meno ma che invece,per le trame inevitabili e crudeli della vita,ho perso.

Mi manca quello sguardo.

A questo punto,mi piace pensare che lui ora è da qualche parte,lassù,dove il paradiso,se è vero come è vero che è un luogo meraviglioso,deve essere fatto,inevitabilmente,anche di poca acqua stagnante, di limo e di cannelle;
ed è sereno!

E' inutile che la pellicola del film della mia vita vada avanti;
vorrei farla ripartire dal solito fotogramma iniziale perchè la gioia che scatena quel ricordo è,senza alcun dubbio,superiore al dolore che provo,in una sorta di autolesionismo che non mi stanca.

Un altro “biiip”,però,mi avvisa che è tempo,ormai,che io rimetta i piedi per terra:
sono quasi arrivato,non c'è più tempo.

Non importa:
io percorro spesso quel tratto di autostrada.



Autore del racconto: Alessandro Petrucci 

Email: [email protected]