< Oggi non sei troppo in forma, vero ciccio. Tu corri a destra e sinistra e dopo un mese che non lo fai più ti stanchi in meno tempo, facesse almeno freddo normale, ti stancheresti meno…eh lo so, anche io sono in un bagno di sudore, che ci vuoi fare, questa volta è così. Speriamo che cambi, Comunque i tuoi fagianoni te li sei presi anche quest’anno dai ; se non trovi Lei… non ti scaldare và che è lo stesso…..>
Il comico è che questo non è stato un pensiero dettato in silenzio, ma parlato a voce normale, e per di più rivolto ad un cane. Se c’è qualcuno che fa lo stesso si faccia avanti. Credo di sì, i cani da caccia non sono solo cani, e noi cacciatori siamo irrimediabilmente romantici. Non è forse così? Non è forse questo il bello della nostra passionaccia ?

Lo stomaco comunque, caldo o no, stagione stravolta o no, si fa sentire ed il panino, dopo quattro ore di gironzolamenti a vuoto ora pare un pasto pantagruelico, da centellinare come il buon vino d’annata; seduto sul solito scoglio coperto di muschio verdastro ed odoroso di buono. Il cane mi si accoccola vicino con l’acquolina alla bocca e metà del mio pranzo finisce irrimediabilmente nelle sue fauci .
Il nostro pranzo è finito e ci godiamo il meritato riposo, personalmente sto ammirando un pettirosso che saltella di ramo in ramo a pochi metri da me.
Finito il panino una bella ( o brutta ) sigaretta mi riempie bocca e polmoni del solito maledetto viziaccio.
Sto pensando proprio a quanto sono imbecille a rovinarmi con le mie mani, quando il cane, come fosse una pantera, si dirige quasi strisciando verso un albero di castano a circa dieci metri da me.
Ci siamo, penso, e carico l’arma. Con fare da marine mi avvicino al mio amico che ora sta puntando fisso un cespuglietto di rovi, non muove nemmeno un muscolo, eccetto il tartufo che si sposta da un lato all’altro impercettibilmente e la mascella delicatamente mastica l’aria.
Aspetto con l’adrenalina a mille almeno tre minuti, poi, non vedendo risultato immagino che sia una ferma in bianco; anzi proprio immacolata direi. Mi decido di andare a vedere quale fantasma si nasconde nel castello di spine lì davanti

La vedo. Una splendida Regina mi guarda impaurita senza muoversi, impietrita.
Subito non capisco il perché non provi nemmeno a scappare, ad usare uno dei suoi stupendi trucchi per allontanarsi.
Non mi ci vuole molto, però, ad accorgermi che un’ala, la destra, posa male sul terreno e non regolarmente appoggiata al corpo pronta ad aprirsi. La Regina è ferita.
In un attimo lego il cane all’albero, scarico il fucile, lo appoggio sul prato e corro a cercare di prendere tra le mani quel magnifico uccello. Vivo!
Fin troppo facile, se non fosse per qualche spina del suddetto rovo piantata nel dorso della mia mano destra; ma non è nulla, l’emozione di avere tra le mani una beccaccia viva è troppo forte.
Ad una prima vista l’ala non pare rotta da un pallino, sangue non ne vedo, nemmeno vecchio. E’ l’unico danno che riscontro sul corpo meraviglioso di quest’uccello, un poco magro a dire la verità ; forse è qualche giorno ormai che non si nutre.
Non è importante quanto tempo ho impiegato ad arrivare a casa o quante volte ho dovuto ripetere il comando <stai fermo > al cane che probabilmente non capiva il perché quell’uccello dovesse viaggiare in macchina con noi, sul sedile anteriore, coperto da un maglione, e soprattutto…. vivo.
La casa di sua Maestà è stata per tre giorni una scatola da scarpe, la sua dieta decine e decine di larve del miele, quelle usate per pescare, condite da un poco di pane ammollato nel latte. Vi posso assicurare che gradiva, e molto.
Tre giorni passati a cercare di capire cosa aveva causato la sua infermità, tre giorni a cercare un nome adatto alla sua regalità. Deciderò di chiamarla Madame. Non ho mai capito, cosa fosse successo, solo intuito che avesse potuto sbattere in qualche cavo sospeso, speranza che potesse riprendersi prima di morire di stenti, visto quello che gli davo da mangiare.
E così fu. La mattina del quarto giorno, lunedì, appena sveglio vado a sincerarmi che Madame stia riposando tranquilla,.
Appena alzo la retina che faceva da tetto alla scatola, con un balzo fulmineo ed uno sbatter d’ali, lo scolopacide si posa sul mobile della sala e mi guarda severamente con quell’occhio umido e lucido.
Sono felice! La sua ala è guarita, qualsiasi sia stata la causa della momentanea invalidità.
Per fortuna sono riuscito a catturarla ancora e senza il minimo danno, nemmeno una piumetta si era staccata.
Questa volta la scatola sarebbe stata solo un mezzo di trasporto verso il suo regno incontrastato.
In meno di un’ora sono ancora nel posto, vicinissimo al cespuglio di rovi. E apro per l’ultima volta la retina, appartandomi con discrezione.
Ed eccola lì, un balzo, uno sbatter d’ali, ma invece di scappare lontano mi vola per due volte sopra la testa cabrando delicata e sicura, mi guarda con quei suoi occhioni scuri, emette un “ pepepé” e tranquilla si congeda.
Tornando a casa mi trovo a pensare: < ma quel pepepé, sarà mica un grazie ? >
Mi piace pensarlo, certo non lo scorderò.
Addio Madame, buona fortuna!
 

Renzo Stella