Un racconto di Giorgio Creatini

Flok si era precipitato a capofitto lungo il viottolo scosceso e pieno di sassi quasi volandoci sopra. Il fruscio forte delle fronde piegate da quel fagotto cenerino che si era appallottolato nell'aria, lo aveva fatto ingazzurrire all’inverosimile, e bramava dalla voglia di abboccare la calda preda. Aveva udito 1'impatto del selvatico contro i rami di un grande cerro, e si era precitpitato nella zona orientandosi alla perfezione. Marco, sceso dal capanno lo invogliava nella cerca incamminandosi anch'esso nel ripido assolato stradello che declinava dal poggetto. Il cane, con il naso alto, cercava disperatamente l'emanazione di un odore a lui ben noto perlustrando il sottobosco. Il fruscìo provocato dalle zampe di Flok rompeva il silenzio che si era ricomposto dopo il fragore della fucilata e dell'impatto del colombaccio sulla grossa pianta, quando d'improvviso, un sibilo forte si sovrappose ai passi felpati. del cane. Flok si fermò di scatto. Marco che era poco distante dal cane fece un balzo all'indietro. Immobile su un sasso, perfettamente mimetizzata con l’ambiente circostante, una grossa vipera era pronta con la testa alzata a colpire il cane che era a pochi metri da lei. "Via, via Flock" urlò a squarciagola il cacciatore. Il cane, sorpreso da quello strano comportamento, rimase un attimo immobile poi ubbidì e con la coda tra le gambe si avvicinò al padrone aspet­tandosi una strigliata. Con un balzo l'uomo acciuffò il cane per la collottola e alzandolo da terra lo scaraventò sullo stradello. Con gli occhi non perdeva di vista un attimo il grosso rettile che nel frattempo si era gonfiato mostrando minacciosa i lunghi denti fatali. Marco tranquillizzò il cane e corse verso il capanno, prese il fucile, legò Flok sotto ad un leccio e si avviò turbato verso la vipera inserendo nella canna una cartuccia che aveva in tasca. L'aspide era ancora là, la testa triangolare più chiara dal resto del corpo, tradiva la sua presenza altrimenti quasi invisibile a contrasto con 1'ocra scuro del terreno sassoso. Le pupille fusiformi e diaboliche controllavano ogni minimo movimento circostante, e la coda tozza e corta si muoveva con un certo nervosismo. All'arrivo dell'uomo si mosse lentamente, tentando di dileguarsi nel folto. La fucilata precisa di Marco la bloccò spappolandogli la testa sopra al sasso che aveva scelto per crogiolarsi all'ultimo sole autunnale. Eravamo a metà ottobre sul Poggio del Vento, una piccola altura dalla quale la vista all'orizzonte confondeva le tonalità celesti del mare e del cielo, ed il verde del bosco circostante sfumava fino all'impatto più miscelato e pastellato dei campi coltivati. Quando il vento di terra accarezzava 1e chiome dei lecci e modellava le scie di fumo lasciate dagli aerei in transito nel cielo, la nitidezza dell'aria tagliava le distanze, e la Corsica e la Sardegna parevano li, ad un tiro di schioppo. Marco cacciava da sempre su quella piccola montagnola. Il capanno centrale e un trampolino un po' più distante, piazzati vicino alla sommità, non avevano mai tradito il cacciatore che insidiava i tordi di passo ed i grassi colombacci che si fermavano nella vicina riserva, insieme al babbo e al fratello. Anche quella mattina Marco era in loro compagnia. La fucilata sparata per terra, e le urla rivolte verso il cane, li avevano fatti ritrovare tutti nella car­bonaia, sul sentiero principale a discutere di quell'inusuale "preda", inattesa e non certo gradita. "Ma ti rendi conto, se non la vedevo io, Flok ci andava dritto dritto a sbat­tere il naso" "In tanti anni che veniamo quassù, è la primi volta che troviamo una vipera." Constatò il babbo. "Non saranno mica di quelle lanciate con gli elicotteri dal WWF" "Ma no, quelle sono fantasie, non credo che gli ambientalisti arrivino a tanto, sarà salita quassù dalle scope in cerca di un luogo più asciutto, certo è che questa bestiaccia oggi mi ha guastato la giornata: e poi, hai visto com'e­ra grossa?" La vipera era stata portata, infilzandola con un bastone ricavato da un paletto di scopa acuminato, sulla carbonaia. Le scaglie nerissime del suo ven­tre rovesciato erano al centro dell'attenzione dei tre che la osservavano con una certa agitazione pensando alle tragiche conseguenze che quell'essere poteva provocare. La mattinata di caccia era andata piuttosto bene: una decina di tordi e tre colombacci erano finiti in carniere, anche se uno era ancora da recuperare visto che lo sgradito fuori programma lo aveva fatto quasi dimenticare. Marco guardò l'orologio: "Sono le 10,40, che si fa?""Qualche colombo nella riserva si muove sempre." Disse il fratello."Va bene, ma sinceramente questo contrattempo mi ha fatto venire un'a­gitazione di stomaco che non mi fa più nemmeno voglia di risalire sul palco." "E allora andiamo via, che mi sono dimenticato anche il cappello e que­sto sole mi rimbecillisce". Si guarda un attimo di quel colom….." Un guaito fortissimo interruppe bruscamente il discorso del fratello di Marco. Flok mugolava disperato facendo salti all'indietro come un mulo scalpitante. A non più di tre metri di distanza, sul bordo della carbonaia, un enorme serpente attorcigliato si era preso la sua personale rivincita sull'ucci­sione del compagno. La vipera era addirittura più grossa della precedente e non era più distante di una decina di metri da dove era stata uccisa l'altra. Probabilmente erano maschio e femmina che si erano inerpicati fino allo sommità di Poggio al Venuto per accoppiarsi. Il babbo di Marco la disintegrò sul terreno lasciando solo una buca sca­vata dal piombo incandescente, mentre un profondo turbamento pervase i cacciatori allibiti ed impauriti da quelle anomali presenze. I guaiti di Flok fecero però riconcentrare gli uomini sul loro fedele com­pagno. Il cane aveva smesso di saltare e se ne stava accovacciato sul terreno ansimando e respirando fitto. Marco gli si avvicinò e gli carezzò dolcemen­te la testa sussurrandogli parole di conforto. Sulla lingua, leggermente spor­gente dalla commessura labiale, i fori inequivocabili del morso del rettile. Preso in braccio delicatamente, Flok non smetteva di lamentarsi, mentre il suo corpo perdeva piano piano elasticità. Dalla bocca la saliva colava a fiot­ti, appiccicosa ed intrisa di briciole di terriccio. La corsa lungo lo stradello fu velocissima. Sull'auto, ad una decina di minuti di cammino, il siero, che per ironia della sorte, quella mattina fu dimenticato nell'abitacolo, era l'unica speranza di salvezza per il fido amico di tante avventure. Marco correva sul sentiero stretto e scosceso senza avvertire il peso dell’'animale sulle braccia ed il dolore per le continue frustate dei rametti e dei rovi che attraversavano lo stradello e lo colpivano al viso e alle mani, lascian­dogli sulla pelle strisciate rosse gonfie di sangue. Finalmente giunse sul piazzale dell'auto, Flok aveva uno sguardo implo­rante, mentre il corpo si stava sempre più irrigidendo. Lo adagiò sul terreno erboso e prese dall'auto la medicina cominciando a prepararla con mani tre­manti. Il corpo del cane ebbe un sobbalzo. Le gambe si stirarono in tutta la loro lunghezza con il respiro che ora era diventato soltanto un raro ansima­re. La lingua era diventata violacea ed era gonfiata enormemente tanto da farla sembrare una melanzana matura. Poi gli occhi si rovesciarono all'indie­tro ed il cane spirò. Marco rimase immobile con la siringa in mano, dopo un attimo di com­pleto stato di trance ebbe la forza di iniettare ugualmente quel liquido gial­lastro nelle vene ormai senza più pulsazioni del suo Flok, ma ormai era trop­po tardi. Era morto, il terribile morso lo aveva colpito nella parte più letale, e qual­siasi tentativo di cura sarebbe stato vano. L'uomo in un ultimo disperato tentativo di rianimarlo cominciò a mas­saggiarlo su quel lucido pelo bianco arancio muovendosi vortico­se, ma impotenti. Poi si arrese. Guardò incredulo il suo cane leggendogli sul muso un'ulti­ma smorfia di orribile sofferenza. Era successo tutto così in fretta che non riusciva ancora a capacitarsi. Sentì gli occhi gonfiarsi. Le lacrime scesero mescolandosi alle gocce di sudore che scendevano dalla fronte fino a raggiungere la bocca che assaporò forzatamente quel liquido salato e amaro come il fiele. Poi cominciò a rivedere come in un vecchio film, fotogramma per fotogramma, la vita di Flok, piccolo grande cane che giaceva ora sull’’umida erba autunnale spento in un ultimo ghigno di morte. Lo rivide piccolissimo dentro al box del canile, dove morsicava di conti­nuo le orecchie della madre. Era un batuffolino bianco macchiato di aran­cione con gli occhi vispi ed intelligenti. Marco non aveva avuto dubbi a sce­glierlo tra gli altri cuccioli dell'allevamento, ed il feeling fu immediato. Il suo arrivo a casa fu una festa per tutta la famiglia, tutti lo chiamavano, lo acca­rezzavano, e lui contraccambiava guaendo e scodinzolando con quel suo assurdo mozzicone di appendice, tagliato per giustificarne la razza. "Spisciaccolò" spudoratamente in ogni angolo dell'appartamento, ma con il tempo si abituò alla sua nuova condizione rispettando con grande mora­lità gli ordini dati dai padroni. A quattro mesi riportava alla perfezione la pal­lina da tennis che Marco gli lanciava nel giardino. La rincorreva catapultan­docisi sopra, afferrandola con fermezza e riportandola con grande correttez­za. Quel piccolo cane aveva un innato senso del riporto, e quando la pallina fu sostituita con uno storno fatto secco nell'uliveto vicino a casa, la soddisfa­zione per Marco fu veramente grande. Il Breton si "fogava" sulla preda dimostrandosi eccitatissimo, ma quando la prese in bocca riportandolo in tutta delicatezza tra le man del padrone, capì che Flok era veramente il cane che sognava da sempre. A nove mesi la prova più difficile; una quaglia nascosta tra la vegetazione di un campo abbandonato. Era il primo vero esame per Flok. Marco la pose con cura dietro ad una "ceppita" di sciamica, poi si allontanò di corsa verso l’automobile. Aperto il portellone, il cane scese eccitato e cominciò a correre sul campo. L'uomo lo fece allargare bene, con la mano che indicava la direzione da perlustrare, poi quando si avvicinò al punto d'incontro con la quaglia, l’emozione cominciò a pervaderle il corpo. Il cane d'improvviso alzò la testa, guidò la passata con grande sicurezza finché il selvatico gli frullò davanti facendolo rimanere un attimo fermo per la sorpresa, prima di lanciarsi in una rincorsa a perdifiato. Il primo incontro con un animale era andato meglio del previsto, non si poteva certo pretendere che il cane si fermasse statuario sull'emanazione, e quello sfrullo davanti al muso gli sarebbe servito di gran lezione per il futuro. Il Primo fagiano scovato alcuni mesi dopo ricalcò più o meno l’esperienza della quaglia, anche se la fucilata di Marco questa volta fermò la fuga del selvatico, e Flok mise in atto tutta la sua maestria nel riporto, afferrando con decisione il petto del maschione per deporlo ai piedi del padrone. Marco provò anche in seguito a mettere selvatici sul terreno per vedere il comportamento del cane, ma nonostante i ripetuti insegnamenti si con­vinse che Flok non era un grande "fermatore". Sentiva benissimo l'emanazione, guidava ottimamente, abbozzava lo stop, ma poi l'eccitazione lo portava a cercare di agguantare l'animale facendolo così volare. Cacciava comunque sempre a breve distanza, e quindi per Marco. che lo conosceva bene, non fu difficile adattarsi al suo cane. Quando lo vedeva sul fiato di un selvatico, stava pronto con il fucile spianato, e sullo sfrullo, l’animale era quasi sempre a tiro di fucile. La grande passione di Marco erano però i migratori, e si curò poco di perdersi ulteriormente con Flok per insegnargli la ferma. Si accontentava di quello che faceva sulla stanziale, e giacché era un riportatone eccezionale. per lui contava solo quello. Al rientro, i tordi non facevano in tempo a toccare terra piegati nell'aria dai precisi colpi di fucile, che già scomparivano tra le fauci del cane e ricomparivano ai piedi del cacciatore. Una volta Marco si divertì a tirargli lontano due tordi contemporaneamente per vedere il suo comportamento: bene, in un attimo eccolo tornare con entrambe le prede strette tra le fauci a gonfiargli la bocca in un modo veramente goffo. Ma Flok si superava nella caccia ai fringuelli. Quando il padrone cacciava nella zona di Belvedere “si appostava in una fossetta poco profonda ed aspettava gli uccelletti che transitavano" da un campo all'altro in cerca di cibo. Flok si metteva a testa in alto sull'argine della fossa a scrutare il cielo. Quando vedeva i fringuelli arrivare, si schiacciava sul terreno e sulle fucilate di Marco partiva come una scheg­gia afferrando al volo gli animali prima ancora che battessero sul terreno. Era uno spettacolo vedere Flok in quelle performance, e la voce di questa sua eccezionale dote si era sparsa orinai per tutto il paese. Gli anni passavano, ed il legame tra Manco ed il suo cane si stringeva sempre di più, poteva scegliere le selve più intricate, la macchia più fitta per le sue battute di caccia, tanto poteva contare sui riporti eccezionali di Flok: una volta recuperò un colombaccio che era rimasto "inforcinato" ad una scopa ad un paio di metri da terra: captò l'odore, e poi con grande intelligenza cercò di piegare l'esile tronco facendo ruzzolare per terra l'animale. In altre occasioni, quando la preda rimaneva impigliata tra le fronde degli alberi, avvertiva Marco guaendo e girando intorno alla pianta dove presumibilmente era rimasto attaccato l'animale, finché non arrivava il padrone e lo recuperava. A sette anni Flok disputò la sua prima gara su quaglie . Era il circolo locale dei cacciatori ad averla messa in piedi, e siccome l'af­fluenza era stata scarsa, gli organizzatori invitarono caldamente anche Marco a partecipare. L'uomo cercò di eludere 1'invito, dicendo che il suo cane non era un gran "fermatore", ma poi sull'insistenza, ed anche per dare un contri­buto alla riuscita della manifestazione, visto che si svolgeva nel suo paese, decise di partecipare. Il giudice spiegò rapidamente il regolamento all'uomo e controllato il cronometro ordinò di sciogliere il cane: dieci minuti di tempo per scovare una quaglia, fermarla, abbatterla e riportarla. Era da tanto tempo che Marco non cacciava la stanziale, preso com'era dai tordi e dai colombi. Folk partì setacciando con cura il terreno, dopo pochi minuti cominciò o guidare con la testa bene in alto. Marco capì che era sulle tracce del selvatico e si avvi­cinò aspettandosi lo sfrullo da un momento all'altro. Ma con grande sorpre­sa, Flok stampò una ferma da cineteca. Gambe piantate sul terreno, testa leg­germente girata, linea dorsale rampante e collo alto. Una ferma tipicissima del Breton che stupì i presenti. Marco si a\-vicinò lisciando il cane sulla testa ed incitandolo ad andare avanti. Flok era un pezzo di marmo tanto era rigi-do, e i pochi passi in avanti per avvicinarsi all'emanazione, sembravano fatti da un'animale meccanico. Finalmente la quaglia volò, Marco la centrò con la seconda fucilata mentre Flok era rimasto immobile ad osservarla. Quando l'animale cadde, il cane partì raspando sul terreno e in un attimo fu di ritor­no con la quaglia in bocca. Marco si inginocchiò sul terreno, Flok gli arrivò davanti, si mise seduto, e gli pose nelle mani l'animale. Una lacrima solcò il viso dell'uomo mentre il pubblico fuori applaudiva divertito. Fu un trionfo, alla sua prima partecipazione Flok ottenne il massimo dei voti e vinse la gara tra la sorpresa del padrone che non riusciva a spiegarsi dove Flok avesse appreso ciò che aveva fatto. Spinto dall'entusiasmo Marco cominciò a partecipare a qualche gara ed i trionfi si susseguirono, finché un giorno un giudice che era rimasto entu­siasta della prova del bretoncino gli disse: "Sai che hai un gran cane, bravo e soprattutto bello, perché non lo porti ad un'esposizione?" Lì per li Marco prese poco in considerazione questa opportunità, poi però altri gli fecero notare che quel breton era veramente molto tipico, così, incuriosito da ciò che potevano dirgli in un'esposizione, decise di iscriverlo. C'era una "Nazionale" la domenica successiva che si svolgeva in un paese vicino, ed anche se non era troppo convinto, decise di parteciparvi. Era un mondo completamente nuovo. Marco si aggirava tra i box degli espositori rimanendo meravigliato da quanto vedeva. volpini di Pomerania infiocchettati e toilettati, Bobtail stesi su coperte di seta e pettinati di continuo,Yorkschire Terrier tenuti in braccio ed imboccati come lattanti. Insomma gli parve tutto molto assurdo e anacroni­stico, specialmente guardando il suo cane un po' sporco ed impillaccherato dalle ultime avventure di caccia. Si mise pazientemente in attesa della chiamata e poi finalmente lo speaker annunciò che toccava ai cani da ferma continentali esteri. Toccò prima ai kurzhaar, poi ai khortaals, ai vizsla ed infine furono chiamati i breton. Flok rientrava nella categoria libera maschi, ed appena Marco fece il suo ingresso sul ring, il giudice gli andò incontro ordinando con tono severo: "Ma come tiene quel cane? Me lo metta bene in posa e gli tenga il guinzaglio alto A Marco venne una gran voglia di uscire dal ring e mandare subito il giu­dice a quel paese, poi il buon senso prevalse ed abbozzò un: "Mi scusi sa, ma è la prima volta". Quando il giudice ebbe finito di esaminare la bocca i testicoli e la strut­tura del cane, chiese a Marco di fargli fare un giro intorno al ring tenendo­lo per il guinzaglio. Partì a corsetta con Flok che strattonava la corda e tirava da una parte e dall'altra come un forsennato: il giudice lo guardò scuotendo la testa. Era una persona anziana, con dei radi capelli grigi che gli lasciavano in più parti sco­perta la cute, gli si avvicinò e gli disse: "Guardi che se lo fa camminare così, io il cane non glielo giudico e la butto fuori!" Marcò ingoiò un ulteriore rospo e non rispose al severissimo esaminato­re, poi fortunatamente al secondo giro il breton cominciò a camminare cor­rettamente e fu invitato a mettersi in fila con gli altri otto soggetti presenti sul ring. Il giudice fece un ultimo esame degli animali poi ne escluse cinque. Flok era rimasto in gara. Un giro di tutti e tre i soggetti e poi con decisio­ne, andando incontro a Marco con la mano tesa, proclamò: "Complimenti, l ° eccellente". Marco rimase esterrefatto non credeva ai suoi occhi ed il cuore gli si riempì di felicità, gli sembrava impossibile aver vinto quella gara dopo tutti i rimproveri che aveva avuto. Prese Flok tra le braccia stringendolo forte e cominciò a strofinare il naso del cane contro il suo mento sussurrandogli una serie di parole d'affetto. Dopo la premiazione, il giudice si avvicinò di nuovo a Marco: "Lei è un pessimo conduttore, se avessi dato retta al regolamento l'avrei dovuta subito buttare fuori, ma è anche vero che ha un cane eccezionale, guardi che breton così in Italia al momento non ci sono. Venga domenica a Perugia, è un'Internazionale, vedrà che si toglierà altre soddisfazioni, ma tenga di conto di un consiglio: impari a presentarlo, perché lei fa perdere punti ad una bestia così tipica che più tipica non si può". Marco ringraziò un po' di malavoglia 1'anziano uomo, ma poi in seguito apprezzò la sua schiettezza, in una settimana riuscì ad affinare alla meglio le sue doti di presentatore, e Flok poté così salire agli onori della cronaca, diventando ben pesto Campione di bellezza. Ma fu un'esperienza che durò poco. Uomo e cane si stufarono però velocemente del mondo un po' snob ed aristocratico delle esposizioni canine, e dopo un anno di brillante carriera tornarono a condividere insieme le emozioni della caccia, unico Mondo dove si sentivano veramente a loro agio. I primi peli bianchi sul muso conferivano un aspetto austero di vecchio saggio al piccolo grande cane, ma gli occhioni dolci e intelligenti ne tradivano un'inguaribile voglia di coccole. Flok aveva 10 anni quando quel giorno Marco aveva deciso di andare a caccia sul suo Poggio al Vento. Quanti tordi e quanti colombacci aveva recu­perato in quell'inestricabile groviglio di albatri e scope e quanti altri ancora ne avrebbe abboccati, se quel giorno la felicità di un connubio inscindibile non fosse stato, inesorabilmente distrutto, dal morso maligno di una vipera vendicativa.

 

Giorgio Creatini