Nel lontano autunno 1972 contrassi sfortunatamente il tifo, probabilmente per aver mangiato delle cozze crude a Savelletri di Fasano. A casa avevamo il medico di famiglia,un anziano dottore che era stato medico di 3 generazioni e che era anche Ufficiale Sanitario,il quale però si era ostinato a dire che avevo un virus e mi imbottiva di antibiotici che non servivano al mio caso.La mattina avevo la febbre a 38° mentre la sera immancabilmente arrivava a 40° ed anche più. Non sapendo più che pesci prendere il medico aveva deciso di ricoverarmi in Ospedale. Disperati i miei genitori,che vedevano un ragazzo di 25 anni ridotto in quelle condizioni,chiamarono di nascosto un medico da Bari il quale,ricordo perfettamente,appena sulla porta della stanza esclamò:"Ma questo ragazzo ha il tifo!".Subito gli antibiotici adatti (la farmicetina) ed infatti dopo qualche giorno la febbre calò. Ma intanto 15 giorni di febbre a 40°,oltre al rischio di farmi venire la meningite, mi avevano debilitato a tal punto che, passata la febbre,quando mi alzavo dal letto non resistevo in poltrona per più di un quarto d'ora che poi dovevo tornarmene a letto. E la caccia?Naturalmente ero troppo debole per andarci ed il mio amico Onorato,inseparabile compagno in quel periodo,veniva quasi quotidianamente a farmi visita per raccontarmi delle sue giornate di caccia.Dopo più di un mese dall'inizio della malattia,pur essendo ancora debolissimo,non resistevo più e dovevo assolutamente andare a caccia.Fissiamo l'appuntamento un sabato mattina alle cinque.Mi sveglio per tempo e un quarto d'ora prima dell'orario ecco Onorato che bussa.Sale a casa e mi aiuta a vestirmi dato che proprio non ce la faccio ad infilare nè le calze nè i pantaloni e gli stivali.Quindi mi accompagna giù per le scale e mi fa accomodare nella sua macchina (Alfa Romeo GT 1300 Junior) bianca,con destinazione le campagne di Andria-Barletta dove nelle settimane precedenti aveva sparato abbastanza tordi.Giunti sul posto mi aiuta a scendere dall'auto,prende la mia borsa delle cartucce ed il mio fucile e mi accompagna in una piccola radura tra gli uliveti dove mi dice che avrei sparato bene e comodamente seduto su un piccolo sediolino che si era procurato,poichè non sarei stato in grado di rimanere in piedi.Ricordo che sparai diversi tordi stando seduto e ne presi 5 che furono recuperati da Onorato quando un paio d'ore dopo tornò a prendermi.Che dire?Di quella giornata due cose mi sono rimaste nella mente: il grande affetto e la grande amicizia di Onorato (che continua ancora oggi) unita alla mia grandissima passione per la caccia che mi spinse a fare una cosa che non avrei mai fatto.Quando tornai a casa,sempre accompagnato da Onorato su per le scale,mia madre non disse una parola ma mi lanciò soltanto uno sguardo di affetto;qualunque parola sarebbe stata inutile perchè anche lei sapeva che sarei andato a caccia anche in barella.

 

Autore del racconto: Riccardo Turi

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