DEDICATO A VIRGILIO COPETTI, AMICO CARISSIMO E LONTANO.
 
Le previsioni annunciavano nebbia verso sera, chissà perché, accidenti!, arriva puntuale all’approssimarsi del fine settimana!…
<< Catia rispondo io, sarà Virgilio >>. Aspettavo con ansia quello squillo di telefono che come ogni venerdì mi preannunciava la partenza per la caccia e la programmazione per l’indomani.
<<Pronto? ciao>> risposi, era lui infatti, <<Ciao Renato>> la sua voce era concitata, euforica più del solito; <<mi ha chiamato Mariolino e ha detto che oggi ha visto posarsi nella morta un branco di alzavole e tre fischioni. Mentre nel capanno sostituiva la bombola della stufetta a gas, ha sentito le “ciamadore” all’improvviso cantare in coro, agitarsi, scrutare in alto. Ne ha contate sette o otto . I tre fischioni, 2 femmine e un maschio, sono in mezzo al laghetto mentre le alzavole si sono subito spostate in fondo, nel canneto>>.
Mariolino è il nostro amico e socio della tesa. Abita in paese, ad Acqualunga, il luogo dove è ubicato l’appostamento; laggiù nella bassa bresciana fra le province di Brescia e Cremona, una zona prettamente rurale divisa dal fiume Oglio che ne determina il confine; vocata alla coltivazione del mais, del kiwi e d’inverno, del foraggio per bovini con il sistema delle marcite allagate.
Ascoltavo con un fremito di gioia quelle parole e con un’ansia sempre più crescente lo interrompo: <<ma allora partiamo subito così evitiamo il nebbione notturno; guarda, corro subito a comprare l’occorrente, dammi un paio d’ore; dai Virgilio, d’accordo?>>.
Erano le 14 e calcolando mentalmente il tempo di scendere, comprare le provviste per due giorni, la legna per la stufa, sicuramente per le 16 sarei stato pronto. <<Va bene, dai>>, mi sono sentito rispondere dopo un attimo di silenzio e, <<mi raccomando non dimenticare nulla>>, poi con un saluto chiude la comunicazione.
Mi rivolgo allora a Catia: <<senti, partiamo subito perché Mariolino ha detto che sono arrivate le anatre nell’appostamento!>> al che visibilmente seccata mi risponde che – eh!, come al solito ogni sabato e domenica rimango da sola -; sicura che a nulla sarebbero servite le sue parole, già altre volte è successo, già altre volte ha visto nel mio viso la concitazione, ha sentito la voce agitata dall’emozione, le parole rotte dal respiro affannato e sicuramente avrà odiato la caccia ancora di più.
Arriva puntuale verso le 16 e mi trova in strada accanto al mucchio di cose da caricare; un saluto frettoloso, un pugno appena accennato sullo stomaco (fa così ogni qualvolta che è euforico), stipiamo la sua cara vecchia Renault all’inverosimile e via con il cuore che batte a mille!
Quattro semafori stranamente “presi” con il verde, usciamo dalla città e imbocchiamo la Paullese, poi sempre dritto fino alla meta…
Già compaiono le prime avvisaglie della nebbia ancora a banchi, un po’ rada un po’ fitta, ma con l’evidente intenzione di aumentare a breve.
Virgilio guida sereno, calmo, anche se sento nelle sue parole tutta la agitazione del momento. Si destreggia ottimamente alla guida nonostante la visibilità progressivamente vada diminuendo; sono anni ormai che percorre la Paullese-Cremasca in simili condizioni.
Continua a parlare ripetendomi per filo e per segno tutto ciò che aveva sentito per telefono da Mariolino; mi guarda, mi strattona e: <<Rena, domani facciamo scintille! hai lucidato il mirino?. Ha visto tre fischioni ma le alzavole potrebbero essere di più e poi abbiamo indovinato il giorno del passo e dunque stanotte Rena, chissà quante ne arriveranno!>>; lo interrompo e gli chiedo se si è ricordato del binocolo e lui di rimando: <<uèh giuvi-nott, è la prima cosa che ho messo nello zaino e tu piuttosto, hai comprato tutto? Ne hai presa tanta di legna? E quante bottiglie di “vinello” ?>> : appellativo scherzoso dato al Turà.
<<Tutto, tutto; e tu piuttosto, hai trovato le Remington?>>, rispondo, guardando un po’ preoccupato la strada che si fa sempre più invisibile…Più di un’ora per arrivare a Soncino, poi Orzinuovi e la svolta verso la campagna brulla, coperta di stoppie, ideale luogo di pastura per le allodole stanziali, beccaccini e vari piccoli migratori invernali.
La strada sterrata ormai nascosta da una coltre fitta e impenetrabile, è percorsa adesso più lentamente per il fondo sconnesso con buche da evitare in continuazione. E finalmente Acqualunga, appena illuminata dai radi lampioni che non riescono a irradiare la loro luce in quel luogo silenzioso, solitario ormai, che la nebbia fittissima rende oltremodo affascinante. La discesa verso il fiume; l’arrivo infine alla sua casetta a un centinaio di metri prima. Una costruzione fatta erigere dal Demanio negli anni 40 per ospitare il barcaiolo con la sua famiglia: all’epoca con la moglie e quattro figli uno dei quali é appunto questo mio grande amico.
Il suo compito era quello di traghettare cose e persone da una sponda all’altra dell’Oglio a seguito della di-struzione del ponte avvenuta durante il periodo bellico; usando come mezzo una barca tipica da fiume (di forma lunga, panciuta, dalle sponde basse) sospinta unicamente a forza di braccia con l’ausilio di una “pertica” manovrata con estrema perizia, che puntata sul fondo imprime così una spinta in avanti. In qualsiasi condizione si trovino le acque, lente o in caso di piena veloci e limacciose con gorghi e mulinelli improvvisi.
Celeste, il suo nome, (il papà appunto di Virgilio) che io ho avuto il grande onore e piacere di conoscere tanti anni prima e di cui ne porto sempre il ricordo con nostalgia .Un uomo di altri tempi; colui che mi ha tra l’altro fatto sparare con il suo “scìopon” un fucile a canna unica calibro 8…

Un silenzio struggente ci saluta, un silenzio che ci rimanda appena, il flebile fruscio dello scorrere lento delle acque dell’Oglio, poco lontano da noi; un buio misterioso e suggestivo che ci catapulta in un’altra dimensione: quella che ci farà scordare la città, quella che scandirà la serenità delle due giornate che ci aspettano tutte e solo per noi.
Sopra noi, gocce condensate di umidità cadono numerose dal platano che maestoso allunga le sue braccia fin sopra il tetto producendo un sordo e fitto ticchettio al contatto con il suolo.
Le nostre due torce tentano con la loro lancia luminosa di fendere la notte ma si rifrangono subito contro quel muro ormai indissolubile di particelle d’acqua sospese in aria, cercando invano di squarciare quella tenace im-penetrabilità.
Entriamo; i nostri sguardi si incrociano e subito sentiamo reciprocamente la felicità che ci attende, anelata da ben “cinque giorni!”. Infatti il sabato e la domenica spettano a noi e dunque questo , all’alba, è ”il nostro saba-to“, quello ci apprestiamo ad assaporare intensamente ancora una volta grazie alla nostra profonda amicizia…
La stufa accesa, adesso ci scalda la stanza rendendocela più accogliente. Lo scoppiettio della legna che arde al suo interno accompagna il nostro fervore nel fare i progetti e pianificare i movimenti dell’indomani…
Pranziamo e: <<Che dici , puntiamo la sveglia, anche se nessuno dormirà?>> chiedo all’amico che dopo un attimo risponde: <<vai, vai é più sicuro>>, centellinando l’ultimo bicchiere di Turà.
Ora la cuccuma ci avvolge con l’aroma del suo caffé ormai “venuto su”.
Lo scrosciare nel versarlo nelle “tazzone”, lo schiocco del tappo della sinuosa e colorata bottiglia di grappa, il lento sgocciolare del rubinetto nel lavello di granito scuro, sono gli unici rumori nella stanza.
Andiamo fuori a sorseggiarlo, nel buio completo, in assoluto mutismo, sereni, immersi totalmente in quella na-tura e in perfetta simbiosi con essa, avvolti nel nulla… il nostro pensiero già all’indomani mattina.
Rientriamo, saliamo al piano superiore e ognuno alle sue brandine vestiti di tutto punto per difenderci meglio dal freddo…
Da lontano, chissà da quale cascina, l’abbaiare di un cane, il richiamo stridulo di una civetta posata sui rami del platano, il rumore delle rare auto che attraversano il ponte appena ricostruito, ovattati rintocchi di campa-nile che scandiscono il lento scorrere del tempo che qui si è fermato conservando le cose antiche e semplici di una volta, i suoi valori, le tradizioni, le usanze, la vita vissuta con i modi di sempre.
E noi, che dai nostri posti continuiamo a parlare, a cercare di prevedere come andrà domani, a dirci cazzate, co-sì, tanto per scaricare la tensione che ci attanaglia. La luce accesa e spenta di continuo dopo brevi pause; il fin-gere di dormire; l’adocchiare la sveglietta con sempre più frequenza; il percepire che le lancette hanno maledet-tamente rallentato…
<<Rena, gelerà tutto stanotte>>; <<eh! si>> ; <<fa sitto!, senti?>> Un attimo di silenzio. Aveva ragione: era cessato lo sgocciolare sul tetto…
Dovevamo dirci ancora qualcosa: <<verrà a trovarci Mariolino?>>; <<beh!, se ha pieno non credo; però una scappata, mah!, può darsi>>… Ancora silenzio… Ma adesso un leggero russare denota che il sonno ci sta pren-dendo; lentamente si fa sempre più forte fino a diventare un concerto…
La stufa alle cinque del mattino è ancora piena di brace rovente; velocemente la riavviamo, velocemente prepariamo una frettolosa colazione. Presto, si, presto perché dobbiamo salire in paese a prendere il nostro cane da Mariolino che lo tiene nella cuccia presso il cortile della sua trattoria. Full il suo nome: un drahthaar di sei anni, forte come un bisonte; caccia tutti i tipi di selvatici, dalla lepre al fagiano e in palude è formidabile nello snidare le gallinelle o altri uccelli d’acqua che la popolano. La cerca fra il canneto alto e fitto è metodica, lenta; tradisce la sua posizione solo dal rumore dell’avanzare con la sua robusta falcata che imprime uno spostamento deciso alla vegetazione nel farsi un varco col suo procedere poderoso…
Preparativi febbrili, gesti ormai consueti in analoghe situazioni; gli zainetti caricati sulle spalle già pronti dalla sera prima assieme ai fucili e finalmente è arrivato il momento!
Usciamo…Attraversiamo un improbabile ponticello sulla fratta che ci separa dal bosco, con Full che dopo aver sfogato l’irruenza nel rivederci, adesso ci segue tranquillo.
Aveva ragione Virgilio: una coltre gelata ammanta ogni cosa, nel buio trasforma gli alberi in scheletri cristal-lizzati. Il nostro avanzare però produce un po’ “troppo rumore”, oltretutto il biancore del terreno gelato schiari-sce in modo preoccupante il contorno dei nostri corpi che la nebbia non riesce a sfumare abbastanza.
In fila indiana, con il cane che dietro sembra imitare i nostri passi calcolati e misurati, imbocchiamo il sentiero tagliato fra la alta vegetazione che ci porta al capanno: un manufatto costruito in cemento appena sopra il livello dell’acqua; provvisto di feritoie integrate da sportellini apribili, protetti da vetri; alle spalle una brandina; nell’angolo destro trova collocazione una stufetta a parabola (la nostra sopravvivenza!) quindi tre seggiolini e una mensola; sotto gli spioncini infine, attaccato al muro, un foglietto di carta su cui annotare i capi abbattuti.
Gli ultimi metri sono percorsi chini per renderci più impercettibili scegliendo accuratamente dove poggiare i piedi per evitare il più possibile di insospettire le anatre appena dietro la siepe.
Apriamo la porticina senza respirare poi la chiudiamo alle nostre spalle e… riprendiamo fiato!. L’adrenalina è alle stelle; ci sistemiamo con mille cautele. A gesti Virgilio mi chiede il binocolo, glielo porgo, apre delica-tamente lo spioncino e lentamente inizia a ispezionare tutto lo specchio d’acqua.
Trascorrono pochissimi minuti poi si sofferma su un solo punto; una secca gomitata, si volge verso me visi-bilmente eccitato, me lo rende indicandomi un punto su cui puntarlo e mi sussurra: <<Rena, Rena, a destra guarda quante ne sono arrivate ancora!>>, <<si, si le vedo>>, gli ammicco e dai nostri sguardi leggiamo la grande trepidazione che ci pervade…
I richiami infatti stanno in silenzio, si spostano nervosamente nuotando qua e là, comportamento chiaro di diffidenza che hanno quando si trovano a dover ospitare loro malgrado degli ospiti…
E’ ancora buio, chiudiamo gli spioncini; con un filo di voce ci scambiamo commenti, pianifichiamo le future mosse; a tratti guardiamo fuori sperando di vedere ad occhio nudo le sagome attraverso la nebbia, ma ancora è presto.
Trascorrono ancora minuti interminabili poi: <<Virgilio, laggiù, laggiù, guarda, le vedo, forse si possono anche contare! dammi il binocolo>> bisbigliai, prendendolo dalla sua mano che tradiva un leggero tremore…
Lentamente le ombre cominciano a schiarirsi; il binocolo adesso ci rimanda un’immagine più chiara.
Dalle fitte canne palustri in fondo davanti al capanno, gli storni arrivati puntuali al tramonto iniziano a svegliarsi con fischi sommessi, quasi sibili; a breve si sarebbero fatti sempre più marcati poi tutti insieme, fino a diventare uno schiamazzo, preludio dell’involarsi verso i luoghi di pastura. Le gallinelle, trascorsa tutta la notte fuori dal canneto, si agitano inquiete, si dirigono irritate verso le forestiere, infastidite dalla loro indesiderata intrusione poi iniziano a rientrare, senza fretta; non desiderano farsi sorprendere dall’alba lontano dai loro sicuri rifugi.
Due porciglioni invece, meno guardinghi si inseguono sull’aggallato grugnendo a tratti, poi veloci spiccano il volo attraversando tutta la morta…
Ancora incombe su tutto la nebbia sia pure meno intensa in competizione con il primo albore del giorno; ma adesso anche ad occhio nudo riusciamo a scorgerne le sagome. Al centro si intravedono i tre fischioni che lan-ciando fischi sommessi sono intenti ancora a pasturare immergendo continuamente nell’acqua il becco per cer-care fra l’erba i molluschi di cui cibarsi, filtrandola rumorosamente con movimenti rapidi. Anche le alzavole, tra la foschia ancora abbastanza densa cominciano a rivelarsi. Sono imbrancate, in fondo; hanno smesso di pa-sturare, si cercano chiamandosi l’un l’altra; il caratteristico crek-crek si fa più frequente, sono tese, non si sen-tono più sicure: chiaramente il segnale di involarsi da lì a breve…
Il momento tanto atteso, quanto sofferto, è giunto!.
Virgilio con il suo automatico magnum avrebbe puntato al branco più numeroso e lontano: le alzavole, io con il sovrapposto ai fischioni…
Virgilio dalla stoccata infallibile, Virgilio dotato di una freddezza totale, di una padronanza perfetta, avrebbe risposto al mio: “via!”
Apriamo le feritoie adagio; le vene pulsano quasi a scoppiare; puntiamo i fucili fuori dagli spioncini. Adesso ci scambiamo un rapido sguardo di incoraggiamento. E’ grazie anche a ciò che tutta la nostra grande amicizia si consolida sempre più. Esperienze esaltanti che rimangono imperiture nella memoria, intessuta di tanti momenti sereni e di ricordi come questo.
Nonostante la visibilità non sia ancora perfetta bisogna rischiare il tiro; le anatre chiaramente ormai sono in procinto di spiccare il volo, il loro comportamento è inequivocabile: colli dritti, richiami sempre più serrati e marcati, spostamenti veloci e nervosi, tutti segnali che denotano sicuramente la volontà di andare…
Un’occhiata, un gesto, mi chiede: <<ci sei, Renato?>>, annuisco e mi preparo al tiro. Sussurro l’uno-due-tre, una brevissima pausa e: << via! >>…
Nel bosco arriva l’eco dei primi colpi, quasi all’unisono, poi uno sbattere convulso d’ali, lo splasc in acqua di quelle colpite, il rumore di quelle ferite che cadono nel canneto, l’involarsi delle altre… Questione di secondi, Virgilio sposta la canna del fucile a sinistra, spara ancora. Due folaghe non viste in precedenza, corrono rapide sull’acqua sbattendo veloci le ali… tentano di alzarsi in volo…
Adesso il silenzio incombe su tutto poi i richiami, tutti raggruppati in un angolo, iniziano a cantare sommes-samente a scatti, uno alla volta, a guisa di nenia funebre…
E’ giorno fatto ormai. Una leggera brezza spira adesso dalle nostre spalle, scivola silente dalla costa alta, lambisce decisa l’acqua, l’accarezza, l’increspa, smuove timidamente le canne palustri, soffia via l’ultima cali-gine.

Una nutria frettolosamente nuota verso il suo rifugio con il muso fuori dall’acqua volgendolo in continua-zione qua e là; i colpi l’hanno sorpresa da lontano e dunque vuole tornare presto al suo riparo. Gli storni am-mutoliti dagli spari, si involano scompostamente in tutte le direzioni, si innalzano spaventati e puntano infine decisamente in direzione della costa verso i campi , in pastura; certo avrebbero oziato ancora un poco!…
Trascorsi alcuni minuti decidiamo di uscire a recuperare i capi quindi saliamo sul barchino con Full. Per primi quelli nello specchio d’acqua poi puntiamo verso il bosco dove l’acqua sparisce nella vegetazione.
Proseguiamo a piedi alla ricerca di quelli che “allungando” sono finiti lì.
Il cane si muove con grande perizia nel fitto canneto, sa dove appoggiare le zampe evitando accuratamente i punti più pericolosi che lo farebbero sprofondare ; c’è nato, si può dire, in questi luoghi, infatti sin da cucciolo ha cacciato qui lungo la riva dell’Oglio, colonizzata da pioppi cresciuti casualmente e scompostamente, sambu-chi, salici, giunchi, cespugli di morelle. La sua cerca è lenta e metodica, non c’è bisogno di incitarlo; lo osser-viamo riflettendo mentre ci riporta due alzavole… Torniamo nel capanno, di buona lena; i piedi cominciano a gelare; ad ogni nostra parola di commento sull’accaduto dalle bocche fuoriesce un vistoso vapore che ci dà una maggiore sensazione di freddo…
Dal termos ci versiamo il caffé ancora bollente, lo sorseggiamo lentamente mentre gli animi esaltati ci sus-surrano un’ode alla nostra passione condivisa.
Nella morta regna adesso la tranquillità; pochi rumori, il fruscio delle canne mosse da un leggero refolo, un pallido sole che con la sua complicità è riuscito ad imporsi alla nebbia, il verso tranquillo dei germani che ora sono intenti a giocherellare, a cercare di allontanare le due morettone che non hanno mai visto di buon occhio. A tratti si interrompono per mangiare nel punto dove trovano il mais che noi provvediamo a rifornire, infilandosi con tutto il corpo nell’acqua, in verticale. Gli spioncelli svolazzano fra il canneto, si fermano di tanto in tanto sulle canne più robuste piegandole con il loro peso, si lasciano dondolare, beccano qua e là fra le foglie poi si involano, si chiamano e scompaiono verso il bosco. Dei fringuelli arrivano dal fiume, si sparpagliano , si cercano, scendono sui campi in pastura. Lontano alcune cesene fanno sentire il loro —cia cia cia- serrato. Da sinistra fa capolino una piccola schiribilla sempre rimasta nascosta, si muove guardinga poi sicura, con un piccolo saltello, si posa su un ciuffo d’erba dal quale con frequenti beccate trae piccoli molluschi e insetti di cui si ciba.
Dalle nostre spalle i primi raggi del sole danno risalto al ruscelletto che entrando da destra affonda nell’acqua della tesa contribuendo così a tenerla invasa, grazie ad uno sbarramento da noi costruito con materiale prelevato dalla palude circostante, poi traboccando si getta deciso in un piccolo fosso che lo incanala nel folto del bosco fino a gettarsi nell’Oglio: atteso da cavedani, alborelle, barbi, tinche…
E allora ci lasciamo prendere dai ricordi… Recliniamo la testa sui gomiti appoggiati davanti agli spioncini; il pensiero corre lontano, a quei tanti momenti sereni come questo vissuti insieme e al tempo in cui ci siamo co-nosciuti, molti, molti anni prima, proprio parlando di caccia e comprendiamo appieno il significato della parola “amicizia”, quella vera quella disinteressata, quella inossidabile…
Lentamente le parole si fanno più rade, la voce più sottile; ci concilia il leggero russare di Full sdraiato ai no-stri piedi, il fruscio della stufetta che arde luminosa, interrotto di tanto in tanto da leggeri scoppiettii; ci fa asso-pire e ci culla la speranza come già successo, che le anatre fuggite ritornino alla tesa…
Quanto tempo è trascorso? Forse una, due ore, quando ci svegliamo di soprassalto al vociare in coro dei ri-chiami. Guardiamo fuori di scatto ma non vediamo nulla; ma come, se hanno cantato; è impossibile!; poi, – laggiù, laggiù – ; dai campi tre alzavole arrivate all’improvviso con un volo rapido si sono subito buttate in fondo e ora sono lì, immobili contro il canneto…
Ancora trepidazione, ancora spari, ancora emozioni…
L’elenco sul foglietto si aggiorna infine con nuovi dati: accanto alla data si aggiungono sette alzavole , due fi-schioni e due folaghe.
L’orologio ci indica le 11,30… Ci scambiamo uno sguardo e: <<Mah!, andiamo, che dici? Ci starà aspettando, sicuramente>>…
La trattoria di Mariolino è piena di gente allegra; risuonano fragorosi battimani, risate, battute profferite a voce alta. Genitori rincorrono bambini dalle gote rosse che corrono per tutta la sala, qualcuno getta acuti strilli; qua e là lampi di flash. Sua moglie si affaccia a tratti dalla cucina a chiedere con la sua vocina sottile cercando di sovrastare il frastuono: <<a chi manca il dolce? >>. Poi rivolta verso noi: <<alöra, Mariett, te vegnett o no?>>, richiamandolo all’ordine.
Vino, polenta e osèi fanno bella mostra di sé nei nostri piatti fumanti mentre facciamo il resoconto della matti-nata a lui, che seduto al nostro tavolo commenta e racconta la sua caccia dei giorni scorsi. Esce fuori a vedere le nostre catture, rientra, parla veloce, in dialetto stretto; è visibilmente soddisfatto della tesa, dei clienti numerosi, ed il fatto di essere in nostra compagnia lo rende più euforico; si versa da bere, brinda con noi…

I soliti convenevoli per riuscire a pagare quindi i saluti calorosi e fraterni che preludono al nostro ritorno a Mi-lano, anticipato di un giorno per non dispiacere più di tanto le nostre famiglie…
A Soncino fermata d’obbligo presso il piccolo e accogliente bar condotto dalla signora Franca. Prepara dei dolcetti irresistibili che avvolti singolarmente in tovagliolini colorati a forma di imbuto, espone sul bancone: il loro aroma gradevole riempie il locale, riscaldato da una vecchia stufa a cherosene. A fianco di questi, vari con-tenitori di vetro, rotondeggianti, che contengono cioccolatini, caramelle, lecca-lecca, rotolini di liquirizia: golo-sità per i più piccoli; in vari altri piccoli piatti, un assortimento di salatini e noccioline; accanto in una piccola tazza rotonda, alcune uova sode, golosità per i più grandi che accompagnano l’assaggio con uno o più bicchieri di vino, a volte allungato con la spuma nera. In alto, sulla parete alle spalle del banco, una foto sbiadita che ritrae due personaggi in posa ieratica come si usava una volta, probabilmente i genitori di lei o del marito scomparso ormai da anni…
Un caffé, un dolcetto, due chiacchiere con la Franca che, intenta a lavare dei bicchieri ci chiede l’esito della giornata di caccia, e… via verso casa.
Verso la realtà di tutti i giorni: il lavoro, le cose terrene, i problemi, le gioie della famiglia e… il contare quanto manca al prossimo sabato, il nostro sabato.
Tutto ciò è anche e soprattutto, l’essenza della caccia.

All’amico Virgilio – ( elogio all’ amicizia )

 

 
RENATO AVAZZINI